martedì 29 dicembre 2015

Le cose finiscono. Anche Dicembre.

Sta finendo Dicembre e non sembra neanche inverno.
Qui a Roma stiamo vivendo in un autunno che non vuole finire. Ma nessuno si lamenta.
Manca poco alla fine dell'anno, solitamente in questo periodo ci si affanna per capire cosa organizzare, dove andare, con chi stare la notte del 31, io no. Non mi sto dannando l'anima per cercare qualcosa.
Non sono impaziente che l'anno passi, non questa volta.
Ho sempre pensato che gli anni passano e non cambia mai niente, un po' ho dovuto ricredermi. Un po'.
D'altro canto, se per ventidue anni gli anni finivano e ne cominciavano solo di peggiori, forse adesso è arrivato il momento del riscatto.
All'inizio della mia storia con S. - il quale nome ci tengo resti privato - la mia ansia e la paura di perdere tutto da un giorno all'altro erano sempre dietro l'angolo. Non che le cose siano cambiate poi tanto, voglio dire, quando tieni a qualcuno il pensiero di perderlo è chiaramente una coltellata alla tempia, ma si può gestire un cattivo pensiero. Perché è, appunto, solo un pensiero.
Con il tempo ho imparato a riconoscere una paranoia reale da una paranoia costruita. Da me, ovviamente.
Ci sono dubbi che si insinuano da soli, fa gioco anche una personalità forte con qualche devianza psicofisica, in effetti.
Ma il più delle volte, quelli che chiamano "cattivi pensieri", non sono altro che elucubrazioni mentali del tutto ingiustificate. Cose a caso costruite in momenti di ansia, di angoscia, di sconforto, ma che, alla fine della fiera, non hanno senso di esistere perché non sono reali.
Adesso sono più tranquilla. In generale. Ad un certo punto semplicemente si apprende che è tutto vero, anche se non sembra e si può continuare a vivere la vita in modo pressoché privo di ansie e paure.
Il duemilaquindici non è stato un anno orribile come pensavo, anzi.
E' stato l'anno in cui ho imparato a riconoscere i miei limiti e spesso li ho anche superati.
L'anno in cui ho focalizzato un obiettivo e sto provando a perseguirlo, ancora.
L'anno in cui, come ogni anno, ti rendi conto di chi vuoi nella tua vita. E di chi ti vuole nella sua.
Non parlo d'amore - o meglio non solo - parlo di tutto.
Nella mia vita ho capito che non voglio zavorre. Non voglio nervosismi non miei, ché già quelli che ho mi bastano. E soprattutto non voglio bambinate.
A ventitré anni me ne sento molti di più addosso e questo già da diverso tempo. Quello che mi aspetto è che, se il mondo non può essere alla mia altezza, che almeno la gente che lo popola lo sia.
Chiedo troppo?
Intendo dire che sono stanca di chi mi fa perdere tempo, in tutto.
Chi mi annoia, chi mi usa.
Le solite cose che fanno un po' quindicenne mestruata, in effetti. Ma all'età di venti anni e poco più, è solo la consapevolezza di volere qualcosa di meglio, qualcosa di adulto.
Il duemilaquindici è stato l'anno in cui, dopo aver corso tanto, ho capito che non voglio farlo più.
E non intendo correre con le scarpe da running, perché quello in effetti dovrei farlo.
Intendo che non voglio affrettare le cose, tutte le cose. 
Ho capito che il più grande errore che ho fatto nella mia vita è stato quello di voler correre, sempre.
Di volere tutto e subito.
Di non badare al viaggio, ma solo alla meta.
Insomma una cazzata colossale. Una perdita di tempo inaudita.
Sì perché alla fine ho scoperto che è bello anche camminare e fermarsi, ogni tanto. Prendere fiato, capire che è tutto ok o che non lo è, ma senza scappare. Sedersi, riflettere o magari no. E poi ricominciare, se si ha la voglia e la capacità per farlo.
Non mi interessa dimostrare, non mi interessa strafare. Mi interessa che vada bene.
Non so cosa preveda per me il duemilasedici, spero solo che le cose importanti non cambino.
E sì, è ovvio che mi riferisco a quelle cose importanti.
Mi auguro solo che sia un anno che valga la pena vivere, come lo è stato questo che sta finendo, ma anche di più. Perché adesso ne ho voglia.
Affronto il nuovo anno con un peso in meno, quello che fino a due anni fa mi accompagnava dal 31 al 31 dell'anno dopo, senza mai passare. Il peso di sapere che sarebbe stato un anno come i soliti anni.
Sono sicura che nel duemilasedici non smetterò di emozionarmi per le piccole cose, ovvero quelle che amo di più.
Come una Domenica a Villa Torlonia, con il Sole alto, caldo, che non accalda, ma scalda.
L'altro giorno un gatto randagio mi si è seduto in braccio, un bellissimo persiano nero che mi ha fatto le fusa e mi ha sciolto il cuore. Il calore che arriva dagli esseri viventi è un regalo che non si può comprare.
Lo stesso vale per la signora che l'altro giorno mi ha detto "fossero tutte come lei, signorì" dopo avermi visto buttare uno scontrino in un cestino per strada.
All'inizio non avevo capito bene, poi mi sono resa conto che ci siamo regalate qualcosa a vicenda...

