lunedì 22 dicembre 2014

Spero solo che.

Dicembre è quasi finito e l'ho vissuto talmente bene, quest'anno, che ho quasi paura che passando si trascini via tutto quello che di buono ha portato.
Dopo tanto tempo mi sveglio pensando che la giornata potrebbe non essere del tutto sprecata, che ho la possibilità di cambiare ciò che va rimesso a posto e, cosa più importante, sono motivata a farlo.

Non ho mai freddo, in questo Dicembre.
Ma gli altri dicono che la temperatura sia bassissima.
Allora capisco che forse è merito di altro, merito di qualcosa che mi riscalda, che mi tiene al sicuro.

E' tutto così reale che sembra non esserlo e devo sbrigarmi, mi devo svegliare.
Devo capire in tempo che quello che vedo, quello che sento, c'è e ci sarà.
Perché c'è. Ci deve essere e ci sarà.
Oggi mi sono guardata allo specchio e ho detto "sono pronta".

Mi sono specchiata ancora e mi sono riconosciuta.
Sento che ho smesso di avere paura.
E' una sensazione che odio, perché puntualmente, nel mio passato, mi ha sempre riconfermato che bisogna stare attenti, che bisogna andare adagio.

Non mi interessa più.
Sono una donna. E corro il rischio.

mercoledì 17 dicembre 2014

Mercoledì di Sole.

Oggi a Roma c'è il Sole.
Un Sole caldo, seppure invernale.

Stanotte invece pioveva e tuonava.
Ed in macchina mi hai detto che ti da fastidio la pioggia, se non sei a casa, magari dentro al letto.
Ti ho guardato e mi hai sorriso.

A me la pioggia piace, te l'ho detto.

Oggi a Roma c'è il Sole e l'ho sentito sulla pelle stamattina.
Sono scesa giù in strada, con il cane affianco, la via vuota e gli alberi spogli.
Ho guardato intorno a me e c'era una coppia di anziani che parlava del medico da cui erano appena stati.
E' molto bravo, si dicevano.

Mi sono goduta questo Sole alto, caldo e perfetto.
Ed in quel momento, giuro, non mi mancava niente.

Ho chiuso gli occhi e ho ringraziato quel frammento, ho ringraziato per il Sole, per il cane che mi camminava affianco, per la coppia di anziani che mi hanno fatto stringere il cuore.
Ho ringraziato le maniche lunghe.
Ho ringraziato l'inverno.
Ho ringraziato una pace che non pensavo esistesse più.
E ho ringraziato te, perché si sente che ci sei.

venerdì 12 dicembre 2014

Cambieremo M a i .

In zona S. Giovanni c'è una via stretta stretta, a senso unico, dopo Piazza Zama, girando sulla destra.
E' un posto così pieno d'amore che quasi fa paura passarci davanti, dopo anni.

Oggi è venerdì e le cose sono cambiate.
Oggi è venerdì e non si va a Via Lidia stasera.
Perché Via Lidia non c'è più.
O meglio, lei sì, ma noi no. 

A Via Lidia è rimasto tutto di noi, il cuore, i ricordi, le risate e le urla della signora del primo piano.
Quella signora che abbiamo sempre preso in giro, ma che alla fine abbiamo rispettato.
La spavalderia non è stata il nostro forte quando ci ha messo davanti alla verità, quando abbiamo chinato la testa e chiesto scusa.
Sono sicura che sente la nostra mancanza anche lei.
Sembrava assurdo, anni fa, quando rimanevamo fino a tarda notte davanti a quel cancello. Sembrava assurdo che un giorno potesse mancarci tutto questo. E invece così è stato.

Se torno indietro con la mente, riesco a ricordare perfettamente il momento in cui la magia si spegneva e sentivamo le sirene avanzare, facendo a gara a chi fosse il più veloce a riprendere la macchina e ad allontanarsi da lì per poi ritrovarci qualche metro dopo a ridere e pensare di averla sfangata anche quella volta.

