domenica 23 ottobre 2022

Riprovarci.

C'è un tempo per pensare e uno per agire. 
C'è un tempo per perdonare e uno per perdonarsi.
Ogni vita ha un suo colpevole, ma trovarlo non serve a nulla; è necessario trovare una soluzione. Sempre.
E forse tutti i colpevoli del mondo, prima, sono stati vittime. Degli altri, di loro stessi, delle cose in generale.
Quando è morta mia nonna il suo cuore non si voleva rassegnare; i macchinari a cui era attaccata sono impazziti replicando il suo battito, che non voleva cedere. C'è sempre un attaccamento alla vita, che sia questo fisiologico o filosofico poco importa.
Il suo cuore aveva bisogno di un'altra possibilità.
Le seconde possibilità.
Quante ne abbiamo date? E quante ne abbiamo ricevute?
Forse è tutto qui.
Forse dopo aver trovato il tempo di perdonare - e soprattutto quello di perdonarsi - forse è quello il momento in cui si affaccia su di noi la possibilità di averne di altre. 
Forse è lì che capiamo davvero quanta forza c'è ancora. Dentro al cuore, dentro agli occhi e dentro le mani che fanno di tutto per non lasciare andare.
Io sono le mie seconde possibilità.
Quelle che ho dato e quelle che mi sono data fanno di me la persona che sono.
Anche se poteva andare meglio.
Magari ci andrà, meglio, la prossima volta…

giovedì 11 agosto 2022

Vitamina C

Nonna diceva che le macchiette bianche sulle unghie sono le bugie e ogni volta che me ne trovava qualcuna mi rivolgeva uno sguardo furbo e un po’ severo come a voler indagare su quale bugia avessi detto. Poi tornava seria e diceva “È che ti manca la vitamina C, devi mangiare le arance” e mi faceva una spremuta. 


Ho iniziato a mettere lo smalto, poi. Per evitare che tutto il mondo sapesse quando dicevo una bugia salvo poi scoprire che nessun altro ha mai coperto le sue unghie e le sue mani, dopo averne dette a me. 


In Heart of Gold Johnny Cash dice che c’è qualcosa, una piccola cosa, che continua a spingerlo a cercare un cuore d’oro, puro forse. Io mi muovo nello stesso mare, nuoto nelle stesse acque, ma di oro e pietre preziose non se ne vedono molte. Non se ne vedono proprio. 


Adesso le mie unghie sono nere di smalto, anche se le bugie non le dico più. In fondo, per davvero, non ne ho mai dette. E mia nonna è troppo lontana per farmi una spremuta d’arancia, ché se la facessi io non avrebbe lo stesso sapore e nemmeno lo stesso effetto. 


Per anni ho voluto credere e sperare che le bugie degli altri, le scorrettezze e le mancanze potessero essere curate solo con un po’ di Vitamina C, ma questo non è reale. E tante volte mi chiedo cosa davvero lo sia. A volte nemmeno io sono reale, a volte è tutta una recita. E per fortuna le unghie sono piene di smalto. 


Che non si sa mai. 

lunedì 1 agosto 2022

Indietro.

 A me la perfezione non è mai piaciuta. 

Ho sempre preferito le cose autentiche, a quelle immacolate. Ma quelle autentiche fanno più male.

Tu non sai quante volte mi sono maledetta per non essere perfetta. O per non esserlo stata. Proprio io, che alla perfezione non ci ho nemmeno mai creduto.

Mi sono chiesta cento, forse mille volte o ancora di più, cosa potessi fare per essere all’altezza di tutte le cose che sono successe.

E la realtà è sempre stata una: non avrei mai potuto. 

Non avrei potuto perché sono fallace, come tutti. Non avrei potuto perché a nessun essere umano al mondo è richiesto di essere perfetto, perché non è questo ciò che davvero conta. E perché non è giusto. 

Mi sarei potuta arrabbiare, forse.

Avrei potuto sbattere tante porte.

Scegliere il silenzio.