...e credo sia stato lo stupore.


martedì 8 dicembre 2015

Un anno dopo.

Un anno fa a quest'ora avevo lo stomaco rigirato almeno nove volte su se stesso, quella sensazione che hai sia quando è successo qualcosa di bellissimo, sia invece quando la vita si palesa per lo schifo che è.
Non stavolta - zan zan - stavolta, anzi, quella volta era un agglomerato di interiora felici.
Un anno fa a quest'ora neanche la consapevolezza che sarebbe stato Natale di lì a poco mi faceva così senso, anzi. Nell'aria respiravo qualcosa di nuovo, per una volta, davvero.
Credo sia quella magia che avvertono le persone normali sotto le feste, quando la città è tutta illuminata e c'è un via vai di gente insopportabile, che però, chissà come mai, rende tutti euforici e propositivi.
Un anno fa a quest'ora ero felice. Lo sono ancora, è questo che fa strano.
Pensavo e ripensavo alla serata del giorno prima, quella che mi aveva fatto stare in ansia t u t t o il giorno, ma credo che per una volta sia stata una compagnia ben accetta.
Da un anno ormai non sono più sola - sì, mi ci sento spesso, ma questo è un altro discorso - la cosa importante è che ho finalmente capito cosa volevano dire tutte quelle frasi fatte, tutte quelle raccomandazioni e tutti quei film strappalacrime che almeno una volta nella vita hanno fatto commuovere ognuno di noi.
Nella mia vita fino al sette Dicembre dello scorso anno non sapevo che cosa volesse dire avere un uomo, averlo nel senso stretto, non di quando porti a casa il primo che capita e ci dai giù tutta la notte.
Non avevo idea di cosa volesse dire amare ed essere amati, perché per me l'unico amore esistente era quello che ti consuma di lacrime, ti toglie l'appetito e ti ammazza piano piano.
Ignoravo del tutto che nel mio disegno divino o di vita ci fosse scritto che anche per me poteva arrivare qualcosa di questo calibro. Dico calibro perché è come se ti arrivasse uno schiaffo dritto in faccia da almeno un chilometro di distanza.
Lo schiaffo dell'inesperienza, dell'imbarazzo, della paura, dell'angoscia, del dolore, della felicità.
Uno schiaffo che fa malissimo perché ti fa capire chi eri fino al giorno prima e chi dovresti essere dal giorno dopo. Nella mia vita la parola "condivisione" era legata solo ad episodi banali e pressoché inutili.
Ad esempio sì, mi era capitato di condividere la stanza con mio fratello diversi anni fa.
Mi era capitato di condividere i miei giocattoli, il mio cibo, magari anche qualcos'altro, ma non mi era mai mai mai mai mai successo di dover condividere con qualcun altro il mio essere, la mia vita.
E parlo di tutto, di ogni cosa. Dalla stupida domanda "come è andata oggi?" alla più profonda stima dell'altro.
Non ero abituata a niente, ho dovuto imparare e tutto da sola. Anche se non è esattamente un concetto giusto.
Ho sempre pensato che la questione "persona giusta" fosse di un retorico impressionante e anche abbastanza scontato, ma la verità è che purtroppo è tutto vero.
Dico purtroppo perché in quel famoso schiaffo c'è anche questo.
C'è l'aprire gli occhi e finalmente darsi pace, rendersi conto che non sei mai stata tu quella sbagliata, ma gli altri, anche se sembra un'infinità di colpe accollate. Mi rendo conto.
Sì, perché un giorno ti svegli e ti crollano tutte le certezze che avevi impilato ben bene l'una sull'altra la sera prima. Compresa quella storia schifosa e melensa sul fatto che "la persona giusta" aspetta, "la persona giusta" ti mette a tuo agio, "la persona giusta" ti ama per quello che sei, "la persona giusta" ed una sfilza infinita di bla bla bla che sembrano scontati, ma lo sono solo finché non ti ci trovi a sbattere il muso contro.
Tutta questa roba fa paura. All'inizio.
Fa paura l'amore, l'intimità, fa paura trovarsi a dover fare quello che fanno gli altri sapendo che non ne sei del tutto capace. Forse amare e lasciarsi amare è come leggere.
All'inizio fa paura perché in classe se sbagli è finita, se leggi male una parola diventi la preda perfetta, poi alla fine un po' te ne freghi e impari a leggere bene, abbastanza veloce, abbastanza intensamente.
Credo sia uguale quando ti rapporti con qualcosa di così grande.
Io ero spaventata da tutto, qualsiasi cosa per me era un ostacolo invalicabile.
Ho rimandato una semplicissima cena fuori per due mesi, forse anche due mesi e mezzo. E dall'altra parte non c'era nessuno a dirmi che ero incapace, inetta, stupida. Anzi.
"Ma no, ognuno ha i paletti suoi, non ti preoccupare." mi diceva così. Ed io mi vergognavo.
Perché rifiutavo di andare a cena fuori? Perché era impensabile per me fare qualcosa di così intimo come mangiare con una persona per la quale già iniziavo a nutrire sentimenti profondi e stima.
Poi un giorno mi sono stufata e forse spinta dalla fame ho ceduto. Scherzo.
Ho ceduto perché dovevo farlo.
Ho ceduto perché alla fine ho scoperto che non c'è niente di più bello che sedersi ad un tavolo, al caldo, con il mondo fuori e poter osservare tutto con ironia e riderne insieme.
Fa ancora paura a volte, non voglio mentire a me stessa. Fa paura perché non so mai dove mettere le mani, ho sempre il timore che ad un tratto possa cadere nel vuoto, in un vuoto che non ho visto, che non ho considerato. In un vuoto infame che non si sa da dove arrivi.
Se mangiare fuori era atroce, dormire insieme forse lo era ancora di più, ma sorpresa delle sorprese ho scoperto che sono bravissima anche in quello.
Ho scoperto che alla fine nessun limite è invalicabile. E mi faccio pure un po' schifo perché sto facendo della retorica insopportabile, ma la realtà è che vale la pena di fare tutto, di vivere tutto.
La verità è che le persone ti salvano. Anzi, "le persone giuste" ti salvano.
Ti salvano da te stesso, prima di tutto. E non è cosa da poco.
Ieri sera ero una persona diversa rispetto al sette Dicembre del 2014.
Ieri sera ero sicura di me, sicura di quello che stavo facendo. Ieri sera mi sono vestita, mi sono truccata e in testa nessuna voce mi diceva che tanto sarebbe finita come le altre volte. Ieri sera l'unica cosa che pensavo era che non vedevo l'ora di essere a cena, al tavolo, davanti a lui.
Alla faccia mia, di me stessa, di quella che ero l'anno scorso o tanti anni fa. Alla fine ho vinto io.

