martedì 29 dicembre 2015

Le cose finiscono. Anche Dicembre.

Sta finendo Dicembre e non sembra neanche inverno.
Qui a Roma stiamo vivendo in un autunno che non vuole finire. Ma nessuno si lamenta.
Manca poco alla fine dell'anno, solitamente in questo periodo ci si affanna per capire cosa organizzare, dove andare, con chi stare la notte del 31, io no. Non mi sto dannando l'anima per cercare qualcosa.
Non sono impaziente che l'anno passi, non questa volta.
Ho sempre pensato che gli anni passano e non cambia mai niente, un po' ho dovuto ricredermi. Un po'.
D'altro canto, se per ventidue anni gli anni finivano e ne cominciavano solo di peggiori, forse adesso è arrivato il momento del riscatto.
All'inizio della mia storia con S. - il quale nome ci tengo resti privato - la mia ansia e la paura di perdere tutto da un giorno all'altro erano sempre dietro l'angolo. Non che le cose siano cambiate poi tanto, voglio dire, quando tieni a qualcuno il pensiero di perderlo è chiaramente una coltellata alla tempia, ma si può gestire un cattivo pensiero. Perché è, appunto, solo un pensiero.
Con il tempo ho imparato a riconoscere una paranoia reale da una paranoia costruita. Da me, ovviamente.
Ci sono dubbi che si insinuano da soli, fa gioco anche una personalità forte con qualche devianza psicofisica, in effetti.
Ma il più delle volte, quelli che chiamano "cattivi pensieri", non sono altro che elucubrazioni mentali del tutto ingiustificate. Cose a caso costruite in momenti di ansia, di angoscia, di sconforto, ma che, alla fine della fiera, non hanno senso di esistere perché non sono reali.
Adesso sono più tranquilla. In generale. Ad un certo punto semplicemente si apprende che è tutto vero, anche se non sembra e si può continuare a vivere la vita in modo pressoché privo di ansie e paure.
Il duemilaquindici non è stato un anno orribile come pensavo, anzi.
E' stato l'anno in cui ho imparato a riconoscere i miei limiti e spesso li ho anche superati.
L'anno in cui ho focalizzato un obiettivo e sto provando a perseguirlo, ancora.
L'anno in cui, come ogni anno, ti rendi conto di chi vuoi nella tua vita. E di chi ti vuole nella sua.
Non parlo d'amore - o meglio non solo - parlo di tutto.
Nella mia vita ho capito che non voglio zavorre. Non voglio nervosismi non miei, ché già quelli che ho mi bastano. E soprattutto non voglio bambinate.
A ventitré anni me ne sento molti di più addosso e questo già da diverso tempo. Quello che mi aspetto è che, se il mondo non può essere alla mia altezza, che almeno la gente che lo popola lo sia.
Chiedo troppo?
Intendo dire che sono stanca di chi mi fa perdere tempo, in tutto.
Chi mi annoia, chi mi usa.
Le solite cose che fanno un po' quindicenne mestruata, in effetti. Ma all'età di venti anni e poco più, è solo la consapevolezza di volere qualcosa di meglio, qualcosa di adulto.
Il duemilaquindici è stato l'anno in cui, dopo aver corso tanto, ho capito che non voglio farlo più.
E non intendo correre con le scarpe da running, perché quello in effetti dovrei farlo.
Intendo che non voglio affrettare le cose, tutte le cose. 
Ho capito che il più grande errore che ho fatto nella mia vita è stato quello di voler correre, sempre.
Di volere tutto e subito.
Di non badare al viaggio, ma solo alla meta.
Insomma una cazzata colossale. Una perdita di tempo inaudita.
Sì perché alla fine ho scoperto che è bello anche camminare e fermarsi, ogni tanto. Prendere fiato, capire che è tutto ok o che non lo è, ma senza scappare. Sedersi, riflettere o magari no. E poi ricominciare, se si ha la voglia e la capacità per farlo.
Non mi interessa dimostrare, non mi interessa strafare. Mi interessa che vada bene.
Non so cosa preveda per me il duemilasedici, spero solo che le cose importanti non cambino.
E sì, è ovvio che mi riferisco a quelle cose importanti.
Mi auguro solo che sia un anno che valga la pena vivere, come lo è stato questo che sta finendo, ma anche di più. Perché adesso ne ho voglia.
Affronto il nuovo anno con un peso in meno, quello che fino a due anni fa mi accompagnava dal 31 al 31 dell'anno dopo, senza mai passare. Il peso di sapere che sarebbe stato un anno come i soliti anni.
Sono sicura che nel duemilasedici non smetterò di emozionarmi per le piccole cose, ovvero quelle che amo di più.
Come una Domenica a Villa Torlonia, con il Sole alto, caldo, che non accalda, ma scalda.
L'altro giorno un gatto randagio mi si è seduto in braccio, un bellissimo persiano nero che mi ha fatto le fusa e mi ha sciolto il cuore. Il calore che arriva dagli esseri viventi è un regalo che non si può comprare.
Lo stesso vale per la signora che l'altro giorno mi ha detto "fossero tutte come lei, signorì" dopo avermi visto buttare uno scontrino in un cestino per strada.
All'inizio non avevo capito bene, poi mi sono resa conto che ci siamo regalate qualcosa a vicenda...

...e credo sia stato lo stupore.


martedì 8 dicembre 2015

Un anno dopo.