Oppure urlare. Quanto avrei urlato! 

Ma non è mai stato questo l’obiettivo.

Ho preferito essere quella che puntava la sveglia il sabato e la domenica mattina, soltanto per vederti. Anche con la pioggia. Anche con il caldo. Anche per poco.

Ho preferito essere la stessa che c’era sempre, a qualsiasi ora. Perché è così che deve essere. O forse no. 

Ho preferito sbagliare, pensando di essere ricompensata un giorno.

Ma le ricompense non arrivano mai, vero?

Non c’è un momento durante il quale tutto si ferma e torna nelle tue mani quello che hai dato o che hai perso o che hai speso.

Non c’è. 

Forse allora bisogna vivere con quello che si è perso; forse è proprio questo che ci ha fatto guadagnare qualcosa.

Più consapevolezza?

Più fermezza?

Non lo so. 

Continuo a vivere senza un pezzo. Sperando di ritrovarlo, prima o poi.

E se così non dovesse essere non fa nulla, saprò lo stesso che qualcosa di me vaga ancora per il mondo. Anche se non è mai tornato indietro.

venerdì 10 giugno 2022

Una storia d’amore.

Vittorio e Marcella stanno insieme da tutta la vita. Letteralmente. Lui è nato nello stesso paese 50 giorni prima di lei, la nonna li dava già per fidanzatini, come si fa quando giochi con il destino degli altri. Ma questa volta è stato reale. Vittorio faceva il pilota di elicotteri e Marcella lo aspettava a casa; di figli ne hanno avuti tre, ma oggi ne resta solo una. La prima si è ammalata ed è morta dopo 44 anni di agonia, il secondo - un maschietto - non ha mai visto la luce del sole, finendo di respirare a soli 6 mesi quando era ancora nella pancia della mamma. Ma un amore così forte non si arrende di fronte a nulla e la terza e unica figlia oggi è tutto ciò che hanno. I nipoti colorano la loro vita, che è stata spesso buia, ma mai priva di affetto. “Del resto, sai, il bene e il male non ce lo scegliamo, ma possiamo capire cosa trarne di buono” mi ha detto lui. Vittorio ancora oggi è un uomo compito, elegante e con il sorriso stampato in faccia. Ride, scherza, ma non vede più bene. Non fa niente. Marcella vede per lui. Lei ancora piange quando parla di sua figlia, ma suo marito la guarda, la chiama “Tesoro” e la stringe a sé, che quasi ti scordi che abbiano 86 anni. Sembrano due adolescenti. Due ragazzini di fronte ai primi ardori dell’amore. “L’amore, sai, è l’unica cosa importante” mi ha detto; “Eh Vittó! Se arrivasse!” ho risposto. Quello che mi ha detto dopo potrebbe suonare come una frase di una qualsiasi commedia americana melensa e dal finale giusto, ma lui l’amore lo conosce e allora mi fido. Vittorio e Marcella sono forse il sogno di chiunque, il mio di certo, e fa così bene guardarli che ti chiedi davvero come faccia questo mondo a essere così brutto, quando c’è anche tanta bellezza che ti strappa il cuore e tutto quello che c’è intorno. 

venerdì 20 maggio 2022

Grigio.