martedì 1 dicembre 2015

Di nuovo Roma.

Sono tornata, ma non volevo.
Certe volte tornare a casa è un po' morire. Ho lasciato qualcosa a Dublino, ma devo capire cosa.
Non credo sia un pezzo di cuore, come solitamente si dice. Non credo sia quello.
Credo sia altro. Tipo la voglia di visitarla ancora, forse.

Ricominciare a dormire da soli fa schifo.
Ho sempre considerato i viaggi la prova del nove, per tutto. Per capire se con una persona puoi stabilire qualcosa di vero e per capirlo devi viaggiare. Viaggiarci.
Vivere una persona 24 ore su 24 è appagante. Anzi, non una persona, ma LA persona.

In Irlanda mi sono sentita bene.
La gente mi parlava, di tutto, ogni cosa. Si avvicinavano e parlavano.
La trovo una cosa carina, quando sono fuori casa.
Per la prima volta non mi è mancato niente mentre ero via.

Da sempre viaggiare per me significava partire e sapere di aver dimenticato qualcosa a Roma.
Qualche sentimento, ad esempio.
Partivo con un bagaglio che pesava più di quanto doveva, perché ci mettevo dentro tutto.
I rimpianti, le occasioni perse, le situazioni che non combaciavano mai e un tempismo inesistente.

Questa volta è stato diverso.
Sono partita con una valigia leggera, una mente leggera, un cuore leggero.
Ogni tanto mi sono interrogata sul perché le persone facciano di tutto per rovinare quello che di buono hanno, rientrando da sempre in questa categoria mi è sembrata una domanda lecita.

La risposta non la so, non sono riuscita a darmela, ma la scusa dell'avere paura non regge più.
Bisogna trovarne un'altra, una che sia vera possibilmente.
Oppure bisogna smettere di farlo, semplicemente. Memo per me stessa.
Forse la bellezza di partire con un bagaglio - mentale - leggero sta nel tornare a casa leggeri.

Tornare a casa leggeri significa non essere tristi perché non si è più in viaggio, ma essere contenti di poterne fare ancora e ancora e ancora e ancora.
La parola ancora è una lama a doppio taglio, da una parte c'è l' "ancora" gioioso, quello che ti fa vivere qualcosa ancora una volta; dall'altra l'atroce "ancora", quello che ti fa vivere qualcosa ancora una volta.

La differenza è sottile, ma c'è.
E quindi: 
Chi vuol essere lieto sia,
del doman non v'è certezza.