Un anno fa a quest'ora avevo lo stomaco rigirato almeno nove volte su se stesso, quella sensazione che hai sia quando è successo qualcosa di bellissimo, sia invece quando la vita si palesa per lo schifo che è.
Non stavolta - zan zan - stavolta, anzi, quella volta era un agglomerato di interiora felici.
Un anno fa a quest'ora neanche la consapevolezza che sarebbe stato Natale di lì a poco mi faceva così senso, anzi. Nell'aria respiravo qualcosa di nuovo, per una volta, davvero.
Credo sia quella magia che avvertono le persone normali sotto le feste, quando la città è tutta illuminata e c'è un via vai di gente insopportabile, che però, chissà come mai, rende tutti euforici e propositivi.
Un anno fa a quest'ora ero felice. Lo sono ancora, è questo che fa strano.
Pensavo e ripensavo alla serata del giorno prima, quella che mi aveva fatto stare in ansia t u t t o il giorno, ma credo che per una volta sia stata una compagnia ben accetta.
Da un anno ormai non sono più sola - sì, mi ci sento spesso, ma questo è un altro discorso - la cosa importante è che ho finalmente capito cosa volevano dire tutte quelle frasi fatte, tutte quelle raccomandazioni e tutti quei film strappalacrime che almeno una volta nella vita hanno fatto commuovere ognuno di noi.
Nella mia vita fino al sette Dicembre dello scorso anno non sapevo che cosa volesse dire avere un uomo, averlo nel senso stretto, non di quando porti a casa il primo che capita e ci dai giù tutta la notte.
Non avevo idea di cosa volesse dire amare ed essere amati, perché per me l'unico amore esistente era quello che ti consuma di lacrime, ti toglie l'appetito e ti ammazza piano piano.
Ignoravo del tutto che nel mio disegno divino o di vita ci fosse scritto che anche per me poteva arrivare qualcosa di questo calibro. Dico calibro perché è come se ti arrivasse uno schiaffo dritto in faccia da almeno un chilometro di distanza.
Lo schiaffo dell'inesperienza, dell'imbarazzo, della paura, dell'angoscia, del dolore, della felicità.
Uno schiaffo che fa malissimo perché ti fa capire chi eri fino al giorno prima e chi dovresti essere dal giorno dopo. Nella mia vita la parola "condivisione" era legata solo ad episodi banali e pressoché inutili.
Ad esempio sì, mi era capitato di condividere la stanza con mio fratello diversi anni fa.
Mi era capitato di condividere i miei giocattoli, il mio cibo, magari anche qualcos'altro, ma non mi era mai mai mai mai mai successo di dover condividere con qualcun altro il mio essere, la mia vita.
E parlo di tutto, di ogni cosa. Dalla stupida domanda "come è andata oggi?" alla più profonda stima dell'altro.
Non ero abituata a niente, ho dovuto imparare e tutto da sola. Anche se non è esattamente un concetto giusto.
Ho sempre pensato che la questione "persona giusta" fosse di un retorico impressionante e anche abbastanza scontato, ma la verità è che purtroppo è tutto vero.
Dico purtroppo perché in quel famoso schiaffo c'è anche questo.
C'è l'aprire gli occhi e finalmente darsi pace, rendersi conto che non sei mai stata tu quella sbagliata, ma gli altri, anche se sembra un'infinità di colpe accollate. Mi rendo conto.
Sì, perché un giorno ti svegli e ti crollano tutte le certezze che avevi impilato ben bene l'una sull'altra la sera prima. Compresa quella storia schifosa e melensa sul fatto che "la persona giusta" aspetta, "la persona giusta" ti mette a tuo agio, "la persona giusta" ti ama per quello che sei, "la persona giusta" ed una sfilza infinita di bla bla bla che sembrano scontati, ma lo sono solo finché non ti ci trovi a sbattere il muso contro.
Tutta questa roba fa paura. All'inizio.
Fa paura l'amore, l'intimità, fa paura trovarsi a dover fare quello che fanno gli altri sapendo che non ne sei del tutto capace. Forse amare e lasciarsi amare è come leggere.
All'inizio fa paura perché in classe se sbagli è finita, se leggi male una parola diventi la preda perfetta, poi alla fine un po' te ne freghi e impari a leggere bene, abbastanza veloce, abbastanza intensamente.
Credo sia uguale quando ti rapporti con qualcosa di così grande.
Io ero spaventata da tutto, qualsiasi cosa per me era un ostacolo invalicabile.
Ho rimandato una semplicissima cena fuori per due mesi, forse anche due mesi e mezzo. E dall'altra parte non c'era nessuno a dirmi che ero incapace, inetta, stupida. Anzi.
"Ma no, ognuno ha i paletti suoi, non ti preoccupare." mi diceva così. Ed io mi vergognavo.
Perché rifiutavo di andare a cena fuori? Perché era impensabile per me fare qualcosa di così intimo come mangiare con una persona per la quale già iniziavo a nutrire sentimenti profondi e stima.
Poi un giorno mi sono stufata e forse spinta dalla fame ho ceduto. Scherzo.
Ho ceduto perché dovevo farlo.
Ho ceduto perché alla fine ho scoperto che non c'è niente di più bello che sedersi ad un tavolo, al caldo, con il mondo fuori e poter osservare tutto con ironia e riderne insieme.
Fa ancora paura a volte, non voglio mentire a me stessa. Fa paura perché non so mai dove mettere le mani, ho sempre il timore che ad un tratto possa cadere nel vuoto, in un vuoto che non ho visto, che non ho considerato. In un vuoto infame che non si sa da dove arrivi.
Se mangiare fuori era atroce, dormire insieme forse lo era ancora di più, ma sorpresa delle sorprese ho scoperto che sono bravissima anche in quello.
Ho scoperto che alla fine nessun limite è invalicabile. E mi faccio pure un po' schifo perché sto facendo della retorica insopportabile, ma la realtà è che vale la pena di fare tutto, di vivere tutto.
La verità è che le persone ti salvano. Anzi, "le persone giuste" ti salvano.
Ti salvano da te stesso, prima di tutto. E non è cosa da poco.
Ieri sera ero una persona diversa rispetto al sette Dicembre del 2014.
Ieri sera ero sicura di me, sicura di quello che stavo facendo. Ieri sera mi sono vestita, mi sono truccata e in testa nessuna voce mi diceva che tanto sarebbe finita come le altre volte. Ieri sera l'unica cosa che pensavo era che non vedevo l'ora di essere a cena, al tavolo, davanti a lui.
Alla faccia mia, di me stessa, di quella che ero l'anno scorso o tanti anni fa. Alla fine ho vinto io.

martedì 1 dicembre 2015

Di nuovo Roma.

Sono tornata, ma non volevo.
Certe volte tornare a casa è un po' morire. Ho lasciato qualcosa a Dublino, ma devo capire cosa.
Non credo sia un pezzo di cuore, come solitamente si dice. Non credo sia quello.
Credo sia altro. Tipo la voglia di visitarla ancora, forse.

Ricominciare a dormire da soli fa schifo.
Ho sempre considerato i viaggi la prova del nove, per tutto. Per capire se con una persona puoi stabilire qualcosa di vero e per capirlo devi viaggiare. Viaggiarci.
Vivere una persona 24 ore su 24 è appagante. Anzi, non una persona, ma LA persona.

In Irlanda mi sono sentita bene.
La gente mi parlava, di tutto, ogni cosa. Si avvicinavano e parlavano.
La trovo una cosa carina, quando sono fuori casa.
Per la prima volta non mi è mancato niente mentre ero via.

Da sempre viaggiare per me significava partire e sapere di aver dimenticato qualcosa a Roma.
Qualche sentimento, ad esempio.
Partivo con un bagaglio che pesava più di quanto doveva, perché ci mettevo dentro tutto.
I rimpianti, le occasioni perse, le situazioni che non combaciavano mai e un tempismo inesistente.

Questa volta è stato diverso.
Sono partita con una valigia leggera, una mente leggera, un cuore leggero.
Ogni tanto mi sono interrogata sul perché le persone facciano di tutto per rovinare quello che di buono hanno, rientrando da sempre in questa categoria mi è sembrata una domanda lecita.

La risposta non la so, non sono riuscita a darmela, ma la scusa dell'avere paura non regge più.
Bisogna trovarne un'altra, una che sia vera possibilmente.
Oppure bisogna smettere di farlo, semplicemente. Memo per me stessa.
Forse la bellezza di partire con un bagaglio - mentale - leggero sta nel tornare a casa leggeri.

