venerdì 24 dicembre 2021

Mio nonno.

 Mio nonno ha fatto la guerra. 

La stessa guerra che per molti oggi è solo sui libri di storia. Mio nonno c’era e me la raccontava: brutta, fredda e atroce come solo la guerra sa essere.

Mio nonno aveva le mani nodose di chi ha vissuto tanti anni; di chi ha visto i figli sposarsi, separarsi, di chi ha visto i nipoti crescere ognuno diverso dall’altro.

Mio nonno mi ha insegnato ad apprezzare tutte le forme più strane dell’arte, mentre rideva della sua pagina Wikipedia che secondo lui non lo rappresentava poi tanto.

Se oggi riesco a emozionarmi di fronte a un dipinto, a una scultura, a una sola sfumatura di colore è solo merito suo.

Mio nonno non aveva tantissime parole, ma le trovava tutte quando parlava dei suoi amati quadri. E quando parlava di Nenè, mia nonna.

Sarà sciocco e melenso, ma il pensiero che oggi si siano ritrovati mi conforta. Ho avuto la fortuna di avere un nonno importante, e non solo per me. Un nonno che comprava i cioccolatini e li nascondeva nel mobile nero, ma tanto lo sapevamo tutti e li mangiavamo anche quando non li tirava fuori lui alla fine del pranzo. Un nonno che mi ha spronato a tirare fuori sempre la mia parte creativa, che ha conservato ogni mio disegno e scarabocchio. Un nonno che ha vissuto in un’epoca in cui i tatuaggi non esistevano e non ne ha mai disprezzato nemmeno uno, un nonno che guardava i miei jeans strappati e mi chiedeva se avessi bisogno di comprarne di nuovi con un’ironia tutta sua. 

Mio nonno da oggi sarà solo nelle mie fotografie e nei mille ricordi che mi ha lasciato, ma ogni opera d’arte sarà meno bella sapendo che non potrò parlarne con lui in un secondo momento.

Mi mancherà.

lunedì 6 dicembre 2021

Le risposte arrivano, con il tempo. Forse.

Vorrei chiederti tante cose, approfittando di uno di quei momenti nostri. I momenti della verità. 


Vorrei chiederti come si sta senza di me, se è vero che è meglio o se forse ogni tanto il pensiero di esserti sbagliato ti attraversa. 


Vorrei chiederti se ci pensi mai, alle mie cose, alle mie paure, alle mie attenzioni e ai miei progressi. 


Ma sarà davvero così semplice stare senza di me? Così immediato, così indolore. Così senza senso, come mi sento io. 


Ti chiederei se è stato bello in questi mesi o se magari è stato solo decente o se invece è stato proprio brutto. Se hai notato differenze o se con il passare dei giorni hai capito di aver fatto bene. 


Ti chiederei come sei stato quel giorno e poi quelli dopo. Se ogni tanto hai guardato il telefono sperando fossi io, se a volte, la sera, hai dimenticato cosa è successo e hai pensato a me. 


Magari hai detto ora la chiamo tornando a casa, ma poi un sussulto ti ha riportato alla realtà. Magari una mattina hai pensato di invitarmi fuori e alla fine ti sei ricordato che non si può più fare. 


Un giorno ti ho detto che le cose più belle che ho scritto le ho scritte per te. Mi hai chiesto se fosse vero, ma io non dico bugie. Oggi ti direi se puoi farti un po’ più in là, perché vorrei avere la testa libera da tutti questi pensieri. 


Vorrei che ti spostassi quel tanto che basta per farmi tornare a respirare, per farmi credere che qualcosa di diverso è ancora possibile. Ma non l’hai mai fatto. Sei sempre stato qui. Anche quando non volevo, anche quando non ti volevo. 


Ma poi è davvero così facile stare senza di me? È davvero così semplice ricominciare da zero facendo finta di niente? Qual è il tuo segreto? Dopo tanti anni non l’ho ancora capito. 

