giovedì 28 gennaio 2016

Interminabile Gennaio.

A Roma c'è un Sole che fa quasi paura.
E' ancora Gennaio, questo mese sembra non passare più.
E' stato ed è il mese più lungo della mia vita e vorrei fosse un altro Gennaio, magari quello dell'anno scorso.
E' sconvolgente come le cose possano cambiare da un giorno all'altro.
Nel bene e nel male, ogni giorno sia diverso dal precedente.

Avevo imparato ad apprezzare anche quei giorni un po' così, perché nel dolore, avere qualcuno che ti cura e ti protegge, fa sempre bene.
Dicono che la vita sia una moltitudine di sfide, ma nessuna invalicabile. Dicono.
Lo scorso anno mi ha insegnato tante cose.
Prima fra tutte, forse, l'idea - non più così distante - di poter essere amata esattamente come gli altri.

E' difficile crederci adesso.
Da Lunedì ho avuto una ricaduta pazzesca, pensavo di sentirmi meglio, ma ho scoperto che invece no.
Non è proprio così.
Vorrei reagire in modo diverso e vorrei che funzionasse.
Qualche giorno fa mi sono tatuata, di nuovo. Erano tanti mesi che non lo facevo ed è stato strano a modo suo.

Dicono che nel male, nel dolore, nella disperazione, bisogna sempre trovare qualcosa di buono.
Quella fioca luce in fondo al tunnel che ci permette di aggrapparci ad una speranza, ad un bagliore che ci guiderà chissà dove, probabilmente in un posto migliore. O almeno così ci si augura.

Credo di essere cresciuta.
So cosa voglio dalla vita e credo di sapere come ottenerlo, terze parti permettendo. Ovviamente.
Ho passato tanti momenti bui, ho superato fasi che non credevo di poter superare e ad un certo punto sono arrivata qui. 
Ad Aprile dell'anno scorso mi sembrava di essere nel posto più bello del mondo. E forse lo ero davvero.

Oggi vedo tutto nero, sono tornata la Calimero di un tempo.
Mi hanno tolto ogni certezza e anche le conferme piano piano stanno svanendo tutte insieme.
Fino a Dicembre del 2014 mi ripetevo sempre "è un periodo, passerà". E' una consolazione del cazzo.
Certe cose non devono passare, non voglio che passino, ma inevitabilmente è l'unico percorso possibile.
Allora mi dicevo "sto faticando, arranco, inciampo, ma per un fine ben preciso".

Dovrò ricominciare da lì.
Anche se spero di non dover arrancare.
Anzi, spero che la convalescenza di queste ossa rotte mi porti a correre più di quanto facessi in passato.
Non voglio trascinarmi. Non voglio inciampare.
Voglio solo andare. Possibilmente lontano.

Non so esattamente quanto ci vorrà, magari non basterà una vita intera.
Magari sarà solo un palliativo, ma nonostante io mi senta abbastanza grande e abbastanza matura, alla fine, rimango solo una ragazza poco più che ventenne.
Però quanto pesano sti anni.
Sembrano secoli, sembrano intere ere geologiche che mi gravano sulle spalle.

La mattina mi sveglio pensierosa.
La notte, spesso, non dormo.
Mi sento persa e a volte l'unica cosa che riesco a fare è cercare spasmodicamente un contatto, qualsiasi esso sia. Non va bene, lo so.
Ma cos'altro posso fare, ora?

Sto superando un sacco di esami, me ne mancano ancora quattro per completare la sessione e vorrei davvero che i risultati siano buoni quanto gli altri.
Voglio arrivare a metà Febbraio asciugandomi il sudore sulla fronte e dire "cazzo, ce l'ho fatta davvero".
Questo sarebbe un bel traguardo.
Anche se è difficile superare gli esami senza avere nessuno che voglia festeggiarne con te l'esito.

Venerdì scorso, uscita dall'aula con un bel 27 sul libretto, ho mandato un messaggio a mia mamma e uno a mio papà. Poi ho informato la mia collega di Università, quella con la quale avevo studiato.
Mi sono fatta quattro risate.
Mi sono sentita un po' più libera e con un esame in meno da superare.
Poi ho guardato il telefono con gli occhi gonfi di lacrime, l'ho stretto in mano e l'unica cosa che volevo fare era avvertire la sola persona che avrebbe apprezzato davvero i miei risultati.

A Settembre, presa dallo sconforto, ero ad un passo dal lasciare tutto.
Trovarmi il primo lavoro possibile e continuare così.
Ma avevo accanto una persona che mi ha detto che no, non era così che doveva andare.
Che io sono brava, che sono intelligente, che ho iniziato e che devo finire.
Mi misi a piangere, quella sera. Perché nessuno aveva mai creduto tanto in me, nemmeno i miei genitori.