C’è un grande bisogno di cose belle, bellissime. Bisogno di capire, di assimilare. Bisogno di vivere davvero. 
Vivere non può essere sopravvivere.
Non può e non deve.
C’è bisogno di giornate che non vorresti finire. C’è bisogno di vedere che il buio avanza e pensare “No ti prego, non ancora”, ma poi tanto arriva sempre il momento in cui qualcosa finisce. Che sia una giornata, una sensazione, un amore. Chissà. 
È tutto grigio. Anche ora che gli alberi si sono risvegliati e i fiori pure e il sole è alto e fa brillare tutto dalle prime luci dell’alba. È tutto grigio.
Non fa niente, mi dico. E alla fine non fa davvero niente, non lo sento più. Questa è la mia storia, una serie infinita di fallimenti che mi hanno insegnato il giusto. O quasi niente. Non lo nascondo nemmeno più, è questo quello di cui sono fatta. Che senso avrebbe?
Non fa niente, mi convinco che sia così. Che poi le cose cambiano, magari, un giorno, chissà. Magari si. O magari no. Lo sapremo più avanti, nella storia.
Oggi la consapevolezza di essere trasparente è forse l’unica cosa che ho. Sono così, questa è la mia storia, la mia vita, le mie vicissitudini. E sono tutte molto chiare. Limpide.
Non le nascondo più. 
Non voglio più dire di stare bene, se non è vero. Non voglio più fare finta che sia tutto sotto controllo, semplicemente perché il controllo non l’ho mai avuto, nemmeno sulle mie emozioni. E che senso avrebbe, quindi, fingere che sia così? 
C’è grande bisogno di cose belle, di giornate che non vorresti finissero. Di cose genuine. Di prime volte. Di prime sensazioni. 
È tutto troppo grigio.
Mio nonno negli ultimi anni della sua vita ha visto sfiorire tutte le sue energie, le sue palpitazioni, le sue voglie. E me lo diceva, con grande rammarico me lo diceva. Vivere non è questo; è agire, creare, non questo. E aveva ragione.

venerdì 6 maggio 2022

Quando c’è il lavoro c’è tutto.

Dice ma il lavoro ti va bene. Si, il lavoro mi va bene. C’è.
Dice sei fortunata. È vero. Sono fortunata. C’è chi non lavora. Io lavoro, mi piace il mio lavoro. Sono fortunata.
Dice hai la salute. Sei bella. Sei forte. Sei giovane.
Io non mi vedo né bella, né forte, né giovane. 369 post su Instagram di cui non so quanti autoscatti, eppure è tutto finto, tutto patinato.
C’è la foto ammiccante, c’è quella simpatica, quella seria, quella sciocca. Mi prendo in giro, perché la vita non va presa troppo seriamente si sa. Eppure è tutto finto.
Non c’è una foto dove mi vedo davvero io. Dove mi piaccio. Perché il 90% del tempo passato davanti allo specchio è fugace: i vestiti cadono decentemente? Ok. Il trucco è a posto? Va bene. E i capelli? Bene pure quelli. Ma non mi soffermo mai troppo. Perché non voglio vedere. Non voglio vedermi.
Dice sei forte. E tu pensi a quella frase da Smemo 2007, quella che dice che non sai quanto sei forte finché esserlo non è l’unica scelta che hai. Non ho mai avuto alternativa. 
Non ho mai avuto la possibilità di fermarmi. Di riposare il cervello. Di far cadere le ossa e starmene in po’ ferma. Ferma in un po’ di bianco. 
Non c’è niente che vada bene. Ah, già, il lavoro. Quello va bene. E sono fortunata.
È vero. È tutto vero. È tutto tristemente vero. 
Ma io non sono il mio lavoro.
Io non posso essere solo il mio lavoro.
Io sono tante altre cose: sono quella che compra i cornetti quando ti viene a trovare la mattina, quella che riflette prima di parlare, anche troppo a volte. Io sono quella che vede il mondo con i suoi occhi, a volte severi, a volte sognatori, ma non smette mai di immaginarti al suo fianco.
Eppure in questo periodo - questo lungo, lunghissimo periodo - io sono le mie 8 ore passate davanti al computer.
Sono le parole che scrivo, ma solo per lavoro.
In questo lungo periodo io sono dalle 09:00 alle 17:00.
E non ho altro. Non ho tempo, energie e voglia di emozionarmi. O meglio, la voglia ce l’avrei, ma anche la paura.
Fottuta.
Come una morsa che stringe.
E non mi vedo bella. Non mi vedo forte. E non mi vedo nemmeno giovane. Perché fra poco compirò altri anni, che si vanno ad aggiungere alla somma di quelli che già ho e che mi pesano. Come i fallimenti, le delusioni, le incazzature. 
Non mi vedo proprio, semplicemente. Io non mi vedo.
A volte ho la sensazione che cambi tutto, il mio viso, il mio corpo, e io sia l’ultima a saperlo. L’ultima ad accorgersene. 
Come un’esperienza pre-morte, in cui guardi il tuo corpo in sala operatoria, circondato dai medici e non sai tornare lì o attraversare la luce bianca.
Dice però hai il lavoro.
Pensa a quello.
Sei fortunata.
Pensa a chi non ce l’ha.
E io con questo pensiero mi cullo, mi consolo o almeno ci provo. Penso a chi non ce l’ha. A chi sta peggio. Insomma penso a tutti, ma a me chi ci pensa? Io no, perché ho un lavoro e sono fortunata.