Tornare a casa leggeri significa non essere tristi perché non si è più in viaggio, ma essere contenti di poterne fare ancora e ancora e ancora e ancora.
La parola ancora è una lama a doppio taglio, da una parte c'è l' "ancora" gioioso, quello che ti fa vivere qualcosa ancora una volta; dall'altra l'atroce "ancora", quello che ti fa vivere qualcosa ancora una volta.

La differenza è sottile, ma c'è.
E quindi: 
Chi vuol essere lieto sia,
del doman non v'è certezza.

mercoledì 25 novembre 2015

- quasi - Dicembre.

Ho iniziato un nuovo corso all'università e pare anche che mi interessi il giusto.
Questo periodo ho voglia di iniziare progetti e vederli finiti.
Ho voglia di impegnarmi, non so se sia più per evitare di pensarci in seguito o perché davvero mi interessa, ma va bene lo stesso perché mi smuove dal mio stato di bradipo livello esperto.

Agli inizi di Novembre ho iniziato una dieta, il che ha sorpreso anche me perché mi è sempre sembrato faticosissimo e interminabile. 
Probabilmente avevo talmente tanta voglia di vedermi diversa, che non ci ho nemmeno badato più di tanto alla fatica.
E' passato quasi un mese da quando l'ho iniziata e, inspiegabilmente, ne sono contenta.
Credo stia funzionando, o meglio così dicono. 
Mi sento meglio. In generale, dico.

Mi sento meglio, anche se è un'imposizione.
Mi sento meglio nonostante tutto. Sì perché delle volte non mi basta, non mi basta fare una dieta, non mi basta dare e superare esami e non mi basta vivere come sto facendo.
Non lo so perché, semplicemente non mi basta. Vorrei di più, forse. Ma non in modo avido, non in modo smisurato ed inutile. Forse vorrei solo che dal principio le cose fossero state diverse per me. Per quello che ho vissuto.
Non lo so.

Questo periodo mi sento così fragile che evito di pensare alle cose che mi fanno male perché non riesco a gestirle. Se la mente mi porta a ricordarmi qualcosa che mi fa soffrire, scaccio il pensiero in modo infantile, lo allontano pensando ad altro, a qualcosa che dovrebbe farmi bene, e comunque, anche in quel caso è un palliativo e so che prima o poi mi toccherà farci i conti davvero, con questo schifo che rimando sempre di più.

Alla partenza manca poco. Ecco, se penso a questo sto bene. Bene davvero eh.
Mi è sempre piaciuto viaggiare e in più questa volta c'è un valore aggiunto.
Dicono non sia il periodo migliore per prendere un aereo, ma forse non lo è mai in fondo.
Non vedo l'ora.
A Settembre pensare a questo viaggio sembrava una cosa davvero tanto lontana, ma i giorni passano, i mesi anche ed è sempre il momento giusto per partire. Sempre.

A Roma è arrivato il freddo, quel tanto che basta per tremare da fermi. Anche fuori.
C'è ancora il Sole, però. Alto, altissimo. Mi da speranza, non so bene perché, ma alleggerisce tutto.
Questo clima è il mio preferito. Sole alto e quel freddo che ti gela il naso.
Tutte le cose più belle che mi sono successe nella vita - poche, ma buone - le ho vissute con il freddo.
C'era sempre lui a fare da cornice agli eventi più lieti dei miei giorni.

Manca poco anche al nuovo anno, che angoscia. 
E anche al Natale.
E anche al nostro primo vero anniversario.
Lo so, è banale. Forse infantile. 
Ma mi strappa un sorriso ogni volta.

venerdì 20 novembre 2015

Oggi smetto.

Di fare certe cose si smette. Così, di colpo. Si smette.
Un giorno decidi che del rossetto rosso non ne puoi più, della frangetta non ne puoi più e pure gli anfibi ti hanno un po' stufato.
Allora smetti. Da un giorno all'altro.
Non so come e perché succeda, ma va bene. Lo accetto.
Ci sono cose che fino a ieri ti sembravano normali e oggi invece non le rifaresti nemmeno sotto tortura.
Smetti di fare, di credere, di volere, di non volere.
Perché è vero, si può decidere anche di non voler più fare, pensare, avere, amare una certa cosa.
Anni fa mi aggrappavo a questa sensazione secondo la quale alcune persone, soprattutto una, sarebbero state indimenticabili. Oggi credo che nessuno lo sia.
O meglio, lo siamo tutti, ma a tempo indeterminato.
Può durare dieci anni o dieci secondi. Ma prima o poi si dimentica anche il ricordo più doloroso e rimane quel leggero fastidio. E' un fastidio pari a dieci anni o dieci secondi di rabbia repressa, di parole non dette, di scenari mentali, di momenti non vissuti.
L'altro giorno guardavo una foto. Mica una qualsiasi, eh.
C'erano due persone e non due persone qualsiasi.
In quella foto ci ho visto due corpi che fingevano e ostentavano una felicità non proprio reale.
La felicità di comodo. Quella di quando ti chiama tua madre e dici che va tutto bene, ma lo sai anche tu che un solo tassello fuori posto scombinerebbe tutto questo tuo precario mondo.
Fatto di auto convinzioni pericolose.
C'erano due volti, in questa foto. Sebbene anni fa davanti ad una cosa del genere sarei probabilmente potuta morire, mi sarei potuta dannare l'anima chiedendomi perché, giorni fa la mia reazione è stata di sdegno.
Sdegno profondo nei confronti di quelle persone in foto.
Mi sono chiesta come ho fatto a farmi rovinare il cervello da una faccia da schiaffi come quella e come ho fatto, io, sempre io, a farmi rodere il fegato davanti ad una persona così mediocre e insulsa.
Questi ragionamenti mi portano sempre a darmi la colpa di ogni evento passato.
Forse è così, alla fine.
Forse è colpa mia.
Ma si può uscire da un senso di colpa e perdonarsi. Davvero.
Si può. Ne so qualcosa.
Ci sono voluti anni, che mi sono sembrati secoli. Se guardo indietro sembra un'altra vita, di qualcun altro addirittura. E questo vuol dire che sono lontana da questo ricordo, da questo senso di colpa.
Mi sono rialzata e l'ho fatto da sola.
Non è retorica. E' la verità.
La mia dottoressa dice che bisogna alzarsi la mattina, guardarsi allo specchio e dire ad alta voce "io mi amo".
La prima volta che me l'ha detto sono scoppiata a ridere, imbarazzatissima.
E la sua risposta è stata "se ti viene da ridere c'è un problema. Risolvilo."
Questo mi ha lasciato così senza parole e così vuota che uscita dal suo studio avevo la febbre a 39 e mezzo.
Roba psicosomatica ecc ecc.
Allora ho pensato, vale la pena farsi mangiare il cervello da questo ricordo?
Da questa vita non vissuta?
Da questa convinzione solo mia di ciò che sarebbe potuto essere se?
Questo senso di colpa di essersi concessi a persone sbagliate, in situazioni sbagliate, è una larva che da dentro toglie tutto ciò che di buono si ha. Anche quel poco.
E succede sempre, in qualsiasi involucro umano.
E' uno schifo che forse dobbiamo sopportare per raggiungere un posto migliore. 
Per quanto ogni posto abbia i suoi anfratti bui e angoli spigolosissimi, ma probabilmente può essere migliore di qualsiasi altro posto sudicio in cui siamo stati. Chissà.
Pare sia vero.
Quella foto, quelle persone non mi fanno più effetto.
Sembra incoerente, perché ne sto parlando, ma aiuta ad esorcizzare quel minimo fastidio che ci resta attaccato. Sempre e credo per sempre.
Soffrire porta a riconoscere le situazioni di pericolo.
Il mio training è durato ventidue anni. 
Adesso sono in fase di addestramento per concentrarmi su una parte della mia vita che non ho mai avuto.
Credo qualcuno possa capirmi.
Ogni tanto arriva qualche messaggio di gente che legge questo blog, gente che mi ringrazia perché uso parole che da sempre vorreste usare voi.
Qualcuno dice che mi capisce e qualcuno che no, non mi capisce, ma mi abbraccia da lontano.
Mi gratifica pensare che forse quello che scrivo può essere utile, anche solo per esprimersi.
Anche solo per leggere da un altro quello che vorremmo aver scritto noi.
Mi dispiace sempre un pochino sapere di gente che "ne sa qualcosa". Perché mi fa pensare che anche la vostra vita non sia stata delle migliori fino a qui, ma se metà dello schifo me lo sono lasciato io alle spalle, allora può farlo chiunque. Anche e sicuramente meglio di me.
Non ho ancora superato il mio lutto. D'altronde sono passati solo tre giorni.
Non riesco ancora a farmene una ragione e forse non riuscirò a farmela entro breve.
Mi sono imposta di stare meglio.
Mi sono imposta di uscire, di fare le cose normali che facevo fino a martedì.
Me lo sono imposta perché fa parte della nuova vita che voglio vivere. 
Fa parte del mio addestramento, credo.
Me lo sono imposta perché, nonostante tutto, me lo merito.

