venerdì 30 dicembre 2016

La teoria del caffè.

Non riesco a scrivere e questo succede solo quando sono troppo confusa per capire quello che sento, sono giorni che fisso fogli di carta e pagine di Word per cercare di buttare giù qualcosa, ma non esce nulla. Per chi come me che si riconosce solo rileggendosi, questo, è davvero frustrante.
Stanno succedendo tantissime cose eppure continuo a sentirmi ferma.
In questo periodo dell'anno è facile concentrarsi su ciò che ci hanno lasciato i giorni prima della fine del duemilasedici. Ed è snervante fermarsi a ricordare, a fare bilanci, a mettere a posto le idee.
In quest'anno passato io ho solo perso.
Ho perso due persone che reputavo importanti, così, come si perde una partita a carte.
Ho perso fiducia.
E ho perso me stessa. O almeno, un po' di quella me stessa che adesso non ritrovo più.
Il duemilasedici mi ha insegnato che non bisogna mai abbassare la guardia, nemmeno quando pensi sia giunto il momento di farlo; mi ha insegnato che prendere molti caffè con molte persone diverse non equivale a sopperire una mancanza. Anzi, spesso, molta caffeina con persone sbagliate non fa altro che aumentarla.

Sì, il duemilasedici è forse stato l'anno che mi ha reso caffeinomane.

Si fa questo errore di cercare una certa persona in tutte le altre, in tutte quelle che incontri.
Al supermercato, sotto casa, nel traffico, in metro. Ovunque.
Ma lei non c'è. Semplicemente non c'è, perché è andata via. E non sarà di certo prendendo altri venti caffè in venti bar differenti con altrettante differenti anime che la ritroveremo. Non funziona così.
Quella persona è adesso chissà dove, percorrendo un'altra strada, un altro viaggio senza di te.
Con il cuore rattoppato alla meno peggio un giorno capisci che di caffè non ne puoi più e decidi che è arrivato il momento di qualcos'altro. Di pace, ad esempio.
Questa è una sensazione impagabile, che per quanto strana, mi porta a ringraziare questo anno di merda. L'assurda indecente meravigliosa sensazione di capire, finalmente, che anche se fa male va bene così.
La consapevolezza di esser tornati liberi. Dai pensieri, dalle paranoie, dal sentirsi sempre sbagliati qualsiasi cosa si faccia. 
Perché, un giorno, mentre bevi l'ennesimo caffè - questa volta da sola - dopo aver pianto tanto, dopo esserti specchiata e non esserti riconosciuta, dopo aver dormito dieci minuti a notte, inizi a volerti bene. Inizi a ripercorrere ogni istante, ogni frammento, ogni singolo momento passato e capisci che meglio di così non potevi essere.

Sì, il duemilasedici è forse stato l'anno in cui ho pianto di più, ma anche quello in cui ho imparato ad amarmi leggermente di più. 

Non importa quanto tempo è passato, quanta tempesta c'è stata.
Si può camminare senza tanti pezzi, se ne possono perdere centinaia lungo il tragitto, ma forse l'unica speranza sta nel sapere quale non lasciar andare per sempre.
Faccio ancora fatica eh, sia chiaro, ma adesso quando mi specchio, negli occhi di quel riflesso, vedo una consapevolezza che fino a ieri non c'era o chissà dove cazzo era finita.
L'importante, credo, è averla trovata.
Dopo aver pianto tanto, dopo essermi specchiata senza riconoscermi, dopo aver dormito dieci minuti a notte, so che quella sbagliata non sono stata io. 
Anni fa, tanti, forse troppi, mi facevo tatuare "The Heart Asks The Pleasure First", che oltre ad essere un capolavoro di Michael Nyman è anche una grossa verità.
Il duemilasedici sta finendo e non vedevo l'ora; sono abituata a godere di cose semplici e questa, nella sua banalità, lo è.
Da uno stupido caffè preso distrattamente in un bar di zona possono succedere tante cose.
Ci si può trovare e perdere. Soprattutto perdere.
Il duemilasedici mi ha insegnato che, spesso, mentre sei indaffarato a cercare qualcuno in qualcun altro, mentre passi al setaccio ogni sorriso per capire se è quello giusto per affiancarsi al tuo, mentre osservi le mani di chi hai di fronte, mentre fantastichi di girare il mondo, mentre tenti di scoprire se un po' di quell'ironia che ti affascina riesci a scovarla dentro ad un nuovo corpo, mentre tutto intorno gira senza senso, mentre hai capito che le persone importanti che hai perso stanno tenendo la mano ad una che non sei tu, mentre ti rendi conto che le persone sono uniche e non ne trovi di false copie in giro per il mondo, 

in quel momento,

sai che è stato meglio così.

martedì 20 dicembre 2016

Quando viene Dicembre.

E' tornato anche Dicembre, prima di quanto pensassi.
Vivo questo periodo con distacco non capendo quanto davvero manchi poco alla fine dell'anno e a quella ricorrenza nefasta che segna distintamente la fine di una vita e l'inizio di un'altra.
E' facile e scontato fare bilanci quando ci si trova in questa fase, ma non sono ancora pronta a farne.
Se passo al setaccio ogni mese dal Dicembre scorso ad oggi vedo solo macerie.
Vedo solo croci impilate ben bene una sopra l'altra e, come dice De Gregori, quelle croci non sono altro che amori dalle gambe corte, allineati come collezioni di chincaglierie in una teca preziosa.

E' un anno da cancellare e non vedo l'ora che passi.
Ultimamente succedono cose che non riesco a gestire, non so se sto andando nella direzione giusta; anzi, in realtà, non so nemmeno se sto andando in una qualche direzione.
Mi sono sempre sentita ferma, statica; oggi invece mi sento in movimento come una trottola. E come ogni trottola che si rispetti, continuo a girare in tondo senza mai trovare pace. Senza fermarmi mai.
Capita di riscoprirsi in tanti modi che prima non si conoscevano e ho paura di aver recentemente tastato un lato di me che ignoravo.

Il duemilasedici è l'anno in cui ho perso un sacco di cose.
E per cose intendo persone.
E affetti.
E dignità.
E amore verso me stessa.
Eccetera.

Mai come quest'anno ho sperato arrivasse un nuovo giorno, un nuovo inizio. Qualsiasi, purché diverso. O reale. O curativo.
Mai come quest'anno ho annaspato dall'alba al calar del sole, augurandomi di riprendere fiato nelle ore successive al risveglio, pregando di trovare sollievo quanto prima.
Oggi è una di quelle giornate in cui mi sento sola al mondo, di nuovo.
Sarà che la domenica si porta dietro i suoi strascichi amari, sarà che il mio pranzo era condito con amarezza e disprezzo, ma questa sembra una giornata inaffrontabile.