domenica 28 novembre 2021

20:28 28 novembre 2021

Qualche giorno fa ho saputo che il mio primissimo amore è diventato papà. È stato strano, ma non ho sentito niente. In quella notizia c’erano tutte le mie speranze, tutte le corse nella ricerca del vestito più bello, tutte le notti a pensare a un futuro che non è mai arrivato. Ma non ho sentito niente. Tornando a casa ho incontrato la figlia della mia vicina di casa con una grossa corona di alloro in testa, era felicissima. Le ho fatto gli auguri, ma non ho sentito niente. Vedendola così radiosa, fiera di se stessa e con il sorriso di chi finalmente ha battuto il suo mostro più grande, mi ha ricordato quando è toccato a me. Due volte. Dentro la sua corona di alloro c’era la mia, c’erano  i miei esami, i miei pomeriggio con quei pochi amici con cui mi piaceva studiare, i miei caffè presi come deterrente, le mie scuse per pensarci il giorno dopo, ma non ho sentito niente. Io non sento più niente. Vedo la vita degli altri che cambia e la mia che resta uguale, ogni giorno la stessa. E non sento niente. Non sento più le corse per scegliere il vestito più bello o le notti a pensare, a controllare gli ultimi accessi di social mutevoli. Non sento più gli esami impellenti, gli appelli rimandati e quelli affrontati con leggerezza perché alla fine va sempre come deve andare. Ma oggi invece come dovrebbe andare? Non sento più quel gorgoglio nello stomaco, quel sorriso spontaneo la sera, dentro al letto. Non sento più quella voglia di svegliarmi il giorno dopo per vedere che succede e per sperare di vincere. Io oggi non so nemmeno più cosa si vince. E in fondo, perché dovrei? 

lunedì 8 novembre 2021

Sempre altrove.

Quanto mi sembra di sprecarle queste ultime giornate di sole, i sabati e le domeniche in cui fa buio presto e la vita è tutta la mattina. 

Quanto mi sembra di sprecarle tutte queste sere un po’ fredde, fatte di film lasciati a metà e di cene non cucinate. 

E quanto mi sembrano sprecate queste ricette che leggo e non ho coraggio di appuntare. 

E intorno è tutto buio e quando piove va un po’ peggio, poi torna il sereno, ma solo fuori. Solo fuori.

Ed è un gioco a parti inverse quando non sai se hai consumato un altro giorno o se un altro giorno ha consumato te, ché la sera arriva in un attimo e non te ne sei nemmeno accorto. 

Poi a letto rispondi agli ultimi messaggi e ti giri dall’altra parte chiedendoti chi sbaglia, tu o loro? E non c’è risposta perché è tutto un grande sbaglio e tutto un grande spreco. 

Come le giornate di sole tiepido, in cui la vita è tutta la mattina e fa buio presto e la notte arriva che è un attimo e rispondi ai messaggi distratta perché la testa è sempre altrove. 

Sempre altrove e mai nel posto giusto al momento giusto.

lunedì 1 novembre 2021

Una storia qualunque, ma una storia vera.

Maria nel 1946 andava in giro sulla vespa indossando la gonna e creava scandalo nella sua cittadina, perché “non stava bene” che una donna esponesse le gambe così, per di più su un mezzo che faceva volare via i vestiti. 

Lei, poco più che trentenne, viveva con la madre e non si era ancora mai sposata perché non aveva trovato la persona giusta. 

Per la verità Maria la persona giusta l’aveva pure trovata, ma aveva i capelli lunghi oltre le spalle e indossava gonne anche lei. Nel paese dicevano che erano grandi amiche, ma in fondo lo sapevano tutti. 

La storia di Maria ha dell’incredibile ed è finita nel peggiore dei modi. Lei che andava in giro in vespa con la gonna corta, una mattina non è più tornata a casa. 

Poco più che trentenne ha visto la sua vita finire in un battito di ciglia: sul giornale dell’epoca la prima pagina era tutta per Maria e la sua amica, morte tragicamente e insieme a causa del rovescio di un autobotte che le ha carbonizzate e ha bruciato una casa lì vicino. Uno scandalo, molto più delle gonne corte che usava per andare in vespa. 

L’hanno riconosciuta solo per la catenina che portava al collo, l’unica cosa che nell’impatto non è andata distrutta. La mamma, la mia bisnonna, prima di chiudere la bara le ha poggiato addosso il suo vestito preferito. Azzurro. E poi hanno sfilato tutti verso il cimitero. 

Maria e la sua amica sono seppellite vicine, ma si danno le spalle. Ognuna nella sua tomba, distanti eppure per sempre insieme fino all’ultimo tragico momento. 

Maria era mia zia ed era una ribelle. Non la conoscerò mai, anche se sono sicura di avere qualcosa di suo.

martedì 12 ottobre 2021

E invece fa.

 Il fatto è che sono stanca. Di tutto.

Io vorrei davvero credere che la vita, anche stavolta, si rimetterà a posto da sola, ma la verità è che non lo so se ci credo ancora.