mercoledì 18 novembre 2015

Luna.

Mi sento un po' raffreddata.
No, non nel senso che mi soffio il naso ogni cinque minuti.
Sento che c'è un vuoto incolmabile, ecco. Questo sento.
Quei vuoti che fanno venire freddo, appunto.

Ieri è successa una cosa orribile.
Dopo - quasi - 14 anni di onorata carriera, è arrivato anche il tuo momento.
Un momento terribile che speravo di rimandare da sempre e per sempre.
Ma non è e non sarà mai così.

Stare a casa senza di te è brutto.
E per brutto intendo che non passa un minuto senza il quale io ti venga a cercare nelle stanze, per vedere se stai bene. 
Come facevo da sempre.

Ieri sera, dopo il triste accaduto, sono tornata a casa solo con la voglia di farmi una doccia bollente.
Ho aperto la porta e non c'eri lì davanti, pronta a scodinzolare per darmi il benvenuto.
Sono passata in cucina e avevo dimenticato un biscotto sul tavolo, dalla colazione. Ho pensato "adesso glielo do a Luna", poi mi sono ricordata e mi si è stretto il cuore.

Stamattina dovevo alzarmi presto e avevo impostato la sveglia una ventina di minuti prima, per la nostra solita passeggiata mattutina. Ma oggi mi sono sentita un'idiota.
Non c'era nessuna passeggiata.
Faticherò a farci l'abitudine.

Sono qui che scrivo, al mio solito posto, il posto dal quale allungando un po' il collo ti vedevo dormire vicino a me. Lo stesso posto dove tante volte hai elemosinato del cibo che non ti è stato mai negato, perché con quegli occhioni lì chi poteva farti mancare qualcosa?!
Appunto.

A casa siamo tutti scossi.
Manchi già a tutti.
Si sente che c'è qualcosa che non va.
E per la prima volta non ci sei tu a venirci incontro quando siamo tristi.

Sei e sarai sempre insostituibile.



domenica 1 novembre 2015

Novembre.

Vi siete mai spogliati davanti a qualcuno?
E non intendo dei vostri vestiti.
Dico se avete mai aperto i rubinetti dei vostri occhi e vomitato tutte le vostre paure ed insicurezze.
Io sì.
Non pensavo potesse accadere in questa vita, sinceramente. Eppure è successo.

Io credo che sia necessario essere riservati, sempre.
O meglio, concedersi di esagerare, con chiunque si voglia, tenendo sempre quel dettaglio, quella situazione, quel ricordo in particolare gelosamente custodito da qualche parte lontana da occhi ed orecchie indiscrete.
Ci sono paure che vanno conservate in attesa di qualcuno che sia disposto a prendersele e farle sue.
Stessa cosa per le insicurezze.

Secondo me, quando si è in due, in ogni rapporto possibile umanamente.
Che sia un'amicizia o un amore travolgente, ma in fin dei conti anche una scappatella, nel momento in cui confessiamo o ci vengono confessate delle paure, l'unica cosa che possiamo fare - o che forse ci viene da fare - è farle nostre esattamente come se lo fossero.
In poche parole la mia paura dell'abbandono diviene la sua paura dell'abbandono.
E la sua insicurezza nel confessare sentimenti profondi, diventa la mia insicurezza nel confessare sentimenti profondi.

Solo facendo nostre le insicurezze dell'altro o cedendo i nostri mostri mentali possiamo capirci, in questa vita.
Ma io ho aspettato tanto e ho deciso che l'avrei fatto solo se ne fosse valsa la pena.
Non lo so, è come se fosse stato organizzato un lungo percorso che convergesse azioni, ricordi e tormenti, tanti, in un unico istante; ed una volta superato quell'istante, chi ne avrebbe fatto parte sarebbe rimasto legato, ancorato a quel momento e a quel percorso e a quella persona, ovviamente.

Un anno fa a quest'ora mi preparavo mentalmente per affrontare un viaggio piacevole.
Lontana da tutto e quasi tutti.
L'idea di viaggiare, partire, lasciare le cose al loro posto, mi è sempre piaciuta.
Ma allo stesso tempo mi intimorisce.
Ho sempre avuto l'idea che assentandomi anche per una sola settimana, il mondo così come lo ricordo, crolli inesorabilmente e ad attendermi ci possano essere solo i cocci di quello che avevo in precedenza.
Con il passare del tempo ho capito che il mondo non crolla senza di me, perché fondamentalmente non sono io a reggerlo. Crollerebbe lo stesso o non crollerebbe mai.