domenica 10 aprile 2022

Ho smesso?

Ho smesso di chiedermi dove sei il sabato sera, ma anche la domenica mattina.

Ho smesso di domandarmi se le ore che io spreco a pensare, tu le passi a sognare, a fantasticare. A vivere.

Ho smesso come si smettono tante cose.

Come si smette di riempire il caffè di zucchero, come si smette di fare tante piccole cose che lasciano poi spazio a nuove abitudini.

Ho smesso di chiedermi se esiste anche solo una minuscola possibilità che io un giorno mi svegli più preparata, meno impaurita e disillusa.

Ho smesso, perché a un certo punto bisogna farlo.

Ho smesso di chiedermi se i tuoi problemi sono ancora problemi, se tutte quelle cose alla fine si sono risolte. 

Ho smesso perché non ho ancora risolto le mie e non arriverà nessuno a farlo per me.

Ho smesso anche di sbattere la testa sempre sullo stesso punto. Adesso ne ho trovati di nuovi.

Purtroppo non sono riuscita a smettere di farmi domande, tante. Non sono riuscita nemmeno a smettere di pensare che non può essere tutta qui la vita, che a un certo punto da qualche parte ne arriverà una nuova. Più leggera.

Non ho smesso nemmeno di farmi male, di trascurarmi, di non amarmi. Ma su questo ci sto lavorando e cazzo se è difficile.

Ho smesso di ricordare quei momenti e quando succede cambio film, come fossi su Netflix. Scuoto la testa e immagino un altro scenario, magari meno doloroso (ma non sono ancora così brava).

Ho smesso di guardarmi attorno.

E anche di guardarmi allo specchio. Non lo faccio più, perché non mi piace ciò che vedo.

E non voglio farmelo piacere, che forse è pure più grave. 

Ho smesso di volere la ragione a tutti i costi. Ho smesso di preoccuparmi quando non ce l’ho. Ma non riesco a smettere di essere stanca, di sentirmi sola e sopraffatta. Questo proprio non riesco a smettere di farlo.

Si smettono tante cose. Tante abitudini. Si smette come si è iniziato. 

E come è iniziato, finisce.

Ma quando?

lunedì 21 marzo 2022

Primavera.

Francesca ha fatto un figlio.
È nato un anno e qualche mese fa, e l’ha fatto proprio lei.
Lei che insieme a me andava in giro con la parrucca azzurra, per le feste di Carnevale.
Lei che si è fatta tatuare al mare, di notte, su un lettino, con un ago, la china e me che reggevo un cellulare per fare luce.
Ha fatto un figlio lei che insieme a me faceva l’autostop per tornare a casa perché era troppo tardi e gli autobus non passavano più. Ed è un miracolo se siamo ancora qui per raccontarlo.

Quante vite sono passate in una sola.
Quante storie si sono intrecciate fino a perdersi e quante altre sembravano ormai perse e invece si sono incontrate di nuovo, fino a riallacciarsi. 
La vita è piena di seconde occasioni, se sai coglierle. Se hai la fortuna di non sprecarle.
Se quando hai la possibilità, non ti giri dall’altra parte, ma accogli il cambiamento che a volte ti porta solo indietro, sulla strada che stavi percorrendo prima. Chissà quando, che nemmeno te lo ricordi.