Ad Ottobre ho ricominciato a frequentare le lezioni, stando fino alle otto di sera in facoltà.
Ed ogni volta, ogni singola volta, ogni martedì ed ogni mercoledì, tornata a casa ero fiera di me.
E sentivo di aver fatto qualcosa. Per tutti e due.
Lo so che il nostro successo è importante per noi stessi e basta, ma sapere che da qualche parte c'è qualcuno che sa che stai facendo il tuo lavoro e che puoi tranquillamente superare ogni sfida, è una sensazione che non ha pari.

Ieri ho riflettuto sui pro ed i contro dell'anno passato.
So perfettamente quali sono le cose che non voglio più accettare.
Questo mi rende più forte e con una maggiore consapevolezza di ciò che posso, devo e voglio chiedere.
L'Amore esiste, ahimè, è una grossa scoperta visto che ci ho sempre creduto poco.
Esiste. Anche se è difficile da trovare, da provare, da accettare.
E ci mette un sacco di tempo per arrivare.

Come dicevo in qualche vecchio post, l'Amore ha tante forme.
Tanti spazi in cui si dilaga.
Forse tanti stadi.
Ogni Amore è diverso.
Ma io accetto ogni sfumatura, perché vivere senza Amore e senza la prospettiva dell'Amore fa schifo. Fa schifo sul serio.

Hai lasciato il tuo accendino nella mia macchina, accanto al volante.
Voglio che resti lì, per ricordarmi che hai avuto un posto in ogni cosa, in ogni angolo.
Perché l'Amore è questo. Anche se finisce.


domenica 17 gennaio 2016

- Ogni maledetta - Domenica.

La Domenica è tornata ad essere grigia. Come tutto il resto.
Ripenso all'anno scorso.
In questo periodo ero probabilmente la persona più felice del mondo.
Era tutto ovattato, tutto bianco. Tutto bello.
Iniziava a prendere vita una storia che non conoscevo, che non avevo ancora scritto.
E' stato difficile, i primi tempi, credere fosse tutto vero.

Come lo è adesso, capire che purtroppo è tutto dannatamente vero.
Così vero che ti prende a pugni.
Ogni gesto, ogni minima cosa è diventata pesante come un macigno.
Provo a distrarmi, a volte, ma con scarsi risultati.

Ieri sera ero al compleanno di un mio amico.
Avevo forse un centinaio di persone attorno, in quel pub.
Mi giravo, li osservavo e mi sentivo completamente sola. Ancora.
Sentivo che non sarei tornata a casa con il pensiero fisso di raccontarti la mia serata, con la voglia di condividere con te qualcosa che avevo visto per tutti e due mentre non c'eri.
Sentivo che non sarei tornata a casa, nel mio letto, aspettando che anche tu mi raccontassi qualcosa della tua, di serata. Che anche tu mi facessi ridere dicendomi cosa avevi visto.
E sentivo che sarei andata a dormire da sola.
E mi sarei anche svegliata, da sola.

Uscire in questo periodo mi fa male.
Truccarmi mi fa male.
Vestirmi mi fa male.
Ogni tanto mi guardo allo specchio, quando non piango.
Alzo la maglietta e vedo che la pancia piano piano si sta assottigliando e i fianchi sparendo.
Mi provo le cose e vedo che mi cadono meglio, sì.
Ma forse non avrei barattato tutta quella morbidezza con questo dolore martellante. Senza forse.

L'idea di ricominciare da capo tutto quanto mi distrugge dentro.
Quando ami qualcuno l'idea di essere bella, di essere desiderabile, nasce e muore con la persona che ami.
Non ho mai pensato di truccarmi o vestirmi in un certo modo per qualcun altro.
L'ho sempre e solo fatto per te.
Non mi interessa risultare bella o affascinante o piacente o seducente a mille persone.
Non voglio questo.
Quando piaci a tutti, non piaci a nessuno.

Mi ha sempre fatto sorridere e arrossire l'idea di piacerti.
Di piacerti sempre.
Dalla mattina alla sera e poi ancora fino alla mattina dopo.
Mi hai visto in pigiama e sui tacchi, struccata e acconciata come fossi pronta per il circo.
Mi hai vista appena sveglia e con lo sguardo stanco e poi mi hai vista pimpante e piena di voglia di uscire, svagarmi, ridere.

In questi giorni ho maturato l'idea che probabilmente non ti vedrò tornare. O comunque non a breve.
Ieri sotto casa mia c'era una macchina identica alla tua, nel posto dove la lasciavi sempre tu mentre mi aspettavi. Ho avuto un sussulto e credo di aver guardato il tipo seduto dentro in modo strano.
Nella mia testa ti aveva rubato il posto, una cosa inaccettabile.
E ho paura che possa arrivare qualcuno a rubare il posto che ti ho lasciato dentro di me.