Allora ci vediamo alle 22:00 a Via Lidia eh.
Questo ci dicevamo.
E alle 22:00 puntualmente eravamo lì. Chi puntuale, chi meno.
Perché non era la puntualità ad essere importante, anche in ritardo di due ore, eravamo sempre puntuali.
Era il fatto di esserci.
Di ritrovarci. Ognuno con i suoi infiniti problemi, con mille paranoie da mettere da parte.
Da dimenticare per quelle ore.

E si parlava del lavoro, che non andava tanto bene.
Dello studio, che ci opprimeva.
Della manifestazione, che era andata bene, ma non eravamo contenti lo stesso.
Si parlava del concerto, che non vedevamo l'ora arrivasse.
Si parlava della trasferta.
Si litigava, ci si scannava, per colpa del Derby o di chissà quale altra cosa.

Poi ci si guardava, si dicevano due parole e capivamo tutti che tanto lontano non potevamo andare.

Oggi è venerdì.
Oggi non si va a Via Lidia.
Oggi non si scherza sulla manifestazione, non si litiga per la squadra, non si ride per il concerto.

Quel cancello è rimasto chiuso, da anni.
Nessuno l'ha più aperto. E quando ci passo davanti rivedo tutti noi lì fuori, anche a Gennaio, anche col freddo. Sì, perché dentro non si fuma, mi raccomando.

Questa storia che dentro non si poteva fumare ci ha portato a congelarci le mani e la faccia, durante i nostri inverni in quella via stretta stretta, a senso unico.
Ci ha portati a stringerci, abbracciarci e nei casi più fortunati, a baciarci. Ed incontrarci.
Dentro non si fumava, ma fuori si faceva l'amore. Anche senza farlo.
Perché il nostro esserci era Amore.

Le cose sono cambiate con quel cancello chiuso.
Ed ogni volta, ogni giorno, ogni incontro, è un eterno ricordare. Ridere e piangere insieme.

Eh, ti ricordi quando andavamo a Via Lidia.
Questo ci diciamo, oggi.
E ce lo ricordiamo tutti, quando andavamo a Via Lidia.

Come quella volta che ci siamo allontanati, per il compleanno di Alessio.
Arrivati a Via Ostiense, poi, ci siamo guardati e abbiamo detto "ma perché siamo qua?"
e ridendo siamo tornati indietro. Era il nostro luogo. Il nostro angolo di Paradiso.
L'oasi che ci proteggeva.

C'è una via stretta stretta in zona S. Giovanni, dopo Piazza Zama, girando sulla destra.
E' una via a senso unico.
Perché forse a Via Lidia ci si può solo andare, ma mai tornare indietro.

martedì 9 dicembre 2014

Pioggia vicina.

Mi è capitato di sognarti stanotte. Due volte.
Appena sveglia sono andata a riguardare gli album delle nostre vacanze, ho riso ripensando a tutto quello che ci è successo, a come abbiamo sempre rimediato ad ogni cosa solo standoci vicine.
Ho riso ed avrei voluto chiamarti e dirti che ti sarei passata prendere, che saremmo andate nel nostro bar di fiducia, che dovevo raccontarti un sacco di cose e avrei chiuso la telefonata con "eh, lasciamo sta va, poi ti dico, fra poco passo."

A me quel "fra poco passo" manca più di ogni altra cosa.
Mi manca guardarti con la faccia solita di chi deve dire tante cose e può farlo solo con te.
E mi manca guardare la mia stessa faccia riflessa nella tua, e tu che con la stessa identica espressione mi dici che tanto gli altri non ti capiscono e che certe cose le dici solo a me.

Non so perché alcune situazioni nella vita decidano di andare così male.
So solo che non lo accetto.

Avevi i capelli rossi, nel sogno. Come tanti anni fa.
Ti guardavo e dicevo "hai rifatto sta stronzata eh?", perché tanto questo facevamo. Stronzate.
E ne stiamo facendo una gigante adesso.
La stronzata più grande della nostra vita. Della mia sicuramente.
Abbiamo preso questa pessima decisione di non parlarci più e c'è talmente tanto silenzio nella mia vita, che per la prima volta in ventidue anni mi sento di aver perso la cosa più importante che io abbia mai avuto.

Quel "fra poco passo" è stata la mia conferma per anni e anni.
E fa male sapere che forse è troppo tardi.