Francesca ha creato un nuovo pezzo di sé.
Mentre io ne perdo giorno dopo giorno, pezzi di me.
Li lascio in giro e mi scordo di andarli a riprendere.
Li lascio nelle lenzuola degli altri, arruffate e sudate e piene di storie che rimangono solo storie.
Lascio pezzi di me nei cellulari.
Li lascio in qualche ricordo. Ma mai per troppo tempo.
Pezzi di me ovunque, addosso a chiunque, nella testa di chiunque. Ma rimangono solo pezzi.

A forza di lasciare brandelli di me in giro sono rimasta senza. E vago come zombie vaga, senza più un sorriso spontaneo e leggero, senza la voglia di riprovarci, senza la grinta di aggredire la vita e quello che ti offre, che comunque è sempre troppo poco. Sempre troppo poco.

Non mi va più, ormai non mi va più.
Solo che poi torna la Primavera e tutto è in fiore e il sole è alto e scalda e non vuole lasciare spazio al cielo notturno che prova ancora a farsi strada.
Inizia una nuova stagione. E mi chiedo quanto è banale pensare, come sempre, alle rinascite. A quelle che arrivano quando i fiori sbocciano, quando il sole è alto e scalda e non vuole lasciare spazio al cielo notturno che si fa strada ugualmente, ma con più timidezza.

Francesca ha fatto un figlio e ha negli occhi la voglia di vivere, di capire, di scoprire, di aggredire questo mondo orrendo. 
Ha la forza di alzarsi in piedi quando cade, anche se non ha capito perché e come ha fatto. 
La vita cambia.
La vita avanza.
La vita ride e piange.
E tutto suggerisce che ce n’è sempre, di vita. 
Anche laddove non sembra esserci. Anche quando non la vedi e non la senti e quando soprattutto non la vuoi. Ma c’è. 

C’è. 

giovedì 3 marzo 2022

Senzamore.

 Non posso fare a meno di chiedermi come sarebbe oggi la mia vita se avessi ricevuto un po’, solo un po’, dell’amore che ho dato.

Se i miei gesti fossero stati ricambiati o se anche solo una volta mi fossi sentita meno sbagliata.

L’amore mi ha cambiato, ma l’ho sempre provato solo io. Non so cosa potrebbe succedere se un giorno potessi essere così tanto fortunata da sapere cosa significhi.


Io non l’ho mai avuto.

Una madre totalmente a affettiva e glaciale mi ha messo al mondo senza alcuno strumento, senza alcuna nozione su come ci si sta, a questo mondo.

E dal primo momento è stato tutto in salita.

Tutto faticoso.


Tutto volto, sempre, in maniera imperterrita e incestante, a trovare quell’amore di cui ancora oggi non conosco sfumature a doppio senso.

Non ho mai visto gli occhi di una persona innamorata di me.

Né quelli di chi nella vita sa di essere nel posto giusto al momento giusto.


Ho sempre aspettato, convinta che potesse succedere. Ma alla fine non è mai successo. Non succede mai.

L’amore l’ho visto in tante cose, anche quelle piccole, ma non è mai arrivato da braccia sconosciute che avessero l’ardire di farmi questo dono.


Non posso far altro che chiedermi come sarebbe stato se tutte le mani che mi hanno toccato con desiderio per una volta, una sola, l’avessero fatto con dolcezza. Come si fa quando tieni a qualcosa.

Come se il pensiero di romperla o sporcarla ti facesse sentire mancare.


Non posso far altro che chiedermi come sarebbe oggi la mia vita, e come sarei io, se invece degli insulti mi fossero state dedicate parole gentili.

Forse sarei sbocciata come un fiore.

Dicono che se parli piano e gentilmente alle piante, quelle ti capiscono e crescono meglio, più belle.

Sarei potuta essere una pianta bella, se me l’avessero suggerito.