Allontanarsi dalle persone o dai luoghi è doloroso tanto quanto benefico. A volte.
Novembre è da sempre il mio periodo preferito. E da quasi undici mesi ogni giorno, ogni stagione ed ogni momento dell'anno, hanno per me un significato maggiore, più elevato.
Ogni cosa è ricollegata a qualcosa di più grande.

Questa fase dell'anno suggerisce che sta ricominciando tutto.
Ci si avvicina a Natale, ahimè. E quindi, peggio ancora, all'anno nuovo.
Vivo da sempre il mio tormento più grande: la voglia di andare avanti per scoprire cosa c'è e l'angoscia di non volerlo sapere.
Ma forse, come le altre, è una paura che va accantonata.
Perché ogni tanto e solo ogni tanto, ma speriamo per moltissimo tempo, spogliarti davanti a qualcuno delle tue paure e delle tue insicurezze, vuol dire non essere soli ad affrontare un problema.
E, che ci piaccia o no, oltre ad essere bellissimo, si fa anche meno fatica.

giovedì 22 ottobre 2015

Amenità.

Ci sono problemi che vanno risolti, dai quali non si può scappare. O forse non si riesce a scappare.
Per quanto mi riguarda la tecnica di girarsi dall'altra parte non ha senso.
Se sono al semaforo e qualcuno mi chiede dei soldi, mi giro dall'altro lato, guardo altro, mi libero momentaneamente la coscienza e appena scatta il verde riparto senza guardare indietro.
Se tratto male qualcuno, per una qualsiasi cosa, rispondo a tono, forse vado anche un po' oltre, chiudo la conversazione, metto un punto, mi distraggo e passo a qualcos'altro.
Se non faccio qualcosa che dovevo fare da tempo, continuo a rimandare, finché è troppo tardi, finché non posso farla più e allora apro un libro o accendo la TV e quella cosa mi appare lontana e posso rimandarla ancora.
Poi arriva un momento bianco, uno di quelli in cui non sei niente. 
Quando arriva la sera, quando sei dentro al letto e fissi il soffitto e ti rigiri fra le lenzuola. In quel momento torna tutto insieme, è come se ogni volta che hai voltato la testa dall'altra parte arrivasse a chiedere un riscatto. O a chiederti di girarti dal verso giusto.
Quindi mentre sei dentro al letto ti viene in mente che forse, in fondo, dare un euro ad un mendicante non ti cambiava la vita, riflettere prima di rispondere male nemmeno e magari se avessi fatto ciò che dovevi fare prima, avresti avuto meno lavoro da sbrigare un altro giorno.
E' così. Le conseguenze ci sono sempre, non si possono evitare.
Non so perché, ma pensare anche solo alla parola "conseguenze" mi mette agitazione, come se collegassi la parola a qualche emozione. Come se le conseguenze fossero sempre negative.
In effetti, ad oggi, se mi guardo dentro - ma pure fuori va - vedo che tutto quello che sono è una conseguenza. Alcune pessime, altre meno.
Non so chi abbia deciso che facendo una determinata azione, qualsiasi essa sia, a distanza di ore, giorni, mesi o anni, quella precisa azione ti possa portare ad un traguardo che non credevi. O ad un fallimento.
Se avessi avuto una vita diversa sarei una persona diversa.
Se avessi studiato di più, quando era il momento di farlo, probabilmente adesso starei meglio professionalmente parlando.
Se quel giorno non fossi uscita da casa con così tante aspettative, forse, mi sarei risparmiata anni di terapia.
Se invece di rigare dritto, il più delle volte, avessi preso qualche scorciatoia, adesso chissà dove potrei essere.
Se un sabato sera di quasi cinque anni fa non fossi uscita - come avevo in mente di fare - oggi non avrei accanto una persona meravigliosa che mi sta salvando da un'esistenza pressoché mediocre.
Ho sempre avuto il terrore di perdere. Perdere qualsiasi cosa, persona, sentimento.
Ultimamente il significato del verbo "perdere" ha assunto una sfumatura tutta sua.
La gente non la perdi, le cose nemmeno ed i sentimenti anche. Semplicemente non ti servono più.
E lo dimostra il fatto che puoi sempre ritrovarle, le cose. Ma anche le persone.
E, sorprendentemente, pure i sentimenti.
Sembra assurdo, ma è così. Forse ci si allontana da qualcosa per fare spazio ad altro, ma non è detto che non ci si possa riavvicinare in un modo o nell'altro. In quest'anno o il prossimo o fra dieci.
Nel Destino, ad esempio, ci ho sempre creduto fermamente e la vita mi da una continua riprova del fatto che di casuale non esiste nulla. 
Anzi, certe esperienze che credevo inutili, a distanza di anni, mi hanno portato a capire qualcosa.
Ad incontrare qualcuno. Ad emozionarmi. A piangere. A gioire.
Forse i dolori, i problemi, le gioie, i rimpianti, gli attimi mozzafiato sono le conseguenze di un Destino già scritto.

domenica 11 ottobre 2015

Diagnosi.

Essere depressi fa schifo.
E non parlo di avere il musino moggio perché non si è passato l'esame che ci ha tenuti incollati ai libri per otto mesi, non parlo di quello.
Non parlo nemmeno di quando muore il nostro personaggio preferito in una serie TV.
E men che meno parlo di quando avevamo organizzato una gita fuori porta e fuori c'è la seconda parte del diluvio universale.

Parlo di quando un giorno ti svegli e pensi sarà una giornata come le altre, "normale".
Invece ti ritrovi nello studio di uno che ha passato più di dieci anni della sua vita a studiare la mente umana e le sue stranezze.
Fai dei test, come a scuola.
Ogni tanto dici qualcosa. Ma se non parli è pure peggio.
Dopo un po' c'è silenzio, allora lui si gira verso tua madre e dice "Signora, come dirlo, sua figlia è depressa. Clinicamente depressa."

Il che, vedete, è un problema perché hai sempre pensato ci fosse qualcosa che non andava, ma non sapevi avesse un nome.
Quando si è adolescenti si è tristi ed arrabbiati per tutto.
Non ricordo un solo giorno della mia adolescenza passato senza prendermi un'incazzatura.
Quindi inizi a prendere coscienza di avere un problema.
E mica un problema stupido. Un problema vero.
Un problema che però, nella società, non ti giustifica sotto nessun punto di vista.

Ebbene la depressione non è riconosciuta come vera e propria malattia, ma lo è.
Lo è tanto quanto la febbre, tanto quanto la polmonite, lo è tanto quanto il cancro.
Ecco, la depressione è un cancro che non si manifesta.
Semplicemente un giorno ti svegli e non hai voglia.
Non hai voglia di niente.