L'altro giorno mio padre mi ha fatto commuovere.
Lui è uno a cui piace cucinare e avevo bisogno che mi preparasse qualcosa in particolare, ne avevo bisogno perché sentivo che se qualcuno non mi avesse sorretto sarei finita in un baratro ancor più profondo di quello in cui sono adesso.
Mio padre è bolognese: "mi fai le tagliatelle al ragù stasera?", gli ho scritto.
"E' domenica, il supermercato qua sotto è chiuso, dovrei prendere la macchina e arrivare a quell'altro, quello lontano e oggi volevo passare la giornata sul divano a guardare le partite, ma per una figlia si può fare." ha risposto. Ed io mi sono commossa.
Vedi, basta poco per sentirsi amati. A volte.

E' questo quello che nessuno ha mai capito, che basta poco. Davvero poco.
C'è sempre il rovescio della medaglia, però.
Per qualche minuto ho avuto gli occhi lucidi pensando a mio padre che avrebbe passato la giornata in cucina per me e per ore ho avuto le ghiandole lacrimali in esubero pensando a mia madre che, invece, di me non vuole più saperne.
Non sono solita parlare della mia famiglia o almeno non sono solita parlarne come davvero se ne dovrebbe parlare. E' che mi fa male e cerco di sotterrare l'argomento sotto un sacco di tappeti immaginari che spero nessuno sposti mai.

Non so cosa è successo ad un certo punto, probabilmente qualcosa si è rotto e da quel momento la mia mamma non mi ha voluta più.
Forse non lo sa nemmeno lei perché, ma ormai è così. Ed è un vortice dal quale non usciamo.
Ogni anno che passa, in previsione del Natale, mi sale sempre più ansia. Quest'anno in particolar modo.
Non mi piace dover fare sempre paragoni, ma sono stata meglio di così e non mi spiego come possa esser già finito tutto.
Nella vita capita di dover far fronte a cose che mai avremmo creduto potessero accaderci e risulta sempre più difficile, in effetti, guardarle in faccia con spavalderia e affrontarle.

Forse mi ero illusa potesse essere diverso, per una volta, anche per me. Chissà.
Mi è capitato di conoscere un sacco di gente ultimamente, di vivere situazioni non mie solo per il gusto di doverci provare, di mettermi alla prova.
Dopo tre anni di Università ho capito come funzionano le cose all'interno di essa, proprio adesso che il mio percorso è quasi concluso.
Ogni tanto penso alla difficoltà di ripristinare se stessi dopo le delusioni, la capacità di ricomporci pezzo dopo pezzo come fossimo puzzle.
Ed esattamente come un puzzle, il grande classico di perdere dei pezzi che non ritroveremo mai.

Il duemilasedici è stato l'anno delle mancanze.
L'anno in cui mi sono affezionata a cuori impossibili.
L'anno in cui ho capito che essere forti non vuole dire proprio un cazzo di niente.
Il duemilasedici mi ha travolto come l'onda sugli scogli, portandosi via gran parte di me; portandosi via intere giornate, tempo che nessuno mi ridarà mai.
Il duemilasedici mi ha insegnato tantissime cose, forse fra tutte, a difendermi. Ancora.
Non so cosa mi aspetta da Gennaio in poi, ma so per certo che inizierò un nuovo anno più agguerrita, più disillusa, più a pezzi, più speranzosa, più tormentata che mai.

Eppure all'inizio le cose sembrano così facili...

martedì 22 novembre 2016

Mi sento come il trailer prima di un film.

Non so perché perdo le persone come mi capita di perdere gli accendini. E nemmeno fumo.
Sembra che chiunque entri nella mia vita abbia con sé un biglietto su cui è scritta la data della fine del nostro rapporto. O peggio, sembra che io abbia firmato le mie dimissioni senza sapere quando queste mi toccheranno, quando sarà arrivato il momento di farmi da parte per lasciare spazio a qualcun altro.
Nel film della mia vita sono sempre comparsa e mai protagonista.
Guardo la vita degli altri riflessa nella mia, che mi tocca piano, mi sfiora da lontano, come per darmi l'assaggio di ciò che potrebbe essere, ma non è e mai sarà. Guardo tutto questo da dietro le quinte, da un panneggio lasciato lì per dare l'illusione che sia tutto in ordine fra palco e realtà.
E no, non sto citando Ligabue.

Sembra che io prepari il pubblico alla prossima scena, quella bella, quella piena di significato.
Mi sento come il comico d'apertura prima del comico famoso, come la band di spalla prima delle vere rockstars.
Non mangio da circa una settimana e non dormo da due. Ogni minuto che passo con gli occhi chiusi, nel letto, lo benedico come fosse oro perché mi separa dal giorno che sta per arrivare.
Credo di aver rinunciato, ancora una volta.
Se mi guardo allo specchio mi vergogno spesso e volentieri. Ogni pregio che riconosco in me stessa corrisponde ad almeno dieci difetti che non riesco a cancellare e non riesco ad ignorare.

Non so cosa sbaglio, non lo so mai. 
Passo le mie giornate a dare il meglio di me agli altri, come se i miei gesti - a questo punto inutili - stessero lì a gridare "guarda cosa sto facendo per te, guarda come mi riesce bene" per morire subito dopo mezzo sorriso abbozzato sulle labbra di chi probabilmente già sa che quello che fai ti si ritorcerà contro, in un modo o nell'altro.
Se mi fermo a pensare mi scoppia la testa.
Essere così come sono è tutto ciò che ho. E tutto ciò che giorno dopo giorno mi uccide senza pietà.
Vorrei essere come quella che gli altri vorrebbero che fossi ed invece non sono capace.

Io sono la stessa che porge, non solo l'altra guancia, ma probabilmente anche tutto il resto.
Mi sento come quei giochi nei vecchi Luna Park, quelli con il bersaglio su cui era scritto "colpire qui". Solo che non è tanto divertente.
Non mi piace passare da vittima, odio la compassione degli altri, io non vorrei niente di tutto questo.
Vorrei semplicemente arrendermi.
Vorrei svegliarmi domani mattina con la consapevolezza di non poter far niente, di non dovermi incaponire, cercare soluzioni, dare dimostrazioni.

Puntualmente le energie che investo negli altri si rivelano vane e capisco che il mio affannarmi è stato completamente inutile. Completamente senza senso.
Mi tortura rendermi conto di essere o essere stata un passatempo, una parentesi divertente magari, un pomeriggio diverso dal solito, una sera in compagnia, un caffè durato ore, una battuta lanciata lì per caso; mi tortura sapere di essere stata quella di cui nessuno parlerà più.
Quella prima dell'altra.
E mi chiedo se esiste qualcuno, nel mondo, che stia aspettando proprio me.

Nelle migliori commedie americane, quelle con la produzione fichissima che può permettersi di pagare un cast della Madonna, c'è sempre il lieto fine.
Qualsiasi film sulla danza insegna che, alla fine, dalla strada passi a ballare nei migliori teatri e addirittura finisci in televisione a farti valere e a dimostrare a tutti quelli che non hanno creduto in te che sei una persona vincente e gli altri non hanno mai capito nulla.
Già. Nelle commedie americane.

