martedì 12 aprile 2016

Una splendida giornata di merda.

Si muore un po' tutti i giorni.
Ci si trascina l'anima tormentata dalla mattina alla sera, ovunque si va.
È come quando Peter Pan cercava di cucirsi l'ombra addosso, per evitare che scappasse via. A volte, invece, sembra che ci incolliamo l'angoscia alla testa, per non farla passare.
Non so da cosa dipenda, non me lo sono mai chiesto.
Forse la paura di lasciare un'angoscia certa, per una che invece non lo è.
Questa è sempre stata la mia teoria:
Ci sono dolori che ad un certo punto non sono più solo dolori. Sono porti sicuri.
Sono rifugi. Sono garanzie.
Talvolta ci consola quasi sapere di avere un dolore che custodiamo nel profondo.
Si soffre sempre per le stesse cose.
Come se avere quel dolore ti giustificasse dall'averne un altro.
Come se avere quel dolore ti salvaguardasse dall'averne un altro.
Sono dolori calcificati.
Sì, li chiamerei così.
Come un fossile intrappolato nella pietra, così il dolore intrappolato nel cuore.
Per questo costa fatica fare un salto nel vuoto. O fare un salto in Qualcuno che magari vuoto non è.
Perché esponendoci, nello slancio, potremmo inevitabilmente cadere e sbattere la faccia e frantumarci al suolo e spaccarci tutte le ossa e spargere il cervello sul cemento e i denti tutti intorno a formare una meravigliosa cornice di interiora umane.
E soffrire. E quindi ammalarci di un nuovo dolore.
L'essere umano non è fatto per sopportare troppi dolori tutti insieme.
Ci diciamo che siamo forti, ma la realtà è che non riusciamo ad abbandonare le vecchie sofferenze perché sono ormai parte di noi. Sembra quasi di mancargli di rispetto, al dolore.
Andare avanti e lasciarselo alle spalle vorrebbe dire lasciar andare ciò che si è custodito gelosamente fino a quel momento e soprattutto vorrebbe dire che siamo pronti a soffrire di nuovo.
E da penosi esseri umani quali siamo, questo, è inaccettabile.

Ted Mosby diceva che non succede mai niente di buono dopo le due di notte.
Posso assicurare che anche prima si riescono a fare un sacco di danni.
Non lo so perché certe giornate sono programmate per minare la nostra serenità, il nostro equilibrio mentale.
Forse in quel momento c'è Dio che probabilmente si annoia e vuole giocare con te.
Forse è lì per dire che è arrivato il momento di metterti alla prova e testare la tua fede in lui, invitandoti a bestemmiare per controllare quanto ci metti prima di crollare.
Non lo so.
Ogni tanto mi capita di vaneggiare.
Ci sono persone che andrebbero abbracciate.
Parlo di quelle persone che il dolore ce l'hanno scolpito negli occhi, nella fronte.
Quelli che ti guardano sempre un po' aggrottati. Quelli che ti sorridono di rado.
Fa male sorridere.
Fa male perché spesso nel momento più bello di una giornata, con l'allargarsi degli angoli della bocca, si avverte quel bruciore allo stomaco tipico di chi sta per rigettare.
Perché un sorriso ricorda tanti sorrisi e tanti sorrisi ricordano qualcosa che non c'è più o forse non c'è mai stato.

Nella vita si può avere la fortuna di conoscere qualcuno.
E per qualcuno intendo qualcuno che ha il potere di cambiarti la giornata, in meglio o in peggio.
Spesso succede così per caso che quando poi ci pensi ti sembra ridicolo.
C'è quel famoso detto che recita più o meno così "riconoscerai il valore delle cose, solo una volta averle perse". Sì, probabilmente è vero.
Ma io certe cose e certe persone non ho mai voluto perderle.
Mi capita di pensare che ci si incontra sempre per un motivo.
Con chiunque, intendo.
Con qualcuno ti trovi a spartire l'anima, con altri probabilmente a dilaniartela.

Sentirsi sempre regola e mai eccezione fa schifo.
Ho la sensazione che sia tutto come un copione già scritto, già recitato.
Ci si incontra, si entra nella vita l'uno dell'altro e ad un certo punto ci si saluta. Così.
Anche quando non si vuole.
La vita è una passeggiata solitaria in compagnia di qualcun altro. Questa è la verità.
Me la immagino come una spiaggia immensa, la vita.
Con una battigia confortevolissima, il mare un po' scuro e intorno tanti palazzoni alti e detriti ovunque.
Insomma tipo Ostia.
Scherzi a parte. La immagino così.
Immagino un cammino in riva al mare, come se la vita fosse un continuo running.
Ed ogni tanto qualcuno si avvicina e fa cinquanta metri di corsa con te, poi si ferma per prendere fiato perché forse si sta andando troppo veloci. Ma poi non ti recupera più. E quindi ti ritrovi a correre da solo.
Mi chiedo solo quando arriverà anche per il me il momento di fermarmi un attimo per riprendere fiato, ché sento i polmoni ed i reni cedere.

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