A me è successo così. Un giorno che non ricordo mi sono svegliata e non ero più una bambina, anche se in fondo lo ero. Mi sono svegliata e intorno non avevo colori.
Sarà pure per questo che con il passare del tempo ho eliminato i colori da ogni cosa mi riguardasse.
Vestiti, mobili, accessori.
Non voglio dire che sia una conseguenza, ma al tempo mi andava di affrontarla così.
Diventare incolore per sentirmi parte del mondo che avevo intorno.
Un mondo di merda eh, ma una volta che uno ci si trova che deve fare. Ormai...

Credo che con il tempo sia peggiorata, la mia condizione.
Questo male incredibile che è la depressione cronica, fa in modo tale che un giorno ti svegli e sei in forma, ti senti bene, nessuno può farti male. Ed il giorno dopo, invece, speri di aprire gli occhi più tardi possibile, che la giornata passi in fretta per tornare sotto le pezze al sicuro.
Già.

Nei giorno in cui stavo bene, prima, ricordo che il mio essere "spensierata" e sentirmi un po' meno vicina a quella condizione di tristezza incessante, fosse dovuto all'essere più che altro arrabbiata.
Mi faceva stare meglio trattare male le persone.
L'errore più grande che si può fare è pensare che nessuno ti possa capire. Che poi forse è così, ma non bisogna pensarlo perché inevitabilmente si finisce con la faccia al muro. Da soli.
Ogni volta che pensi che nessuno è come te, nessuno può aiutarti e nessuno può capirti, ti allontani un po' dal resto del mondo, quello reale.
E più ti senti solo, più cerchi di stare solo.

E' un meccanismo strano. 
Al momento c'è solo una persona che anche quando "non mi va", mi fa venire voglia di scuotermi, darmi una mossa, uscire, fare cose, godermi questo straccio di vita.
La depressione fa sì che ogni minima cosa, ogni piccolo pensiero diventi un enorme gigantesco problema, un macigno pesantissimo, un ostacolo invalicabile.

Fa schifo, dico sul serio.
Certe volte mi sembra di essere posseduta da qualcosa o qualcuno molto più forte di me.
Non appena vedo uno spiraglio, questo qualcuno mi riporta giù in basso.
Nel buio di certi inferi mentali da far rabbrividire Dario Argento.
Probabilmente c'è un modo di uscirne. Ma forse è come quei mali che ogni tanto tornano a farsi sentire.
Quando guardo la mia situazione da fuori, da persona lucida, mi rendo conto di avere una paura atroce.
Una paura che mi attanaglia, perché non voglio vivere la mia vita così.
Non voglio passare le mie giornate a letto.
Stamattina non volevo, poi un attacco all'improvviso, due lacrime e le coperte tutte intorno per ripararmi dall'esterno.

Non voglio che sia così.
Il mio terrore è non riuscire a uscirne, non trovare il modo per vivere la vita normale di una persona pressoché normale.
Mi sono tirata fuori da certi ambienti malsani solo con la forza delle mie braccia.
Mi sono costruita una corazza attorno da far impallidire le guardie carcerarie medioevali.
Ho fatto tutto quello che era in mio potere e non posso essere ancora a questo punto.
Non posso.

domenica 4 ottobre 2015

Repost.

Ho ripensato ad una cosa che mi è successa due anni fa.
Era probabilmente un Lunedì mattina, avevo fatto tutto di corsa litigando con il tempo. Come al solito.
Ero uscita di casa.
Era Novembre e faceva freddo.
Il gelo mi aveva dato uno schiaffo in faccia tanto per rendere più insopportabile quella mattinata.
Era il periodo in cui avevo deciso di muovermi con i mezzi per evitarmi traffico e parcheggi a pagamento.
Un periodo che è durato poco, senza dubbio.

L'autobus era, ovviamente, in ritardo.
Maledicevo ogni singolo secondo perché non lo vedevo arrivare.
Passavano tutti, tranne il mio. Come. Al. Solito.
Finalmente da dietro alla curva, dopo svariati quarti d'ora d'attesa, eccolo arrivare.
Salendo ho notato con enorme raccapriccio di esser finita in mezzo ad una scolaresca che andava in gita. Subito il mio pensiero è stato "Ecco, ci mancava, sono finita all'inferno".
Mi ero seduta in modo distratto, guardando a terra probabilmente e spingendo subito il viso verso il finestrino. E' la mia tattica. Guardo fuori, così da non dover guardare dentro.
Sull'autobus e più in generale nella vita.

Non so cosa sia successo ad un certo punto, so solo che mi sono girata e davanti a me era seduta una bambina che stava tutta sola.
Guardava le sue compagne di classe che giocavano a fare le troie, disturbando tutto l'autobus con l'eccessivo volume delle canzoncine orrende che uscivano dalle casse dei loro cellulari.
Lei le guardava e stava in silenzio.
Era tanto bella. Con dei capelli lunghi biondi, gli occhiali e un corpicino magro magro.
Mi sono accorta che in lei c'era qualcosa di diverso, credo fosse affetta da qualcosa.
Niente di grave, niente di orrendo. Qualcosa che però faceva sentire giustificate le sue compagne di classe a lasciarla sola, con un'estranea seduta davanti, mentre loro erano ammassate insieme a ridere e sfottersi.

Lei continuava a stare lì seduta, da sola. Senza nessuno che le parlasse.
Ad un certo punto avevo sentito qualcuno chiamare il suo nome per un istante e, se fosse stata notte, i suoi occhi avrebbero potuto illuminare un'intera strada.
Qualcuno l'aveva considerata, anche solo per un attimo.
Ricordo che mi misi a piangere, nascondendomi negli occhiali da sole, guardando fuori, fingendo di non accorgermi di nulla.
Ho pensato che a casa dovevano amarla molto. Non lo so perché, lo pensai e basta.
E credo che per la prima volta nella mia vita ho sperato che un essere umano che non aveva assolutamente niente a che fare con me, potesse avere una vita migliore di quella che si prospetta a tutti.
Vedevo nei suoi occhi tutto il desiderio del mondo di non essere esclusa, di essere considerata.
Anche se forse essere diversa da quelle arpie era la sua più grande fortuna. Non so.

Comunque poi ho capito.
Non era il mio inferno quello, era il suo.

venerdì 2 ottobre 2015

Venerdì.

Un giorno, per caso, la vita cambia.
Non ho ancora capito perché, ma succede.
In alcuni casi, forse, è anche meglio così, in altri invece era meglio rimanere dove si era.
Non so come accada tutto questo, ma di punto in bianco hai delle responsabilità.
Un giorno ti svegli e sei grande.
Grande abbastanza per certe cose. Proprio quelle cose che quando eri piccolo vedevi lontanissime.
Un giorno ti svegli e non hai più niente.
Niente di niente. Quel niente che ti fa capire che, ad occhio e croce, hai sbagliato qualcosa.
Anche se non sai cosa.
Ecco, un giorno ti svegli e ti chiedi cosa hai sbagliato, perché qualcosa devi aver sbagliato davvero.
O forse no? Allora puoi chiederti anche se sei stato tu a sbagliare.
Ma se non sei stato tu, chi?!