Io alle mie spalle non ho nessuna produzione, sarà per questo che non sono finita in nessun teatro.
Se non dietro le quinte come al solito, s'intende.
Sulla schiena ho un tatuaggio; è complesso, è coloratissimo. Nel casino generale del disegno c'è scritto "happy ending is just moving on". 
Il lieto fine è solo andare avanti.
E adesso il mio lieto fine è sperare di dormire la notte, provare a mangiare qualcosa in più, tentare di non piangere mentre sono a lezione, con il professore davanti.

Adesso il mio lieto fine è ricompormi.
Tanto sul palco c'è già qualcun altro.

venerdì 11 novembre 2016

Novembre.

Novembre è sempre stato il mio mese preferito, anche se a spiegarlo, poi, mica lo so il perché.
Ci sono cose che ci piacciono e basta, senza una ragione vera e propria. Come le persone.
Per me è un periodo strano, come il tempo ultimamente; a volte fa ancora caldo, un caldo che ha davvero poco a che vedere con questo mese così autunnale. Altre volte invece fa freddo e tutto sembra conciliare perfettamente con la nostalgia tipica di questa fase.
Giorni fa un'amica di famiglia mi ha inviato delle vecchie foto dove compaio ancora biondissima e riccissima e piccolissima, mi sono arrivate dritte come un pugno in faccia.
Quante volte ho desiderato tornare indietro e rifare tutto da capo. Anche se poi, se ne avessi l'occasione, non so quanto sarei in grado di rimettere tutto a posto e farlo andare come vorrei.

Adesso non compaio più nelle foto di famiglia, non che ce ne facciamo poi tante, ma non ci sono nemmeno in quelle poche e sporadiche che vengono scattate. Non lo so nemmeno io il perché.
Le cose sfumano e credo questa sia una di quelle.
Novembre si trascina dietro un velo di malinconia che, più che un velo, è una matassa pesantissima che ricopre tutto come la strana nebulosa che si trovava nei salotti intellettuali dell'epoca di Walter Benjamin. Tale e quale, ma più triste.
Ci sono giornate che mi attaccano come si attaccano i cani alla gola quando litigano e ne porto il peso finché non vado a letto. Vorrei fare un viaggio, partire, spostarmi, andare via, anche per poco, almeno per riprendere fiato.

Sembra che tutti abbiano trovato il loro posto nel mondo, tranne me.
Giorni fa ho visto uno dei miei più grandi amici laurearsi per la seconda volta, mentre io sono qui che arranco ancora per la prima. Ho visto sua mamma commuoversi e mi si è stretto il cuore, io non so nemmeno se la mia ci verrà alla mia seduta. La verità è che non so proprio niente.
Ho sempre invidiato quelli che a vent'anni pensano di sapere tutto; io non solo non sono fra questi, ma mi sta anche balenando nel cervello l'idea di non voler sapere proprio nulla. Mai.
Forse ci si difende non sapendo, chissà.
Una sorta di "stupidi, ma felici" rivisitato.
Ho la sensazione che quando vengo a conoscenza delle cose, queste, inesorabilmente peggiorino.

Ho maturato l'idea di fregarmene di come appaio.
Sembra la più grande banalità mai sentita, mi rendo conto. Quello che voglio dire è proprio che non mi interessa apparire fragile, debole, sensibile, triste, troppo triste, sventrata da dentro a fuori. Non mi interessa, perché adesso è questo quello che sono.
Me lo ricordo quando non era così e sì, certamente, mi manca, ma al momento non trovo una via d'uscita estremamente valida per mostrarmi in modo diverso da quello che realmente sono ora.
E' così. E la gente deve farci pace.
Spesso sembra di dover essere forti per gli altri, per non farsi vedere a pezzi da fuori, perché potrebbero pensare che sei una persona troppo delicata per vivere.

Giorni fa ripensavo ad una delle tante volte in cui mi trovavo nella metro di Londra.
Era stata una giornata faticosa: ero con amici che non ci erano mai stati e non so perché, anche nei posti che non sono i miei posti, tocca a me fare da Cicerone. Sempre.
Avevo camminato tutto il giorno e quel sedile scomodo del vagone dell'underground mi sembrava la cosa più confortevole del mondo. Una sensazione impagabile.
Poi è successa una cosa.
Davanti a me due ragazzi hanno iniziato a litigare. Lei lo accusava di qualcosa e lui scuoteva la testa; poi lui accusava lei e lei alzava la voce. Non mi piacciono i litigi, in generale, ma vuoi o non vuoi quando li hai davanti, per forza di cose, te ne interessi. E chi dice che non è vero mente.

Insomma le fermate ed i minuti continuavano a passare e loro a litigare. 
Ad un certo punto lui credo stesse proprio sul punto di lasciarla, o quasi, perché lei iniziò a piangere così tanto che per poco non allagava la metro.
In quel momento si è fermato tutto. Quando dicono "in Inghilterra puoi fare come ti pare, tanto non ti dice niente nessuno", non è così. E' che alla gente non frega un cazzo. E non sempre in positivo.
In quel momento, dicevo, lui - che era in piedi davanti a lei, sul punto di scendere - è tornato indietro e ha iniziato a urlarle "vedi? Queste sono cazzate, tutte cazzate, perché io ti amo cazzo!".
Lei, come era prevedibile, ha iniziato a singhiozzare ancora di più e quasi quasi c'ero anche io. Dopo qualche fermata lei aveva smesso di piangere, lui di urlare e nella mia testa l'Amore aveva trionfato.

Mi auguro che tornando a casa abbiano sfondato il letto per fare pace e adesso si amino ancora allo stesso modo.
E' una cosa a cui ripenso da anni, non l'ho mai dimenticata. Io non so che fine abbiano fatto e con ogni probabilità, sogni e favole a parte, si saranno anche lasciati, ma quello che ho visto era reale.
E' diverso litigare quando ci si ama. 
A fasi alterne mi torna in mente questo ricordo perché mi aiuta a mantenermi lucida. Ed è ironica come cosa, perché quei due non sanno nemmeno che esisto, ma mi hanno fatto un favore senza saperlo.
Quel "because I fuckin' love you!" al tempo mi ha fatto capire tante cose. Anche se loro non lo sanno.

Quando vedo o ripenso a scene del genere capisco che non è tutto perduto, in generale.
Quello che vorrei è non doverlo pensare di me. O meglio, vorrei credere che ci sia speranza. Non so come, non so quando, non so perché, il pensiero comunque dovrebbe essere che trionfi.
Le cose continuano inesorabilmente ad andare verso una deriva melmosa, quello che mi auguro è che ad un certo punto ci sia così tanta melma che costringerà tutte queste cose a fermarsi, senza continuare ad andare giù e più giù ancora.
Se penso al mio futuro, non importa quanto futuro, anche prossimo, io non so cosa dire.
Non ho un piano, perché tutti quelli che avevo fatto in precedenza sono svaniti e adesso non ne ho più. Forse non vale la pena farne, forse devi lasciare che le cose vadano.