Abbiamo passato insieme tredici mesi, che per una come me significa praticamente una vita intera.
Ci siamo occupati l'uno dell'altra ogni giorno, siamo cresciuti e siamo andati avanti.
Io ti ho dato tutto.
Sono rimasta senza niente. E non lo dico per dire.
Hai tutto quello che mi apparteneva e al pensiero di doverlo ritrovare mi sento male.

Vorrei non ci fosse nessun altro spazio qui dentro, se non per te.
Come mi hai lasciato pensare fino a undici giorni fa.
La Domenica è tornata ad essere quella che era prima. Uno schifo.
Non ci sei tu che mi racconti come stai dopo la partita, non ci sei tu che aspetti di sentirmi per farti consolare un po'.
La Domenica, adesso, è solo la Domenica.
E' solo il giorno dopo il sabato, quello prima del lunedì.

La prima volta che ci siamo visti era proprio Domenica.
Siamo tornati a casa alle 05:00 del mattino e dopo due ore avevamo la sveglia.
Tu per un motivo, io per un altro.
Mi hai scritto "ne è valsa la pena fare così tardi, buonanotte".
Mi sono addormentata e per una volta, la Domenica, non era più solo Domenica.

E' tutto buio. Dentro.
E fa un freddo che mi entra nelle ossa.
L'altro giorno una persona mi ha guardato e mi ha detto "come sei bella..." e la mia reazione è stata un silenzio glaciale, spettrale quasi.
Sono rimasta paralizzata. Non ho detto una parola mentre lasciavo che questa persona mi abbracciasse e sempre in silenzio mi sono uscite delle lacrime grandi quanto il Tevere.
Non deve essere piacevole stare con me, in questi giorni. E lo trovo orribile, vorrei scusarmi con tutti.
Ma vorrei che qualcuno chiedesse scusa anche a me.

L'altra notte ti ho sognato.
Ti dicevo "ho trovato la soluzione per questa situazione orrenda" e tu mi dicevi "lo so, hai sempre la soluzione a tutto". E funzionava.
Svegliarmi è stato come avere un coltello conficcato nella tempia e non c'era la possibilità di toglierlo.
Nessuna. Nessuna possibilità.

Giorni fa ho riso.
Ero davanti alla TV e ad un certo punto la scena demenziale di un telefilm mi ha fatto ridere.
Ed è stato così bello.
Non mi stavo sforzando. Ridevo perché volevo farlo.
E fa ancora più male sapere di ridere da sola, sapere di non poter ridere con te.
Abbiamo sempre scherzato tanto, tu ed io.
Era questo che mi piaceva di noi.

Passavamo le giornate a ridere di tutto e tutti.
A dirci che eravamo una coppia fichissima perché non c'erano drammi fra noi, non litigavamo mai perché "è inutile litigare se due persone si vogliono bene". Se ripenso a queste parole, quelle che tu stesso mi dicevi, mi si stringe il cuore.

Non so chi fosse la persona che avevo davanti quel mercoledì sera.
Quello in cui il mondo mi è crollato addosso come l'intonaco di un vecchio soffitto.
Non l'ho mai conosciuta quella persona. E vorrei fosse ancora così.

Vorrei smetterla di piangere per ogni cosa.
Vorrei smetterla di guardare le altre coppie e sentirmi sola al mondo, pensando a tutto quello che avevo neanche un mese fa.

Con il tempo mi sto incattivendo.
Nei tuoi confronti, in quelli del mondo.
Ma ho ancora fiducia. E questa è una di quelle cose che fa male a chi ti odia.
So che non smetto di avere fiducia e speranza. Nonostante io vacilli sempre, continuamente.

Tremo come una foglia al pensiero di dover affrontare la vita in questo modo, da oggi in poi.
Ma mi fa ancora più paura il fatto che sto iniziando a dubitare dell'unica persona che mi abbia mai amato.
Sto iniziando a dubitare di te.
E questo, credimi, mi annienta.

lunedì 11 gennaio 2016

Cinque Giorni.

In effetti ci starebbe proprio bene se iniziassi a postare Cinque Giorni bla bla bla di Zarrillo.
Sì, perché con oggi sono ben cinque infiniti giorni di agonia.
Nella vita pensano tutti che ti servino cose inutili, come imparare la matematica.
Quando poi, voglio dire, a chi mai è servita? Oggi, nell'era del digitale, chi si mette a fare i conti da solo?!
Nel mio mondo ideale esiste la scuola che ti insegna a prendere batoste un giorno sì e l'altro pure.
Ma alla fine ti istruisce pure su come evitarle o come rialzarti subito dopo.