È sempre tutta una corsa, un arrancare per arrivare alle cose che meriti, a quelle che ti spettano. E quando le raggiungi, svaniscono.

Sono stanca.

È sempre tutto di corsa, una lunga baraonda che non ti fa mai davvero fermare a capire, a riflettere, a darti pace.

Tutto di corsa, sempre, per non arrivare mai.

E poi mi dico, cosa vorrò mai di così strano e difficile da ottenere? Proprio nulla.

Quello che hanno gli altri, penso.

Eppure per loro sembra così facile.

Non vanno di corsa, loro camminano e arrivano nei posti che li aspettano, mentre io corro, arranco, giro su me stessa infinite volte e alla fine, quando mi sembra di esserci arrivata, seppur a fatica, scopro che mancano tanti chilometri. Forse infiniti.

E sono stanca.

Sono persa. Mi sento persa.

Mi sento persa in un luogo che conosco così bene, perché alla fine ci capito sempre e ci finisco di continuo senza uscirne mai davvero.

Per farmi forza mi dico che è meglio così, che va bene soffrire per gioie che non sono tue perché sei lo fossero state, poi, avrebbe fatto più male.

Ma non ci credo più nemmeno io.

Non deve fare male per forza.

E anche stasera vado a letto un po’ più stanca, un po’ più sola, un po’ più consapevole.

Ma non fa niente, mi dico, mentre spero che cambierà, che sarà diverso, che sarà bello…a un certo punto.

Eppure oggi questo punto sembra così lontano e irraggiungibile, inavvicinabile anche solo con il pensiero.

Non fa niente. E invece fa.

martedì 28 settembre 2021

C’era e non c’è più.

Ti ho sognato; tu eri maledettamente tu e io ero proprio io. Eravamo identici a prima, a tante volte, a tutte le volte. Ogni tanto ancora ti sogno e mi sveglio con la giornata storta perché un tempo te lo avrei raccontato, senza censure.


Me la sono immaginata tante volte la nostra vita insieme. E c’era, questa vita. La sentivo ovunque: sotto le unghie, quando mi ci aggrappavo per non farla andare via; dentro la bocca, quando mi uscivano solo parole di coraggio; fra le gambe, quando non volevo altro.



C’era, questa vita. Nelle cose stupide e in quelle più serie, nelle canzoni che cantavo immaginando un solo finale. C’era vita pure in strada, in piena notte, al buio, nella solitudine. Me la sono immaginata tante volte, così tante volte. Eri maledettamente tu e io sono proprio io, ancora. C’era la vita e ora non c’è più, nemmeno per strada, nemmeno in pieno giorno, neppure al sole o in compagnia. 

martedì 14 settembre 2021

Barcarolo romano.

Sabato sera a cena c'era anche Laura.

Lei ha 77anni e lo dice col sorriso, perché non le interessa poi molto. Prende alcuni farmaci che la dovrebbero aiutare con la memoria a breve termine, ma in realtà non molto. 

Ogni tanto mi offre una sigaretta, anche se le avrò detto non so quante volte che non fumo. Ma non fa niente. Lei ci rimane un po' male perché vorrebbe fare quel gesto carino per me, quello che solo i fumatori capiscono, quello di cedere una cosa - talvolta essenziale - coma una sigaretta. Solo che io dico sempre di no.

Laura è simpatica e ironica e io le do del "Tu", altrimenti si arrabbia. 

Con la memoria a breve termine non ci siamo, ma il suo più grande amore se lo ricorda bene, lei. Era in Friuli per le vacanze e lui anche. 

"Senti, me lo so visto arivà così: du metri de omo, moro, bello, con i capelli ricci...te lo devo dì? Innamorata. Subito."

E te credo, le dico io. Ridiamo. Poi le dico "Eri piccola quando l'hai conosciuto eh?" - "C'avevo l'età tua Nì, uguale uguale, poco de più...quanto era bello...". 

Laura oggi vive nella casa che ha comprato col marito tanti anni fa, è grande, mi dice, molto bella e ci sta bene. Lui ormai manca da 6 anni, ma non importa, è sempre lì anche se non c'è. 

"Non me le posso mai dimenticà le serate in macchina con lui" e ammicca. Ridiamo.

Poi le dico: "L'hai conosciuto e c'hai fatto subito un figlio, eh Laurè?!"

Non mi fa nemmeno finire: "Naturalmente! E che me lo facevo scappà?!".