Recentemente mi hanno detto che in futuro sarò meno spaventata, più consapevole. Ma mi hanno detto anche che ho ancora qualche girone infernale da scontare. Speriamo duri poco.
Nella mia testa, l'unica e martellante domanda, è sempre la stessa: un'incessante suono fastidioso che mi obbliga a chiedermi perché.
Perché di tutto.
Perché fino ad ora è dovuta andare così.
Perché a me.
Perché non vedo vie d'uscita.
Perché sembrano essere tutti in fuga.

Non faccio progetti, non faccio pronostici, non faccio strani voli pindarici con la mente perché ho imparato che - forse - non serve, tanto la vita decide da sola e a volte ti include nel suo progetto.
Altre volte invece verso mezzanotte sei a casa ad interrogarti, a pensare ad una coppia londinese incontrata tanti anni fa e a scrivere su un blog; che è quello che è, insomma.



Vorrei solo essere di nuovo quella che non ha paura.

giovedì 13 ottobre 2016

Tredici Ottobre, ore Quindici e Trentotto.

Oggi vorrei essere come tutte le altre.
Vorrei essermi svegliata in un altro corpo, in un'altra testa, in un'altra vita.
Oggi vorrei essere tutto ciò che odio, ma che in fondo invidio.
Mia madre mi voleva diversa: con meno tatuaggi e più studiosa. Mi voleva magra come quando ero piccola, meno prosperosa e meno isterica, ma più oca.
Mia madre mi voleva con i capelli chiari come quando sono nata e nemmeno questo le ho lasciato. 
A mio padre, invece, vado bene come sono. O almeno questo sembra.
Lui non ha mai avuto pretese. Ha sempre accettato tutto così come gli veniva proposto.
Mio padre è quello che quando anni fa, entrando in casa, dissi di volermi fare i capelli blu, rispose "ma perché non verdi?" ed era serio.
Che tipo, mio padre.
Ma oggi non vorrei essere quella figlia, vorrei esserne un'altra.
Oggi avrei voluto svegliarmi nel corpo di una ragazza qualsiasi, una di quelle con una borsa qualsiasi e dei capelli qualsiasi e un cervello qualsiasi e un corpo qualsiasi e una vita qualsiasi; una di quelle con i capelli castani, di quelle che hanno la vita castana.
Una di quelle che tutti guardano e tutti vogliono.

Non so mai fino a che punto le persone che mi gravitano attorno siano in questo vortice per loro volontà o semplicemente perché non sanno dove cazzo andare. Un po' tipo me, alla fine.
Mi sembra di tenere a distanza tutti senza sapere nemmeno come e soprattutto perché e cosa faccio di sbagliato, così, in loop da una vita. Senza capire mai dov'è il punto esatto in cui le cose entrano in collisione e tutto diventa tragico e morboso e senza speranza.
Ogni tanto analizzo con precisione chirurgica tutte quelle fasi delle mie storie per carpire dove e quando ho sbagliato. Sì, perché quando ci penso poi mi addosso sempre la colpa di ogni cosa e automaticamente metto in conto di aver sbagliato io, sempre, tutto.
Non si capisce bene come, ma anche quando penso di aver fatto bene, alla fine, mi si ritorce contro.
Per questo forse non mi piaccio mai.

Forse le ragazze castane con la vita castana e la borsa castana ed il cervello castano non sbagliano mai. Forse hanno qualche super potere speciale che le innalza sopra ogni cosa e le mitizza a tal punto da sembrare dee scese in terra pronte all'uso.
Se la vita fosse un canile io praticamente sarei uno di quei cani con gli occhi dolcissimi, forse con il pelo rovinato, con qualche caratteristica che fa passare oltre la mia gabbia le persone.
Ma in fondo la vita è un po' un canile eh.
Siamo tutti pronti ad abbaiare quando arriva qualcuno più grande, per mascherare la paura.
Cani a parte, nemmeno oggi mi sono svegliata dove mi volevo svegliare.

La costante della mia vita è sempre la stessa: mi vorrei spaccare le tempie sul primo spigolo che trovo per avere finalmente pace.
Poter mettere un punto sull'incontro nevralgico di tutte quelle sensazioni tossiche che non mi fanno respirare.
E' come se per tutta la vita dentro il mio cervello ci fosse stata - e c'è -  una guerra ad armi pari, fra la me che si crede chissà chi e quella che si butterebbe a mare con un peso al collo se ne avesse l'occasione.
La schifosissima e lacerante sensazione di essere così tanto e così niente.
Di essere quella che fa qualunque cosa per dimostrare chi è e non piace mai. Di essere quella che non è mai abbastanza, anche se lo è.
Di essere quella di passaggio; quella che alla fine viene rimpiazzata da qualcun altro.
E si riescono a rimpiazzare solo le persone che non sono niente, quelle di cui puoi benissimo fare a meno. Tant'è.

"Si sentiva molto giovane; e al tempo stesso indicibilmente vecchia. Affondava come una lama nelle cose; e al tempo stesso ne rimaneva fuori, osservava. Aveva l’impressione costante di essere lontana, lontanissima, in mare aperto, e sola."

- Virginia Woolf.

domenica 25 settembre 2016

Lettera a me stessa.