Passo sotto casa sua e non ci sei tu ad apostrofarlo con pessimi aggettivi.
Indosso la felpa, quella che ho comprato a Berlino e non ci sei tu a prendermi in giro perché nel negozio ho fatto una della mie solite figure.
Riguardo le foto e vorrei dirti che mi manchi, che sei più di un'amica, più di una sorella, più di tutto e tutti, ma poi lascio stare perché alla fine ho solo paura.

Avevi i capelli rossi, nel sogno. Come tanti anni fa.
E magari fra poco passo. Come tanti anni fa.

domenica 7 dicembre 2014

Domenica.

Domenica per me vuol dire tante cose.
Domenica è l'insieme di tanti ricordi.

Non ho mai apprezzato il settimo giorno della settimana, non mi è mai piaciuto e forse non l'ho mai nemmeno capito fino in fondo.
Non mi è mai interessato, probabilmente.
Questa domenica mi sembra strana, ma bella.

E' una domenica piena di impegni e di morse allo stomaco.
Una di quelle in cui responsabilizzarsi, una di quelle in cui mettersi in gioco.

E' difficile mettersi in gioco, di domenica.

Ho fatto una scommessa con me stessa, ho forzato la mia parte più indolente.
Ho sacrificato ore e ragionamenti preziosi e non sto permettendo al mio cervello di accendere la spia della mia ansia più grande.

A poco a poco sto cambiando tante cose. O almeno così mi sembra.
E se posso andare in giro con i tacchi senza vergognarmi, allora posso anche mettermi in gioco. Di domenica. Oggi. E magari domani e per i giorni a venire.

La paura mi attanaglia, ma ho deciso di sembrare più forte.

Di paura non si muore.

giovedì 4 dicembre 2014

Dicembre.

Dicembre è arrivato troppo presto e più impetuoso che mai.
E' un Dicembre strano, caldo, pieno di Sole e ha davvero poco a che vedere con il mio Inverno.
Quello che aspetto con ansia, ogni volta.
Dicembre è un mese che mi fa paura.
Così pieno di aspettative, così carico di momenti che portano a riflettere.

Dicembre è il mese in cui tutto viene rivalutato.
Anche la città in cui vivi.

Esco in strada e vedo tutte queste luci, queste persone nevrotiche che corrono da una parte all'altra.
Sì, perché Dicembre è un po' il mese in cui si corre.
Si corre a fare regali a parenti che non vediamo da secoli o che non sopportiamo.
Si corre a consumare le ultime ore di lavoro prima di godersi una meritata pausa.
Si corre con lo studio, per superare al meglio la sessione d'esami. O per superarla e basta.
Si corre da un amore, per dichiararsi, confessarsi, per mettersi l'anima in pace.

Io non so dove corro.
Non so nemmeno se corro.
Probabilmente è una corsa mentale ad ognuna di queste cose, ma di spostamenti nemmeno l'ombra.

Forse è questo che bisogna concentrarsi a fare.
Correre.
Anche senza meta.
Correre e vedere se durante la corsa qualcuno ci segue, un po' come in Forrest Gump.

E, forse, se nessuno ci segue, vuol dire che dovevamo correre da soli. Ma senza aver paura.

sabato 29 novembre 2014

Attese.

Ero al bar prima, seduta come se aspettassi qualcuno.
Con quello sguardo un po' indaffarato di chi fa finta di cercare fra la gente, per non far vedere quanto è solo. Quello sguardo che giustifica la sedia vuota affianco a te, quello che non fa avvicinare nessuno perché da un momento all'altro chissà chi potrebbe arrivare.
E invece poi te ne stai lì da solo, con una tazza di cappuccino davanti. E più il livello della bevanda scende, più lo sguardo è meno indaffarato.
Meno in cerca. Meno impegnato, ma più consapevole.

Ebbene ero al bar.
Seduta come se stessi aspettando te, come se tu stessi facendo tardi. Come se quel cappuccino fosse solo un scusa per rubare un po' del comfort di quella sedia che mi sosteneva.
Mi fingevo indaffarata, presa dalle mail che mi arrivavano sul cellulare, intenta a messaggiare con qualcuno che riempisse questo vuoto momentaneo.