Ridiamo. E poi ricominciamo a cantare Barcarolo Romano, accompagnate dalla chitarra di Giovanni che strimpella da un po'.


"E da quel giorno che l'abbandonai

La cerco ancora e nun la trovo mai."

giovedì 9 settembre 2021

Le luci nelle case all’ora di cena.

 C’è quell’orario strano, poco prima della cena, in cui in ogni casa ci si prepara per chiudere la giornata. Magari qualcuno sta preparando da mangiare mentre accende la televisione per stare in compagnia. Qualcun altro torna a casa dal suo gatto. E altri ancora invitano persone a casa e gli mostrano qualcosa di nuovo, appena comprato. Il divano, per esempio. Succede così quando vivi. E si vede dalle strade, mentre passi in macchina e osservi le luci nei salotti e nelle cucine degli altri farsi avanti, le vedi illuminarsi dove prima c’era solo una stanza buia. Dalla macchina, mentre sei al semaforo, vedi la vita degli altri che si fa luce. Nelle cucine o nei salotti o nelle camere da letto dove qualcuno si prepara dopo aver appena fatto la doccia. Lo vedi che è così, perché succede questo quando vivi. E tu sei in macchina e stai tornando a casa, ma vivi un po’ meno. E pensi alle luci che accenderai rientrando, quelle della cucina, del salotto e della camera da letto. Ma non sono poetiche come quelle degli altri. Le tue sono soltanto luci. E chissà se qualcuno, per strada, dalla macchina, vede le tue lampadine accese e fantastica sulla tua vita che magari è meglio della sua, anche se tu non ci credi. E come un cane che si morde la coda, alla fine,  nessuno pensa davvero a se stesso e continua a chiedersi come sarebbe la sua esistenza se abitasse nelle case illuminate che ha visto durante il tragitto di ritorno. Quelle con le luci accese in cucina, in salotto, in camera da letto, dove qualcuno prepara da mangiare e altri accendono la televisione o mostrano cose nuove appena comprate. Come il divano, per esempio. 

lunedì 26 luglio 2021

Era un bel posto.

Ci sono andata da sola in quel posto dove volevo portarti.

Forse alla fine non ti sarebbe nemmeno piaciuto così tanto.

Meglio così, mi sono detta.

Ho sempre avuto il terrore di deluderti. E alla fine è successo a te.


Ci sono andata da sola, ma è stato un caso.

Forse un segno. Chissà.


Faccio tutto da sola da quando non ci sei, per me che non ero sola mai nemmeno quando non c’eri. E invece adesso sono sola per davvero.


Meglio così, a volte mi dico.

Potevo deluderti, mi dico.

E invece alla fine è successo a te. Ma tu questo non lo sai.


Quel posto dove volevo portarti è sempre stato vicino e non lo abbiamo mai trovato.

E io ieri ci sono stata da sola, ma per caso.

L’ho trovato io.


Forse alla fine non ti sarebbe nemmeno piaciuto così tanto.

Meglio così, allora.

Avevo paura di deluderti e invece mi hai deluso tu. 

Succede, mi dico.

Meglio così, allora.


Comunque era un bel posto. Te lo giuro.

venerdì 23 luglio 2021

Le giostre.

È successo di nuovo. Tutti intorno a me arrivano da qualche parte.

E io li guardo e mi brillano gli occhi e vorrei dire a tutti quanti quanto sono felice, per loro.


Però vorrei esserlo un po’ anche per me.

Mi sento come i bambini che aspettano il loro turno per salire sulla giostra, con gli occhi bramosi di assaporare quel momento e sentire il vento in faccia dello sfrecciare in tondo. 

Ma non salgo mai.


Non arriva mai, il mio turno.

E resto a guardare gli altri che volteggiano, che si divertono, che vivono e avvertono quella stretta allo stomaco tipica di quando hai la paura buona, bella, dei momenti che ti tolgono il fiato. Dell’emozione sul viso e nelle mani che tengono forte l’appiglio della tua vita e di quella degli altri.


Li guardo. Tutti.

E mi brillano gli occhi mentre mi si spegne tutto dentro.

E aspetto il mio turno per la giostra, che puntualmente - quando arriva - la giostra è guasta, non funziona, non va veloce, incespica, si ferma e io devo scendere.

E mentre scendo qualcuno sale. 

E non sono mai io.


È successo di nuovo.