Ciao, oggi è Domenica e ti scrivo perché so che non ti piace.
Fuori fa ancora caldo e non ti piace nemmeno questo, ma hai ragione, è autunno e il clima dovrebbe essere diverso.
E' stata una Domenica come tante altre e siamo solo a metà, non è ancora finita.
Ti scrivo perché se non lo faccio io non lo fa nessuno.
Oggi pensi che hai sbagliato tutto. Lo pensi sempre, ma oggi di più.
Secondo me hai sbagliato a non volerti bene per tutto questo tempo, aspettando lo facesse qualcun altro al posto tuo. E so che questa situazione non cambierà di certo domani, ma forse dovremmo provarci insieme.
Quest'anno non è andato come speravi, so anche questo. E' iniziato male, malissimo.
Però, anche se non volevi, ad un certo punto ti sei tirata su. Per metà, perché lo vedo che a volte ancora non ce la fai ad alzarti in piedi.
Sarà stato forse merito dell'istinto di sopravvivenza, chissà, però ci sei riuscita e adesso la mattina ti svegli un po' meglio, non ti prende quella morsa allo stomaco appena apri gli occhi e la sera vai a dormire sperando che il giorno dopo sia un po' più bello.
Ti ho vista passare notti completamente in bianco, sperare di non esistere all'alba per non dover affrontare la giornata; ti ho vista morire dentro ogni volta che qualcuno ti diceva quello che non volevi sentire, riaprendo una ferita ancora fresca.
Lo so che ancora fa male, ma passerà. Questo te lo prometto.
Dentro casa sei un fantasma, non ti si sente e non ti si vede, soprattutto ultimamente ché non fai altro che studiare. Fra poco avrai finito e voglio credere che sarai coraggiosa abbastanza da farti un regalo e prendere il primo aereo, il primo treno e andartene via. Fosse anche solo per qualche giorno.
Ma devi farlo, perché te lo meriti.
A proposito di meriti ce ne sono tanti che ti spettano, anche se non lo sai.
Ti accontenti sempre, ti accontenti di piccole cose e lo fai perché pensi che per te ci sia solo quello, che sia tutto lì, ma non è vero nemmeno questo.
Ci siamo abituate un po' male e non va bene. Non è giusto.
So che stai per raggiungere un traguardo importante al quale non pensavi di poter mai arrivare e so che ti fa male non poter condividere questa notizia con nessuno, forse devi pensare che condividerla già con te stessa sia una cosa importante e va bene anche così, in fondo.
Mi ricordo che l'anno scorso pensavi di essere la persona più fortunata al mondo e adesso di te pensi l'opposto esatto. Non lo so se hai ragione, probabilmente no, ma capisco che a volte non riesci a pensare ad altro.
Sei fatalista quanto basta e vedi sempre tutto nero e di nero ti ci vesti pure, sarà questo che attira chi il nero ce l'ha dentro forse. Su questo dobbiamo lavorarci.
Quando ti guardi allo specchio non ti piaci praticamente mai perché ormai ti è entrata in testa quella cantilena che senti ripeterti da anni, dalla mattina quando ti svegli alla sera quando ti metti a letto.
Anche questo passerà, ne sono certa. Ci vorrà tempo, magari, ma passerà. Come tutto.
Oggi è Domenica e devi studiare. Ancora.
Sembra un lasso di tempo interminabile e di questo Settembre non ti rimarrà nessun ricordo, perché non l'hai vissuto. Allora posso augurarti che i prossimi Settembre che arriveranno saranno solo pieni di cose da ricordare. Cose belle, però.
Sono ventiquattro anni che ti guardo tutti i giorni e a volte mi stai proprio sulle palle.
Ti prenderei a schiaffi quando dai certe risposte, quando incassi colpi come se fosse tutto ok e non fai niente per avere una rivincita; quando sei passiva e accetti tutto quello che hai intorno senza reagire.
Ti ho vista commuoverti per certe piccolezze che c'è davvero da chiedersi se un cuore come il tuo sia umano o venga da qualche sperduta galassia di cuori teneri e puri e stupidi allo stesso tempo.
"E invece sei tu" come fa la canzone di quel cantante che ti piace.
Io credo che tu non sappia realmente quanto le persone che hai attorno ti reputino importante nelle loro vite, lo so che non lo sai, perché hai sempre quella sensazione di essere una nullità; quella che se sparissi domani nessuno se ne accorgerebbe; quella che se ci sei o non ci sei non importa.
Non sei mai stata parte della tappezzeria, mai.
Ma non riesci a vederlo, non lo so perché. Soffri - amo di questa parziale cecità quando si tratta di vedere le cose come stanno, nel bene e nel male.
Sei sempre stata diversa. Senza nessuna accezione, né positiva né negativa. Diversa e basta e lo hai sempre saputo.
Hai questo senso dell'umorismo, così radicato, che ormai è la tua arma da difesa più affilata. Ma non devi difenderti da te stessa.
Forse è arrivato il momento di vederti e accettarti per ciò che sei, non importa se gli altri non lo fanno. Dovresti farlo tu.
Tua madre dice che non hai pazienza, che sei nervosa, che sei sfaticata, che non sai fare niente.
Tua madre ride mentre ti trucchi, lei ride quando gli altri ti dicono che sei bella, ride e basta.
Tu non ascoltarla.
Non fa niente, forse non lo fa nemmeno apposta.
Certi giorni ti vedo così fragile che se qualcuno prova a sfiorarti cadi a terra in mille pezzi e ti frantumi come un cristallo pregiatissimo. Oggi ti vedo così.
Può capitare. Fai un bel respiro e pensa che domani è un altro giorno.
Sei una di quelle persone che danno sempre più di quello che possono dare, anche se poi in verità a loro non rimane niente. Devo ancora capire se sia o meno una qualità, ma secondo me sì.
Prova a vantartene e pensare che anche in questo sei una mosca bianca.
Ti ho vista passare da un letto all'altro alla ricerca di un po' d'affetto; farti toccare da certe mani così sporche che nemmeno a sciacquarle per ore sotto l'acqua tornerebbero pulite.
Ti ho vista non capire da che parte stare.
Ti ho vista spaccarti dentro e rimanere perfettamente integra fuori, come se nulla fosse.
Ti ho vista mentre ti calpestavano e a volte lo vedo ancora.
Questo non deve succedere e so che lo sai.
Voglio solo dirti che non sarà sempre così, o almeno lo spero. Io ne so quanto te, però facciamo che oggi ne so un po' di più.
E facciamo pure che oggi non studi, ti vesti ed esci e fai qualcosa per te stessa. Anche fosse solo uscire e sentire quel poco di Sole rimasto fuori sulla pelle.
Dovresti pensare di meritare anche quelle cose belle che vedi lontane, devi pensare che le vetrine di emozioni che incontri per strada non siano solo da esposizione, devi pensare che puoi entrare, che puoi prendere, che quelle sono anche cose tue.
Un paio di promesse te le ho fatte, da parte tua vorrei solo la solenne promessa che non ti annichilirai mai, anche quando ti sembra l'unica soluzione possibile.
Voglio credere che sarai meglio degli altri, meglio di quelli che ti hanno fatto del male, meglio di quelli che non si fidano, meglio di quelli che ti si avvicinano ma non troppo perché hanno paura.
Ecco, voglio credere e sperare che non avrai mai paura.
Non quando si tratterà di vivere qualcosa, di buttarti, di lanciarti da un grattacielo di sensazioni che ti fanno sentire il vuoto nello stomaco, perché sono quelle le sensazioni che vale la pena vivere e provare.
Non sei una che si lancerebbe col paracadute, non sei nemmeno una che si affaccia dal quarto piano per le vertigini. Ma sei una che si butta senza nessun tipo di protezione nel cuore degli altri.
E questo non deve cambiare.
Devi arrivare alla fine delle cose pensando che hai dato tutto e di più non potevi fare.
Ma più di ogni altra cosa devi pensare che non è colpa tua.
Magari te ne scrivo un'altra di lettera, quando tutto si sarà sistemato e sarà il momento di batterti il cinque.
Ho scritto sempre a tutti, papiri su papiri, parole su parole, concetti su concetti, emozioni su emozioni e nessuno ha mai davvero capito o apprezzato.
Ecco perché sto scrivendo a te. Perché sei tu quella che scrive sempre agli altri, ma nella posta non ha mai nulla.
Oggi invece sì.

lunedì 19 settembre 2016

Tanto d'amore non si muore mai.

E' successa una cosa di cui avremmo tanto riso, insieme.
Ed invece ne ho riso da sola, ma non ha fatto male.
A fasi alterne mi tornano in mente certi ricordi e certe promesse che è meglio se mi giro dall'altra parte e faccio finta di nulla, poi ogni tanto il disgusto ed il dispiacere sono così forti che non basterebbe mettersi due dita in gola per rimettere tutto quello che ho dentro.

