venerdì 20 maggio 2022

Grigio.

C’è un grande bisogno di cose belle, bellissime. Bisogno di capire, di assimilare. Bisogno di vivere davvero. 
Vivere non può essere sopravvivere.
Non può e non deve.
C’è bisogno di giornate che non vorresti finire. C’è bisogno di vedere che il buio avanza e pensare “No ti prego, non ancora”, ma poi tanto arriva sempre il momento in cui qualcosa finisce. Che sia una giornata, una sensazione, un amore. Chissà. 
È tutto grigio. Anche ora che gli alberi si sono risvegliati e i fiori pure e il sole è alto e fa brillare tutto dalle prime luci dell’alba. È tutto grigio.
Non fa niente, mi dico. E alla fine non fa davvero niente, non lo sento più. Questa è la mia storia, una serie infinita di fallimenti che mi hanno insegnato il giusto. O quasi niente. Non lo nascondo nemmeno più, è questo quello di cui sono fatta. Che senso avrebbe?
Non fa niente, mi convinco che sia così. Che poi le cose cambiano, magari, un giorno, chissà. Magari si. O magari no. Lo sapremo più avanti, nella storia.
Oggi la consapevolezza di essere trasparente è forse l’unica cosa che ho. Sono così, questa è la mia storia, la mia vita, le mie vicissitudini. E sono tutte molto chiare. Limpide.
Non le nascondo più. 
Non voglio più dire di stare bene, se non è vero. Non voglio più fare finta che sia tutto sotto controllo, semplicemente perché il controllo non l’ho mai avuto, nemmeno sulle mie emozioni. E che senso avrebbe, quindi, fingere che sia così? 
C’è grande bisogno di cose belle, di giornate che non vorresti finissero. Di cose genuine. Di prime volte. Di prime sensazioni. 
È tutto troppo grigio.
Mio nonno negli ultimi anni della sua vita ha visto sfiorire tutte le sue energie, le sue palpitazioni, le sue voglie. E me lo diceva, con grande rammarico me lo diceva. Vivere non è questo; è agire, creare, non questo. E aveva ragione.

venerdì 6 maggio 2022

Quando c’è il lavoro c’è tutto.

Dice ma il lavoro ti va bene. Si, il lavoro mi va bene. C’è.
Dice sei fortunata. È vero. Sono fortunata. C’è chi non lavora. Io lavoro, mi piace il mio lavoro. Sono fortunata.
Dice hai la salute. Sei bella. Sei forte. Sei giovane.
Io non mi vedo né bella, né forte, né giovane. 369 post su Instagram di cui non so quanti autoscatti, eppure è tutto finto, tutto patinato.
C’è la foto ammiccante, c’è quella simpatica, quella seria, quella sciocca. Mi prendo in giro, perché la vita non va presa troppo seriamente si sa. Eppure è tutto finto.
Non c’è una foto dove mi vedo davvero io. Dove mi piaccio. Perché il 90% del tempo passato davanti allo specchio è fugace: i vestiti cadono decentemente? Ok. Il trucco è a posto? Va bene. E i capelli? Bene pure quelli. Ma non mi soffermo mai troppo. Perché non voglio vedere. Non voglio vedermi.
Dice sei forte. E tu pensi a quella frase da Smemo 2007, quella che dice che non sai quanto sei forte finché esserlo non è l’unica scelta che hai. Non ho mai avuto alternativa. 
Non ho mai avuto la possibilità di fermarmi. Di riposare il cervello. Di far cadere le ossa e starmene in po’ ferma. Ferma in un po’ di bianco. 
Non c’è niente che vada bene. Ah, già, il lavoro. Quello va bene. E sono fortunata.
È vero. È tutto vero. È tutto tristemente vero. 
Ma io non sono il mio lavoro.
Io non posso essere solo il mio lavoro.
Io sono tante altre cose: sono quella che compra i cornetti quando ti viene a trovare la mattina, quella che riflette prima di parlare, anche troppo a volte. Io sono quella che vede il mondo con i suoi occhi, a volte severi, a volte sognatori, ma non smette mai di immaginarti al suo fianco.
Eppure in questo periodo - questo lungo, lunghissimo periodo - io sono le mie 8 ore passate davanti al computer.
Sono le parole che scrivo, ma solo per lavoro.
In questo lungo periodo io sono dalle 09:00 alle 17:00.
E non ho altro. Non ho tempo, energie e voglia di emozionarmi. O meglio, la voglia ce l’avrei, ma anche la paura.
Fottuta.
Come una morsa che stringe.
E non mi vedo bella. Non mi vedo forte. E non mi vedo nemmeno giovane. Perché fra poco compirò altri anni, che si vanno ad aggiungere alla somma di quelli che già ho e che mi pesano. Come i fallimenti, le delusioni, le incazzature. 
Non mi vedo proprio, semplicemente. Io non mi vedo.
A volte ho la sensazione che cambi tutto, il mio viso, il mio corpo, e io sia l’ultima a saperlo. L’ultima ad accorgersene. 
Come un’esperienza pre-morte, in cui guardi il tuo corpo in sala operatoria, circondato dai medici e non sai tornare lì o attraversare la luce bianca.
Dice però hai il lavoro.
Pensa a quello.
Sei fortunata.
Pensa a chi non ce l’ha.
E io con questo pensiero mi cullo, mi consolo o almeno ci provo. Penso a chi non ce l’ha. A chi sta peggio. Insomma penso a tutti, ma a me chi ci pensa? Io no, perché ho un lavoro e sono fortunata.