E gioisco dei traguardi altrui, mente aspetto i miei che non arrivano mai, ma che si spostano sempre un po’ più in là, un po’ più lontani, un po’ più avanti, un po’ più fuori dalla mia portata.


Io li guardo da lontano.

Mentre gli altri, sulle loro giostre, li afferrano girando in tondo con le mani che si tengono alla vita, strette, forti. 

E con il vento in faccia.

E il sorriso di chi ha paura, ma intanto ce l’ha fatta.


I miei occhi bramosi me li tengo per me, con la fame che hanno e con la sazietà che meriterebbero.

mercoledì 16 giugno 2021

Non è nulla.

 Io oggi non sto bene.

E potrebbe sembrare solo un giorno sottotono. Ma in realtà è un altro giorno sottotono. 


Il mio compleanno si avvicina ed è tempo di bilanci, anche se involontari.

Sarà un giorno come un altro per tutti, alla fine anche per me. Perché, in fondo, cosa cambia? 


Nulla. È un anno in più. Solo un anno in più. Un altro anno in più.

Un anno che viene dopo quello dell’anno scorso e che ti fa notare una sedia vuota a tavola e un messaggio in meno e un biglietto di auguri in meno e un cuore in meno a battere vicino al tuo.


E vabbè. 

Così funziona.

Gli anni passano e poche cose restano uguali agli anni precedenti.

Prima o poi doveva succedere, ed è successo oggi. Sono crollata. Anche se fingo di no.


Allora faccio questo giochino con la mia mente e cerco di guardare oltre, cerco di guardare le cose belle, le poche cose stabili, anche se fragili che ho. 

E bisogna aggrapparcisi con forza. Con tutta la forza che si ha in corpo. 


Poi però ti viene da pensare che tua madre, guardandoti negli occhi, ti dice che il giorno del tuo compleanno ha preso impegni.

Ti chiede se ti dispiace e tu dici ma no, ma figurati, ma che problema c’è. Perché dovrebbe? 


In fondo non è nulla. È solo un anno in più. Con una sedia vuota in più. E un cuore in meno. E un biglietto di auguri in meno. E tua madre che quel giorno prende impegni. Ma non è nulla.


E non è nulla nemmeno che avevi progettato di partire. Con la tua persona preferita al mondo, forse l’unica che tu abbia mai conosciuto. E invece non parti più. E il tuo compleanno si avvicina.


E tu fai i bilanci. Anche se non vuoi. E perché li fai, se in fondo non è nulla? Non è altro che un anno in più, senza un biglietto di auguri in più e senza una sedia vuota in più e senza un cuore, che è il tuo cuore, che batte ancora come prima.


Ma non è nulla. E va tutto bene. Perché le crisi passano e i giorni brutti passano e anche il tuo compleanno passa. E passa tutto senza lasciare traccia, anche se dentro avverti i solchi di un passaggio pesante, anche se fuori non è rimasto niente.


Ma in fondo non è nulla.

È solo una sedia vuota in più.

Un biglietto di auguri in meno, in più.

Un sorriso in meno, in più.

E una consapevolezza in più. Di cui avrei fatto volentieri a meno. 

lunedì 31 maggio 2021

Maledetto tempo. Maledetta me.

 Facciamo sempre l’errore di pensare che ci sia tempo.

Questa cosa adesso non la dico, tanto c’è tempo.

Questa invece non la faccio, ci sarà tempo.

Poi invece il tempo non c’è, fugge.

E più lo rincorri, più lo cerchi, più lui è andato e ormai è tardi.

Non si può più dire e non si può più fare nulla. Ti è sfuggito dalle mani e ti ha lasciato con il tuo vuoto da colmare. 

Un vuoto in cui ci si può solo chiedere “Cosa sarebbe successo se...?”. 

E non lo saprai mai.

Facciamo l’errore di credere che il tempo sia inesauribile e che tutto ruoti attorno alle nostre attese, ai nostri desideri e ai momenti in cui possiamo dedicarci a essi.

Ma la vita scorre.

Tu scorri.

E non ci puoi fare niente se il tempo - irrimediabilmente - vola via. Lasciandoti quel vuoto da colmare. Da levigare. Da studiare. 

Ma sempre vuoto resta.

martedì 11 maggio 2021

Caramelle.

L’ultima volta che ti ho visto ti ho portato delle caramelle, perché nella vita c’è bisogno di dolcezza. Anche quando fa ingrassare.