A piccoli passi ci si allontana da certi dolori, anche se a fatica.
Anche se a volte ti viene da tornare indietro e magari indietro ci torni davvero.
Anche se a volte ti fermi proprio, perché andare avanti spaventa e tornare sui propri passi è impossibile.

Ho sempre pensato che non sia il Quanto a fare la differenza, ma il Come.
E' lui che rovina tutto. E' lui che amplifica tutto.
Il Come.

Anche quando si prendono le distanze da qualcosa, non conta la rapidità con la quale questo accade; secondo me importa solo la modalità in cui questo allontanamento avviene.
Dopo un po' di tempo, su quelle ferite di carne viva, riesci a mettere qualche punto di sutura.
Certo, fa male.
Farà male sempre, ma tu intanto ci provi.
Qualche punto salta e non fa niente.

Mi piace pensare che i dolori siano un po' come i tatuaggi. E non a caso il dolore fa parte del tatuaggio stesso.
All'inizio fa male, dà fastidio.
Poi c'è quella fase snervante, quella della cura, delle cremette, della pelle che inizia a cadere e vai in giro che sembri un lebbroso.
Per fortuna dura poco, resta solo qualche pellicina che non si arrende.
Ma, alla fine di tutto quel casino, rimane una coloratissima cicatrice e del dolore sparisce quasi anche il ricordo.

Spesso mi fermo a pensare come le cose cambino nel giro di pochissimo.
Non per forza con accezione negativa o positiva. Cambiano e basta.
Uno dei principi della Fisica dice che "nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto varia"; ho sempre pensato che fosse applicabile alla vita.
Ed in un certo senso lo è.
Se vivessimo seguendo questo principio, si potrebbe quasi pensare che anche i rapporti umani, sociali, interpersonali, non si distruggano, semplicemente varino.
Non è che consoli poi tanto, in effetti. Ma è quello che accade.

L'Estate è finita, le temperature si sono abbassate e il buio arriva prima.
Questo significa solo che sta tornando il periodo delle grandi speranze. E delle grandi mancanze.
L'Inverno fa venire voglia di innamorarsi o almeno provarci. E di viaggiare, viaggiare tantissimo.
Che a volte è un po' la stessa cosa.

E' usanza fare bilanci quando si arriva ad una data pressoché importante, o semplicemente quando si arriva ad un punto dell'anno in cui ci si aspetta qualcosa di nuovo.
Tipo adesso.
Se guardo indietro, se guardo ai mesi passati, mi vedo cambiata. Per fortuna.
Vorrei tornare dalle me di Gennaio e dirle che fa tutto schifo e anche a Settembre non è tutto rosa e fiori, ma davvero un giorno non si sveglierà più già stanca dopo aver pianto tutta la notte e aver preso sonno cinque minuti contati, per sfinimento.

Tutto cambia.
E cambierà anche questo.

Sembra banale, stupido, sembra catastrofico, ma ogni volta che mi ritrovo a ridere per qualcosa mi sento fortunata. Io, che non lo sono mai stata.
Mi sento fortunata semplicemente per il fatto di esserci riuscita, a ridere. A ridere ancora.
Che sembra una stronzata, ma proprio non lo è.
La stessa cosa mi succede quando esco da sola, quando mi prendo del tempo per fare qualcosa, quando mi sento lontana da tutto quello che mi fa male.

Certi sentimenti si lasciano dietro una scia di morti e feriti che i bollettini di guerra, a confronto, non sono niente. E non c'è nessun infermiera, nessuna crocerossina, nessun eroe che corre in tuo aiuto, perché se decidi di rialzarti puoi farlo solo con la forza delle tue gambe.
Solo puntando su te stesso. E ci vuole coraggio.
A rialzarsi malconci e feriti, ci vuole coraggio. Ma ci si riesce anche quando non si vuole.

Per questo d'amore non si muore mai, d'amore ci si ammala. Che è peggio.

giovedì 1 settembre 2016

Settembre (Cielo di)

Oggi non sembra andare malissimo e lo dico con un certo timore.
Ho sempre considerato Settembre come il vero inizio dell'anno, forse perché quando andavo a scuola era il mese nero in cui tutto ricominciava.

L'anno scorso, a Settembre, pianificavo un viaggio in Irlanda.
A breve potrebbe succede la stessa cosa, magari però in un altro posto.

Stamattina mi sono svegliata con l'ansia degli esami dietro l'angolo, consapevole che manchi sempre meno a quando dovrò presentarmi in aula con qualcosa da dire e da scrivere;
Poi sono uscita e c'era un tempo bellissimo.
Tanto sole e per niente caldo.

Mentre tornavo verso casa ho tirato un sospiro di sollievo, mi sono anche fermata per qualche secondo a respirare. Mi serviva questo.
Uscire e scrollarmi di dosso un po' di cose.
Ho ringraziato per quel sole alto che senza aggressività mi riscaldava la pelle, ho ringraziato di avere un cucciolo che fosse vicino a me in quel momento e ho ringraziato me stessa, perché so ancora sorprendermi.
So ancora gioire di cose piccolissime.

L'anno scorso me lo ricordo bene Settembre.
Mi ricordo di aver avuto il panico dato dal non sentirmi abbastanza. Abbastanza capace, soprattutto.
Mi ricordo anche che c'era qualcuno lì che mi diceva che non era vero.

Se mi vedo oggi mi voglio abbracciare o regalare qualcosa o darmi un premio, perché ci sono stati un sacco di cambiamenti a cui ho dovuto provvedere da sola.
E sì, questo mi rende fiera.
Non ci avevo mai pensato prima di oggi, eppure basta una giornata così per illuminarti un pochino e farti sentire, non dico felice - non voglio esagerare - ma almeno serena.
Che non fa mai male.

Ci sono cose che potrebbero andare leggermente meglio, altre che potrebbero andare decisamente meglio; ma credo sia sempre così.
Oggi non voglio pensarci.
Oggi voglio pensare che è stata una giornata tranquilla, che non ho mai alzato gli occhi al cielo perché qualcosa non piaceva e magari anche stasera andrà tutto bene. E chissà, forse anche domani.





E poi insomma, dovrà pure succedere qualcosa. Siamo a Settembre.

giovedì 18 agosto 2016

- già - Agosto.

Agosto è arrivato, da diciotto giorni ormai.
Ho la finestra aperta e sento il vicino parlare al telefono con un amico, in balcone.
Io lui non lo sopporto tanto, ma adesso mi fa tenerezza.
Parla di qualcuno. Una ragazza, tipo. E l'ha paragonata ad un film. E' una cosa carina.
A me nessuno mi ha mai paragonata ad un film.

Agosto mi ha messo le mani addosso quest'anno, peggio del solito.
Ero convinta che avrei avuto delle risposte e invece come da usanza non ho niente.
L'estate romana mi sta pesando più di quanto credessi ed è solo colpa mia, anche stavolta.
Perché avrei dovuto pensare a me e, invece, come sempre, ho pensato a tutti meno che alla sottoscritta.