Un giorno ti svegli e non devi più andare a scuola.
Come se non ci fosse più niente da imparare. Ma invece c'è, solo che non lo sai.
Un giorno ti svegli e guidi - e prendi anche un sacco di multe - ma, in fondo, può succedere.
Magari proprio quel giorno scopri che di multe è meglio prenderne per strada, che nella vita.
Un giorno ti svegli e non sei più solo.
Non lo so, quel giorno esci di casa e incontri qualcuno.
Qualcuno che la vita te la cambia eccome. Non sei più Uno. Sei Due.
Magari quel giorno dovevi fare altre cose o forse era tutto finalizzato a farti diventare Due, da Uno.
Un giorno ti svegli e hai paura.
Paura che la vita, quella che cambia, ti porti via tutto.
Succede anche che arriva la metà di quei Due e ti dice che invece devi stare tranquillo.
Perché quel numero, il Due, non ci sarebbe se non ci fossi tu a farne parte.

L'unica cosa che puoi fare è avere un po' meno paura. Una cosa per niente facile.
Però le cose si possono imparare. Anche se hai smesso di andare a scuola.
Ma poi, a scuola, chi ha mai imparato niente?
Un giorno ti svegli e - spero - sai perfettamente dove andare.
Magari qualche giorno più in là sai anche rimettere a posto tutti i cocci che hai raccolto fino ad ora.
Con il tempo io sono arrivata ad avere una collezione di frammenti insopportabili.
Mezze storie, mezze esperienze, mezze persone, mezzi esami, mezzi parenti, mezzi sentimenti.
Li conservo da qualche parte e prima o poi li rimetto a posto, insieme.
E poi butto tutto.

giovedì 1 ottobre 2015

Sono quasi le sei.

Sono quasi le sei e fuori c'è un tempo strano.
Stamattina avevo freddo, poi uscendo ho avuto caldo e ora ho di nuovo freddo.
Ottobre è arrivato col botto, quest'anno.
Mi piace. Va bene così.
Questo tempo è quel tempo in cui si ricominciano le cose. O almeno così dovrebbe essere.
Il tempo giusto per impegnarsi. O almeno così dovrebbe essere.
Sono così confusa.
In questo periodo mi fermo a pensare e mi sento in colpa perché non sto facendo niente di utile.
Vorrei chiedere aiuto, o meglio, vorrei che qualcuno mi aiutasse senza che ci sia bisogno di dirlo.
Che capisca solo guardandomi.
Come ogni anno ho deciso che si cambia registro, che bisogna stringere i denti e fare qualcosa.
Qualsiasi cosa, ma farla.
Per ogni pensiero positivo e motivazionale, ne arrivano almeno altri dieci pieni di ansia e angoscia e dolore e tutto quello che ti prende e con forza ti rimette a sedere. Senza fare nulla.
La gente si aspetta sempre qualcosa.
E con l'arrivo di una persona speciale, adesso, sento di averne aggiunta un'altra da deludere.
Un'altra che su di me punta qualcosa e ci crede per davvero, ma da cui forse riuscirò solo a farmi compatire.
E' arrivato il freddo. Intendo quel freddo che anche se ti copri non cambia niente.
E non ho vestiti adatti. Niente mi scalda. O quasi.
Fra due mesi parto, me ne vado in Irlanda. Non per sempre, anzi direi proprio per poco.
Troppo poco.
Ma ci vado. E ci vado con il cuore sereno.
Vorrei che il giorno della partenza fosse domani. Anzi oggi. Anzi adesso.
Aspettare non mi piace.
Questo viaggio è un traguardo e un'esperienza nuova, perché non me ne ero mai andata con la voglia di rimanere in un determinato posto con una determinata persona.
So già che sarà così e so già che quando sarò tornata probabilmente starò malissimo.
Qualcuno mi ha detto che avere una persona da amare è una cosa immensa.
Quanto è vero.
Il mio cruccio più grande è quello di non riuscire a dimostrare QUANTO amore ci sia in questo corpo, in questo metro e settanta, in questi capelli neri - tinti - ahimè, in queste unghie rosse, in queste labbra maciullate, in questi occhi.
Una persona una volta mi disse che non sarò mai un individuo qualunque, io.
Perché anche fra mille persone, se mi si guardasse negli occhi, sarebbe impossibile non riconoscermi.
Me lo disse in modo proprio naturale e sincero ed io ogni tanto ci penso e non so se riderne o vantarmene.
Riderne sì, come risultato di tutta la gente che ha sempre straparlato e alla fine non mi ha lasciato niente.
Di cose belle, nella vita, me ne hanno dette poche. Belle davvero, dico.
E me le ricordo tutte, ma non so mai quanto fossero vere.
Mi guardo allo specchio e il più delle volte vedo qualcosa che non sembra appartenermi.
Sono quasi le sei e dovrei prepararmi.
Ma sono pigra. Pigra perché ho una tristezza dentro che mi pare ingiustificata, ma sta lì e non schioda.
L'altro giorno guardavo un telefilm che non seguo particolarmente.
L'avevo messo come sottofondo mentre pensavo ad altro, come sempre.
Insomma, la protagonista neosposina, guarda il marito che sta rimettendo a posto la casa appena comprata e in totale stato di disastro e dice, lei: è difficile abituarsi.
Lui la guarda, come ti guardano gli uomini quando non ti seguono e dice: a cosa?
"Ad essere amati così tanto."

giovedì 24 settembre 2015

Senza pensare - o quasi -

Oggi ho nel cuore una sensazione bellissima.
Non so spiegarla.
Semplicemente sento qualcosa sorridere dentro di me.
Ho una leggerezza in corpo che poche volte in vita mia ho provato.

E' una sensazione strana, che spero non svanisca.
Mi sento come se aspettassi qualcosa. Qualcosa di bello, immagino.
Ecco, è una sensazione come di attesa o di liberazione.
Non so distinguerla.

Ho notato che mi riesce difficile affrontare alcuni discorsi.
Elimino a priori i miei ascoltatori, perché per me semplicemente non possono capire.
Questa sensazione la tengo per me.
Forse è giusto che sia così.

Il problema delle belle sensazioni, se scaturite da qualcosa o qualcuno, è il mantenerle.
Riuscire a non oscillare in alto o in basso e rimanere dove si è.
Ecco, mi piacerebbe fosse così.
Rimanere con questa leggerezza in corpo e qualcosa dentro di me che sorride.

Finalmente, senza pensare alle catastrofi interne, esterne, lontane e vicine.

mercoledì 23 settembre 2015

Normalità ed altre cose strane.

L'altro giorno, mentre guardavo la TV, mi sono voltata e accanto a me c'eri tu.
Ho girato la testa verso di te e ho visto che mi guardavi.
Mi sono coperta la faccia con un cuscino e ho detto con voce stridula "Che c'èèèè?!".
Tu hai sorriso, hai detto "Niente." con la calma che ti contraddistingue, ci siamo stretti ancora di più e abbiamo continuato a guardare la televisione.