Te ne ho portate di due tipi: quelle con lo zucchero e quelle con la carta gialla e blu. Quando ho fatto il sacchetto ho pensato “Mettiamone tante, che di dolcezza non ce ne è mai abbastanza”.

Nelle mie stranezze c’è quella di guardare l’ora e se segna lo stesso numero pensare a qualcosa di bello, di positivo. Un desiderio che vorrei si realizzasse. E poi non si realizza mai.

Ho davvero sperato con ogni molecola del mio corpo che le ore con lo stesso numero si palesassero per farmi esprimere i desideri e farmeli vedere realizzati e che ogni coincidenza avesse un peso maggiore di quello che ha una semplice casualità. 

Io ci credo sempre, ma alla fine non arriva mai. Ci credo perché mi ostino a pensare che dopo tutte le brutture che ho visto, sentito e sopportato prima o poi qualcosa deve tornare.

E invece perché non succede? Qui manca tutto. E non ho più niente. O forse semplicemente non l’ho mai avuto. Chissà.

domenica 9 maggio 2021

Non voglio più vivere in piedi.

 

Quanto sono lunghe le giornate quando non dormi, quando è tutto piatto, quando nessuno ti aspetta e nessuno aspetti.

Cadere e rialzarsi dovrebbe essere qualcosa di astratto, qualcosa che a un certo punto finisce. Ma invece non si finisce mai di cadere, solo che poi a rialzarsi si fa una fatica immane ogni volta di più.

In questi momenti l’unica cosa che ci si riesce a chiedere è: ma perché è successo ancora a me? Perché sono così stupida che succede sempre tutto a me? 

E le risposte non arrivano e non arriveranno mai.

E io sono stanca.


Sono stanca di doverci pensare, sono stanca di dovermi preoccupare. Sono stanca di tutto. E sono stanca di dovermi rialzare.


Io non voglio più vivere la mia vita in piedi, se questo vuol dire inciampare costantemente e poi cadere. Voglio strisciare, come il verme che sento di essere.

domenica 25 aprile 2021

Sto così. Come una che aspetta.


Dice come stai.

Eh, come sto.

Così sto.

Tipo come?

Come una che aspetta, che aspetta sempre.

Ma aspetta cosa?

Tutto. Prima una cosa, poi un’altra. Sto così, sto come una che aspetta sapendo che la vita è attesa, ma dimenticandosi che poi, alla fine, aspettando il tempo passa e hai scordato di guardarti intorno quando era il momento.

Dice come stai.

E come vuoi che stia.

Bene, sempre bene, anche quando va male.

Ché tanto la vita poi si mette a posto, se non ce la metti tu.

Ma allora come stai?

Così. In attesa. In attesa che si sblocchi un blocco invisibile e immenso. Un blocco che non so da dove arriva, un blocco che tiene tutti per terra quando vorremmo volare.

Ma quindi stai bene?

Sì, sto bene.

Però aspetto.

E alla fine se porti pazienza e aspetti qualcosa arriva. Arriva sempre.

E qualche volta sei fortunato davvero perché arriva proprio quello che volevi tu.

martedì 6 aprile 2021

Matteo.

Matteo stamattina ha scelto di morire. 

Così, senza pensarci o forse pensandoci troppo.

Prima il fuggi fuggi di notizie, messaggi e chiamate di chi voleva sapere cosa fosse successo e poi l’amara realtà.

Matteo se ne è andato volontariamente.

Non è stato un incidente.

Non è stato un caso.

Oggi Matteo ha deciso che non doveva esserci più.


Su whatsapp il suo stato dice “Sarò irreperibile per tre settimane, o forse di più”.

E nessuno ha capito, forse perché nessuno voleva capire. O forse perché non c’è mai tempo per gli altri.


Di Matteo rimangono i capelli rossi e i tatuaggi stinti, le battute con la birra in mano e i racconti sull’Irlanda. 

Oggi Matteo è sul giornale. Su quella pagina scrivono che si è impiccato perché a causa del covid non lavorava più. 

E sulla quella stessa pagina la gente scrive che non è possibile, perché non ci si impicca per “così poco”. 


Io non lo so per cosa ci si impicca, ma so che non dovrebbe succedere a un ragazzo poco più che trentenne. 

Di Matteo rimane che rimaniamo noi.

Sperando di potergli rendere giustizia ogni volta che lo ricorderemo, anche se adesso le parole non ci sono e non le troviamo. 


Ma un giorno chissà...

Eppure gli alberi sono in fiore, Mattè.