L'altro giorno mi è capitato di mettermi a pensare a tutte quelle cose a cui non voglio pensare mai, quelle che evito accuratamente per non passare una brutta giornata. Ancora di più.
Però ci ho pensato.
E mi sono detta che fa un male cane, ma per certi versi non posso farci niente, per altri non voglio e per altri ancora non so proprio cosa potrei fare.

Non so chi ha detto che a vent'anni si è convinti di sapere tutto, forse qualche sociologo del cazzo.
Io non so proprio niente, anzi il brutto è che non ho mai saputo niente nemmeno prima.
Ma sono convinta che nessuno sappia nulla. Tutti sappiamo solo quello che non vorremmo sapere, ma ahimè, invece, siamo costretti a tollerare. Nel migliore dei casi.
Nel peggiore infatti ci ammaliamo.

Sono stanca.
Fisicamente, mentalmente, psicologicamente.
Sento che mi sto avvicinando ad un crollo psicofisico che non faccio altro che rimandare da mesi e mesi.
Mi fa paura perché sta scadendo il tempo limite.

Dopo grandi dolori e delusioni tutti ci danno il sacrosantissimo consiglio di "fare come ci pare".
"Devi fare quello che ti va, adesso. Senza pensare a niente, alle conseguenze, agli schemi, a niente." così ti dicono.
E infatti ti lasci trascinare dalla marea.
Che è una marea di merda, di fatto.

Ma sta arrivando anche questa scadenza.
Non ci si può giustificare per tutta la vita. Anzi, ad un certo punto si rischia pure di sembrare - o essere - ridicoli.
Si rischia di diventare ciò che si odia.
Si rischia, ma alla fine spesso e volentieri succede proprio così.

Non pensavo che mi sarei mai trovata a dirlo, ma mi manca l'Università.
Mi manca avere uno scopo durante la giornata, che anche se a fatica ti fa passare il tempo.
Mi manca studiare. Cioè non studiare studiare, piuttosto avere qualcosa da fare. Circa.
Allo stesso tempo, però, mi sento una morsa allo stomaco al pensiero di dover cominciare per la sessione di Settembre.

Ho cancellato anche l'ultima foto che avevo con quella persona.
E l'ho fatto con un'indifferenza tale che mi ha fatto paura.
Trovo faccia schifo più di ogni altra cosa al mondo vanificare i propri sforzi, i propri amori, le proprie persone, ma tant'è che questo accade.
Non è rimasto più niente.

E non è rimasto più niente nemmeno nel resto dello spazio.
Nel resto delle cose.
Niente, non c'è più niente.
E va bene così.
Credo. O forse ne sono sicura.

Il mio cucciolo cresce giorno per giorno di più e mi fa impressione.
Sento il tempo scorrere veloce, che è ciò che mi fa più paura e non posso farci nulla.
Dieci anni fa mi vedevo così diversa arrivata a quest'età e alla fine non è cambiato poi molto; ho paura che sarà lo stesso da adesso in poi. Ché magari immagino la mia vita a trentaquattro anni e fra dieci anni scopro che è identica ad ora. O peggio.

Io se mi guardo allo specchio non so nemmeno chi sono, come fanno gli altri?
Mi sento che vivo un sacco di vite senza viverne nemmeno una davvero.
E mi sento che basterebbe pochissimo per rimettermi a posto.
Ma poi, in fondo, che senso ha?
Si annichilisce tutto.

Aspetto ancora, ma in modo diverso.
E sinceramente non so nemmeno più che cosa...
Vado a briglia sciolta, ad un certo punto qualcosa o qualcuno mi fermerà.
Non so nemmeno più a cosa credere e la situazione non accenna a migliorare.
Mi dico che forse basta così. In generale, intendo.

Sono in quel periodo dell'anno in cui decido di arrendermi, con tutti, con tutto.
Tanto ci pensa la vita.
La vita trova sempre il modo di riassestarsi per conto suo o di peggiorare, sempre per conto suo.
Fa tutto lei ed io la lascio fare perché voglio vedere fin dove arriva.
O forse per tutta questa stanchezza.

Manca poco a Settembre e mi suona come una nuova occasione, ma in tutti i Settembre che ho vissuto non è mai stato così.
Magari questo è diverso.
Magari mi sorprende.
Magari cambia qualcosa.

venerdì 29 luglio 2016

Sally è già stata punita.

Nel 1996 usciva la canzone più bella della storia: Sally.
Per me che nel '96 avevo quattro anni, in realtà, voleva dire ben poco, ma mi piaceva.
Sono cresciuta ascoltando Vasco Rossi mentre la macchina dei miei sfrecciava da una parte all'altra della città e, in un certo senso, sono affezionata a questo ricordo.
Sono affezionata a molti dei miei ricordi d'infanzia, perché portano conforto quando conforto non ce ne sta.
Nel tempo, Sally, è rimasta una di quelle canzoni che mi fa sussultare.
Crescendo ne ho capito il senso e - inutile dirlo - me la sono sentita cucita addosso. Purtroppo o per fortuna.

Siamo quasi ad Agosto e sento che le cose non accennano a migliorare.
Mi sto pentendo di tante scelte fatte nella vita, nell'ultimo periodo, negli ultimi giorni. Sto mettendo tutto in discussione, me specialmente.
Ogni tanto mi piaccio. Mi guardo allo specchio e mi dico che non sono male e che l'aspetto comunque, in fondo, conta poco perché ciò che conta è come sei dentro.
Ma è una cazzata anche questa.
A volte penso a me stessa, ai miei atteggiamenti, al mio sentirmi già grande quando poi grande non sono.
Penso al mio dover essere cresciuta in fretta, al non aver avuto un'adolescenza normale, al non aver vissuto tutte quelle cose che la gente, alla mia età, ha vissuto secoli fa.

Se mi fermo a riflettere inizia a farmi male la testa.
Non basta mettere su un po' di musica, a volte. Non basta nemmeno uscire di casa. Non basta. E basta.
Ci sono momenti in cui vorrei resettarmi il cervello, essere lobotomizzata, ricominciare da capo; vorrei essere una persona diversa, ma alla fine sono sempre io.
Io ci provo in ogni modo, con ogni mezzo e comunque non cambia mai nulla.
Facile dire che se una cosa non ci sta bene bisogna cambiarla. Facile.
La verità è che in certe situazioni ci devi sguazzare per bene per capire che devi smetterla e tante volte non sei nemmeno tu che smetti. Smette il resto. Smettono gli altri.

Io vorrei smettere. In generale.
Smettere con tutto.
Vorrei smettere di essere così come sono, perché a quanto pare non va bene.
Vorrei smettere di assecondare.
Vorrei smettere di essere quella che ti aspetta sempre, quella che capisce tutto e tutti.
Quella che giustifica, quella che si mette nei panni degli altri.
Vorrei smettere perché nei miei non ci si è mai messo nessuno.