Ero seduta al bar e finito il cappuccino ho provato forte imbarazzo.
Si, perché tu non c'eri.
Non arrivavi.
E la cosa peggiore è che lo sapevo dal momento in cui ho fatto l'ordine al barista. 
Lo sapevo addirittura da prima.
In realtà lo so sempre.
Lo so sempre che tu non arrivi, che non sei in ritardo, che non ti sei perso per strada, che non hai avuto un contrattempo, che non sei stato trattenuto in ufficio.
Passava una signora con un cane al guinzaglio, mentre ero seduta al bar.
Ma il cappuccino era finito ed il tempo era finito. E forse, solo forse, ero finita un po' anche io.

giovedì 27 novembre 2014

Non volevo, ma ho dovuto.

Avevo smesso di ascoltare quella canzone forzatamente, ma l'ironia del destino ha voluto che capitasse in una riproduzione casuale senza lasciarmi nemmeno il tempo di metterla a tacere subito.
Troppo facile pensare di ignorare qualcosa affinché non ti faccia male.

Mi sono seduta e l'ho ascoltata. Dalla prima all'ultima strofa. 
E ogni tanto associavo la mia voce a quella del cantante che sofferente continuava a ripetere qualcosa sui sogni, sul desiderio.
Più l'ascoltavo, più mi ripetevo che è una canzone spettacolare.
Talmente tanto che il giorno in cui tu mi dicesti "questa mi fa pensare a te, sentila", non potevo credere che me l'avessi dedicata. Proprio quella, proprio a me.
L'ho ascoltata fino a consumarla, fino a consumarmi. Fino a farmi male.
E poi l'ho dovuta scordare.

Oggi la riascolto e mi chiedo il perché di tante cose.
E non mi rispondo, che è forse la parte peggiore di tutte.
Quelle parole, quella musica, quella melodia, fanno parte di un'idea che mi ha cullato per tanto tempo.
Forse addirittura da prima che la partorissi.
Ogni strofa che risento affonda come un coltello nella carne, poi alzo il sopracciglio e mi dico che sono coraggiosa. Me lo dico da sola perché nessun altro lo sa quanto me.
E allora canto e sono addirittura felice.
Perché la canzone è bella e non fa niente quanto faccia male, ho ancora la voce per cantare questa e altre cento strofe.

mercoledì 26 novembre 2014

Novembre.

Ho deciso di ricominciare a scrivere su un blog perché quaderni e quadernini mi iniziavano ad andare troppo stretti. O forse perché se me li trovo davanti e mi avventuro a leggere le mie stesse righe, mi viene un groppo in gola che mi fa smettere di botto.
Bisogna scrivere e dimenticare, mi sa che è proprio questo il segreto.
Non so come funziona, se bisogna presentarsi, se è necessario dedicare un trafiletto a cosa si fa, cosa si è, cosa si ama e cosa si odia, ma anche se fosse, non voglio farlo.
Le presentazioni rovinano tutto, cercano di venderti bene un prodotto che col tempo si usura, si perde, si devitalizza. E forse devitalizza un po' anche te.
Forse, al posto di presentare, sarebbe meglio scoprire.

Oggi a Roma piove.
E' uno di quei rovesci tipici di Novembre, che anche se è mezzogiorno sembra quasi che il Sole stia per tramontare. Queste giornate mi piacciono, mi scaldano, in un certo senso.
Mi danno l'illusione che è solo pioggia, che passa. Basta aspettare.
E poi mi dimentico che per mesi e mesi, spesso di piovere non smette mai.
Ma ogni nuovo giorno mi porta a sperare che manca poco. Che in fondo è quasi finita.
Novembre è da sempre il mio mese preferito, lo vivo e penso sia un'occasione.
Non so bene per cosa, sono ventidue anni che cerco di capire di che occasione possa trattarsi.
O forse è solo il mese della speranza. E della pioggia.

Ho un ricordo per ogni mese della mia vita,
ma gli altri mesi non sono Novembre.
Gli altri mesi non si colorano di aspettative, nemmeno un po'.