Di colpo è diventato tutto reale, compresa la paura. Il terrore che si realizzi il più temuto degli incubi: quello di convivere per sempre con me stessa e con la consapevolezza che forse l’amore non arriva e non arriverà.


Ci sono persone destinate a riceverlo, persone destinate ad accoglierlo. Forse io non sono fra queste; forse - semplicemente - la mia storia è un’altra. 

L’amore che ho provato per gli altri mi ha cambiata, mi ha resa più viva, mi ha fatto ardere, mi ha infuso speranza, mi ha rigenerato. Non oso pensare cosa potrebbe succedere se un giorno qualcuno lo provasse per me, tanto da farmi vibrare dentro e fuori. Da farmi vacillare, nelle mie convinzioni velenose. 


Nei giorni in cui mi specchio e affronta un’altra giornata da sola, piena di dubbi, di domande, a fronteggiare le parole di sdegno che quattro mura di casa tengono ben salde, per non farle uscire. 


Me lo chiedo. Me lo immagino. Me lo figuro. Eppure il tempo passa, tutto passa, anche io passo e finisco nel dimenticatoio di una memoria già morta, un ricordo che non c’è, un’ombra destinata a scomparire, fra le mille esperienze della vita. Di quelle che accumuli, ché ne hai tante.


Non posso fare a meno di chiedermelo.

martedì 15 febbraio 2022

Ingombrante.

Mi sento sempre di troppo.

Ingombrante. 

Come se fossi stata messa per caso in un posto, qualunque posto. 

Ecco perché non mi stupisco mai quando qualcuno decide che non mi vuole più nella sua vita.


Succede con le vecchie poltrone, con i vasi ammaccati, con i tavoli a cui manca una zampa. Perché sono di troppo, ingombranti, e c’è bisogno di fare spazio per le cose nuove. Quelle belle.


Immagino che la vita degli altri scorra serenamente senza me al loro fianco, in qualsiasi modo io sia stata al loro fianco.

Altrimenti non avrebbe alcun senso scegliere di percorrere la strada da soli.


Eppure è così.


Non mi spiego il perché di tante cose, ma sono stanca di domandarmi sempre se ci sia una ragione dietro ciò che succede.

E anche ci fosse, poi, in fondo, cosa mi dovrebbe fregare?!


La differenza fra un “in più” e “troppo” è labile e sottile, ma c’è. 


Mi sforzo di essere sempre la versione migliore di me stessa, con tutti, ma sono fallace e umana e cado. Eccome se cado.


Guardo quello che mi circonda con occhi di meraviglia, perché nonostante tutto riesco ancora a meravigliarmi per qualcosa.


Mi sento una bambina che scopre il mondo per la prima volta, ma la realtà è che sono anni luce lontana da tutto quello che oso anche solo desiderare. 


Da lontano lo immagino, lo bramo, lo osservo negli altri, ma non mi azzardo a sperarlo. Non mi permetto di illudermi.


Sarebbe bello però, mi dico.


E fugace passa l’idea nella mia mente, un secondo prima che io mi ricordi che sperare non fa per me. Immaginare non fa per me. Desiderare non fa per me.

Nulla, in realtà, fa davvero per me.


Vorrei averlo capito prima, molto prima. Quante delusioni mi sarei risparmiata, quante aspettative in meno avrei riposto in me stessa e quante energie avrei consapevolmente abortito prima ancora che potessero nascere dentro di me.


Eppure ora è troppo tardi, perché le ho avute e mi hanno consumato. 

Giorno dopo giorno mi spengo un po’ di più e arrossisco al pensiero che qualcuno non se ne accorga, che io possa davvero prendere in giro gli altri e me stessa. Ma la realtà, in fondo, è che c’è un momento in cui si resta soli e non si può più fingere.


Ecco, questo è il mio momento.

E non ha più senso raccontarsi bugie perché è tutto così chiaro e limpido che fa male. 


Domani è un altro giorno, comunque.

Un altro lungo e identico giorno.


Ma finirà.