L'Estate mi deprime.
Mi punisce per qualcosa, anche se non so cosa.
Mi fa cadere a terra con un pugno fortissimo e mi lascia sull'asfalto bollente.
Questa più di ogni altra Estate passata.
E' un'Estate di mancanze, di lacrime più amare del caffè senza zucchero.
E' un'Estate così vuota e allo stesso tempo così piena che mi perplime e mi devasta.
Semplicemente è un'Estate che immaginavo diversa.

A breve dovrò ricominciare a studiare e non c'è stato davvero un solo momento in cui ho potuto dire di essermi rilassata. Mai.
La mia mente era ed è sempre in viaggio alla ricerca di una soluzione che non è ancora arrivata.
Anche quando faccio altro, anche quando vado a prendermi un caffè al bar, anche quando sono fuori con le mie amiche, anche quando sono al telefono con i miei amici, anche quando sono in piscina, anche quando vado dall'estetista, anche quando penso a qualcosa che mi fa ridere, anche quando coccolo il mio cane, anche quando sto sul divano con la TV accesa. Sempre.
Il mio cervello è sempre in guerra, è sempre acceso, è sempre lì a pensare a come fare.
E siamo stanchi, sia io che lui.

Siamo stanchi perché vorremmo qualcuno che un giorno ci guardi e ci dica "lo sai che c'è? Oggi non pensiamo a niente". Ma questo niente non arriva mai.
Non arriva mai.
Ogni tanto non mi piaccio. E "ogni tanto" nella mia lingua si legge "spesso".
Non mi piace il mio essere incline al perdono, sempre e comunque, non importa l'entità del danno subito. Io ad un certo punto, dopo due moine, crollo e dico "ma sì va, ingoiamo pure questa".
Non mi piace essere sempre disponibile.
Non mi piace dare possibilità a chi non le merita.
E più di ogni altra cosa al mondo non mi piace sopportare.

Quando parlano di me dicono che sono troppo buona.
Sono ventiquattro anni che sono troppo buona.
Quanto mi fa schifo essere "troppo buona".
A volte vorrei che quando parlano di me dicessero "Ma chi, quella stronza?"
E invece no. Quando si parla di me si dice sempre quanto io sia brava, quanto io sia buona, quanto io mi faccia in dodicimila pezzi per aiutare gli altri senza riuscire mai ad aiutare me stessa, invece.
Curioso il fatto che non dicano mai quanto sono cogliona, più che buona.

Vorrei che qualcuno nel mondo si innamorasse di me, per farmi capire che non sono proprio da buttare.
Mi chiedo sempre come sia possibile che gli uomini che mi ruotano attorno e con i quali condivido miliardi di cose, si tengano sempre ad una certa distanza.
Nonostante i mille momenti, le mille esperienze, nessuno riesce mai a fermarsi.
Non lo capirò mai cosa c'è di sbagliato in me che non fa restare nessuno.
Sento che il tempo passa veloce, come sempre.
E non sarò mai come sono adesso, non più.
I momenti passano e la vita è fatta di momenti. Passa tutto così velocemente che nemmeno ce ne accorgiamo.
E dall'avere al rimpiangere è davvero un battito di ciglia.

Ed io, proprio come Sally, sono già stata punita per ogni mia distrazione o debolezza.

venerdì 22 luglio 2016

Luglio.

Questo periodo non riesco a scrivere, ma lo faccio lo stesso.
Siamo in piena Estate e la prospettiva di non allontanarmi da Roma nei restanti giorni un po' mi intristisce.
E' la prima volta che mi capita.
Di non partire, dico. Quest'inverno non ho nemmeno avuto la forza di pensare a cosa avrei potuto fare, dove sarei potuta andare e con chi soprattutto.
Mi piace pensare che sia andata così perché poi arriverà un riscatto, il riscatto.
Il fatto che ci sia - quasi - sempre un domani, a volte mi alleggerisce, altre volte mi attanaglia; ma dicono che finché ci sarà la notte, seguita dalla mattina, si ha una qualche motivazione per sperare.
Sarà...

Mi è sempre piaciuto viaggiare, per questo trovo limitante il fatto di non poterlo fare adesso, ma non fa niente. Forse mi servirà anche questo.
Con la persona che amavo avevo pianificato un viaggio stupendo tra i fiordi norvegesi, nei paesini scandinavi, quelli dove ci sono tre case e niente intorno.
Se un giorno dovessi pensare di andarmene da qui, certamente, sarebbe per raggiungere un posto del genere. Forse sto solo aspettando di capire cosa mi trattiene qui.
Per fortuna i fiordi restano dove sono, ad attendermi. E questo mi consola, perché vuol dire che non è tutto perduto. Che tanto prima o poi arriva qualcuno che i fiordi non li ha mai visti e decide di volerlo fare con te.

Roma d'Estate è un inferno, ma è anche spettacolare.
Per noi che guidiamo e passiamo le nostre giornate correndo da un semaforo all'altro, l'Estate, a Roma, è tutto più facile.
Meno gente, meno casino. Solo tanto tanto tanto caldo.
Negli anni le cose sono un po' cambiate e la città si svuota sempre meno, però resta meravigliosa; con i suoi mille difetti e forse di più e gli infiniti problemi e tutto il resto. Ma è sempre Roma.

Da quasi un mese a casa c'è un nuovo arrivato.
Un cucciolino bianco-arancio di Bracco Italiano. Il motivo per cui devo alzarmi presto la mattina e iniziare ad essere un minimo produttiva.
Il motivo per cui sto camminando di più.
Il motivo per cui riesco a dare smisurato affetto senza dover per forza pesare le parole, pesare i gesti, tenere tutto sotto controllo.
Paco la mattina viene accanto al mio letto, si mette su due zampe e mi fissa finché non rimedia qualche carezza e, a volte, si riaddormenta accanto a me e anche se fa caldo stiamo appiccicati e va bene così.

Ho comprato un nuovo libro, ma non riesco a leggerlo.
Non riesco a prendermi tre minuti per me, la sera, per poter finire almeno il secondo capitolo.
Dormo poco, mi stanco tanto e so che non mi fa bene.
Recentemente sono stata ad un concerto che mi è piaciuto tanto.
Ultimamente sono stata presa in giro e questo mi è piaciuto meno.
Negli ultimi tempi le cose vanno a briglia sciolta e non ho nemmeno la voglia di fermarmi, di tutelarmi. Non me ne frega più niente.

A volte sento di star andando alla deriva e di non poter fare nulla per evitare che questo accada, ma tanto la vita ti offre sempre il modo per recuperare, che tu lo voglia o no.
A Febbraio avevo deciso di scrivere un libro e lo iniziai proprio tornando da un viaggio che mi ha fatto stare bene, poi mi sono bloccata ed è rimasto lì, incompleto, nemmeno a metà.
Ho deciso di ricominciarlo, di continuarlo e possibilmente anche finirlo.
Magari ne esce qualcosa di buono. Chissà.




"I am not looking to escape my darkness,
I am learning to love myself there."

- Rune Lazuli