Ecco.
Questi sono i momenti che mi tolgono il fiato.
Niente di trascendentale.
Niente di fatiscente.
Niente che sia di plastica.
La normalità, quella mi lascia senza fiato.

La normalità di stare buttati su un divano, dopo aver mangiato qualcosa di non elaborato.
La normalità di guardare un film idiota o qualsiasi altro film.
La normalità di avere addosso qualsiasi cosa, anche una maglietta di quattro anni fa, sbrindellata e improponibile.
La normalità di appoggiarsi uno addosso all'altro e lasciarsi un po' andare.

La normalità, di fatto, mi lascia basita. Se esiste una definizione di essere basiti in senso positivo.
Ogni cosa "normale", ogni minuscolo frammento, ogni attimo vissuto facendo qualcosa che è simile al non fare niente. Questo è ciò che mi gonfia il cuore e riempie gli occhi di lacrime.

Nella vita i grandi gesti, le dichiarazioni plateali, i sentimenti esposti agli sguardi di tutti sono solo momenti passeggeri. Bellissimi, per carità, ma passeggeri.
Ci si dichiara amore eterno ed il secondo dopo si ordina cinese per non sbattersi a cucinare.
E' giusto anche quello.
Ma la cosa che mi lascia davvero sorpresa e alla quale, probabilmente, non mi abituerò mai, è la normalità.
La quotidianità.
L'esserci indipendentemente dagli avvenimenti esterni.
Rifugiarsi in se stessi e nell'altro per non far passare il tempo.

Adesso che ci penso mi chiedo come sia possibile essere vittime dell'abitudine.
La normalità mi fa ubriacare.
La consapevolezza di prendere il telefono e avere un solo numero da chiamare, sapendo che non importa come, dove, quando, la persona dall'altra parte risponde.
E se non risponde in quel momento, comunque lo farà.
La certezza di mettersi in macchina e guidare fino ad una meta ben precisa, sapendo che dall'altra parte della strada qualcuno ti sta facendo spazio, in casa, nel letto, fra le sue braccia. Ovunque.

Quindi sì, stare in platea mi piace. Osservare da spettatrice un grande momento e farlo mio.
Ma a volte trovo più bello vivere l'evento dal divano di casa, mentre ce l'hai accanto. Il momento.

martedì 22 settembre 2015

Imbracciamo i fucili.

Vivere senza amore fa schifo.
Qualsiasi tipo di amore.
E per ogni tipo di amore che abbiamo, ne esiste sicuramente qualcuno che ci manca.

Farsi il vuoto dentro e attorno non va più di moda.
Adesso la tendenza è quella di circondarsi di qualcosa, non importa cosa.
Io non ho mai chiesto molto, dalla vita.
Ora come ora sento che mi manca pochissimo per avere tutto ciò che mi potrebbe tenere a galla.

Perché questo è il segreto.
Restare a galla. Rimanere in superficie.

Anni fa avevo smesso di credere che potesse esistere qualcosa di simile all'amore.
L'amore, vero e proprio, lo escludevo a priori. Non l'avevo mai conosciuto.
Con il passare del tempo si è fatta prepotente in me l'idea che in realtà l'amore esistesse, semplicemente non per me.

E questo è ciò che di più orribile può capitare nella vita di qualcuno.
La presa di coscienza che l'amore, sì, lui esiste, ma non fa per te.
Non ti riguarda.

Lo cercavo disperatamente.
Ero diventata una tossica.
Quando mi avvicinai ad un amore a senso unico, mi resi conto che finalmente l'avevo trovato.
O almeno era quello che credevo.

Sì perché se fa così male deve essere per forza amore.
L'ho sempre vissuta come una fase di transito.
Il combattere per qualcosa o per qualcuno. Ma poi ho capito che combattere da soli è controproducente.
Combattere da soli è come tirare frecce di legno contro un muro di granito.
Inutile.

Ad oggi scopro che, alla fine, non serve nemmeno combattere.
Una grossa rivelazione per una che ha sempre passato il tempo a fare sue battaglie che avevano già una croce su di esse.
Battersi i pugni sul petto è qualcosa che il più delle volte non ha senso.
Fare la voce grossa, farsi vedere, rendersi bersaglio e affidarsi alla marea non è che la perdita di tempo più grande che ci sia. Nonostante per anni ne abbia fatto una delle mie caratteristiche principali. Quasi vantandomene.

Quello che avrei voluto sapere mentre combattevo è che in realtà, agli occhi dei più, ero semplicemente il giullare di corte calatosi in una rappresentazione storica.
Niente di più.
Niente di onorevole.
Nessuna armatura luccicante, nessun purosangue da cavalcare.
Solo la banalità e la testa dura di chi combatte da solo.

Ho passato anni preziosi a ricercare qualcosa che potesse assomigliare a quello che credevo fosse Amore.
Qualcosa negli anfratti della mia anima, o chissà, del cuore, mi spingeva verso orizzonti di cartapesta.
Come se avvicinandomi a quella che sembrava la giusta meta, inevitabilmente, poi, si tramutava in una sagoma di cartone appoggiata lì per caso.
Altro tentativo fallito.

Ne ho collezionate tante di sagome di cartone.
E tutte hanno un nome e probabilmente anche un cognome.
E neanche un bel sorriso, alla fine.

Ad un certo punto scopri che non ti frega più niente degli orizzonti, delle sagome di cartone, delle armature luccicanti e di tutto il resto.
Quello che ti interessa è restare in piedi.
A prescindere.
In piedi anche da sola.

Ed è lì che qualcuno si accorge di un combattente.
Sarà lo sguardo basso, le cicatrici delle guerre perse, l'armatura che ormai fa schifo o forse nemmeno esiste più, sarà che il purosangue da cavalcare, alla fine è un pony malconcio che fatica anche a camminare.
Comunque in quelle condizioni pessime qualcuno si accorge di te.
Mentre sei stremato sulla riva di un ruscello immaginario aspettando solo la tua ora.

Probabilmente, come nei migliori lieto fine, la svolta vera arriva quando sembra tutto perso.
E la cosa che sorprende di più è che l'armatura non ce l'hai, non ce l'hai mai avuta.
Le cicatrici le vedi solo tu.
Il pony non era altro che le tue gambe portate allo stremo delle loro forze.
E che più che un combattente sembri un gattino bagnato lasciato solo sotto ad un diluvio.

E forse il vero combattente è chi ha il coraggio di amarti nonostante questo.
Nonostante il pelo umido ed arruffato.
Nonostante un incessante freddo nelle ossa, dovuto all'incuria.
Un freddo che conosce solo chi ha passato le sue notti da solo, guardando fuori in attesa di qualcosa.

Forse la vera battaglia è semplicemente Sperare.