A me i filosofi di strada non sono mai piaciuti.
Sì, quelli che ti dicono che la vera scuola è la strada, come se vivessero in qualche barrio pericolosissimo e poi magari scopri che sono residenti a Collina Fleming.
Secondo me non sei mai preparato a niente.
Dissento anche un po' da quelli che si fanno portatori di verità assolute e si atteggiano a mistici personaggi distaccati dalle emozioni e dal resto. Quelli che "io non mi stupisco più di niente, io non soffro più, io ne ho passate così tante che...".
No perché ehi, anche io ne ho passate tante, direi infinite.
Però la novità è che non sono ancora così disillusa da credere che non ne passerò altre, di schifosissime cose. E persone. E situazioni. E bla bla bla, di nuovo.

Cinque giorni che mi pesano come fossero cinque anni.
Il distacco totale da qualcuno per me è qualcosa di completamente campato in aria.
Mi è capitato solo nell'ultimo anno di distaccarmi completamente dalle cose tossiche del passato e ci sono voluti quel migliaio di giorni non indifferente, comunque.

Non mi sono mai atteggiata sulle emozioni, anzi, forse mi sono sempre vantata di provarne.
Una cosa furbissima da fare se sei stato, sei e sarai bersaglio, ma alla fine la regola dello sti cazzi vince sempre.
Non so perché quando la gente parla di me finisce sempre che io sono quella forte.
Ma forte di che? Ma perché?
Mi ricordo che quando i miei si separarono sentivo sempre questa parola. "Forte".
E dicevo "mah, ma che cazzo vuol dire, ma perché, ma che senso ha".
E ancora oggi me lo chiedo.

Quando morì mia nonna e quando poi morì l'altra era un continuo di "fatti forza, ma tanto la supererai, non ti preoccupare". Certe cose non si superano, si accettano. E certe nemmeno quello.
Cinque giorni fa mi è cascato l'universo addosso.
Dal giorno alla notte la mia vita è stata stravolta e sono rimasta in questo limbo sudicio, ancora più in basso di dove mi trovavo prima.
In questi giorni mi hanno detto "hai fatto tanti progressi, non buttarli via".
Progressi?
Non li ho fatti da sola, quei progressi.

Immagino che ogni progresso cada poi in prescrizione se la persona che ti ha portato a farlo cade insieme a tutte le cose che hai guadagnato, no?
Mi sento sola. In un modo terribile.
Sola in mezzo alla gente e non c'è veramente cosa peggiore.
Ho un vuoto intorno allucinante e l'unica cosa che mi viene da pensare è dove cazzo trovare la forza per riacchiapparmi. Sì, perché non ce l'ho.
Mia cugina mi ha detto "prenditi il tuo momento per essere scioccata". Non credo ci sia consiglio migliore.

Andare avanti adesso sarebbe un'ipocrisia.
Una volta ci ho provato ed è andata male.
Poi ci ho provato ancora ed è andata peggio.
Non posso andare avanti senza una meta e questo è sicuro.

Li odio quei discorsi ipocriti secondo i quali le cose devi farle per te.
Oppure "ricordati che sei la persona più importante nella tua vita".
Sì questo lo so.
Lo so bene.
Per questo vorresti mettere la testa dentro al forno, perché da sola non ti basti.

Cosa cazzo significa una vita in solitudine?
L'essere umano non è fatto per vivere solo. E nemmeno in branco.
Ma in due.
Poco da fare, è così.
Anche se prima di trovare quell'altro che fa il secondo in una storia di vita ce ne vuole di tempo - ed io infatti ne so qualcosina ina ina - 
Dico che bisogna vivere in due perché il troppo stroppia, ma anche il nulla.

La vita è tornata ad essere grigia.
Un grigio orribile, tra l'altro.
Sento una morsa intorno al cuore e una pesantezza sulla schiena che quasi non mi permette di camminare dritta.
Alle volte sento che mi manca il respiro. E non tanto per dire, mi manca proprio.

Svegliarsi con un solo pensiero in testa è la cosa più bella del mondo, ma anche la più orribile.
Quando una storia finisce sei tu che devi raccogliere i cocci del passato e metterli da parte.
Per quanto mi riguarda l'ho sempre messi in una scatola mai troppo lontana e mai troppo chiusa.
Anzi, diciamo pure spalancata.
Questa volta credo non possa essere così e la questione mi ammazza.

Credo seriamente di aver sfiorato la morte mercoledì sera.
No, non voglio esagerare, ma non sono stata l'unica a dirlo.
C'è ancora qualcuno al mondo che ha una certa sensibilità e riesce a non sparare sentenze a caso.
Strano, lo so.

Nella testa ho una confusione totale, non riesco a mettere mezzo pezzo insieme.
Non riesco a capire niente e vorrei passare le giornate senza responsabilità.
Senza studiare, senza affrontare le situazioni.
Vorrei passare le mie giornate fuori ed allontanarmi dalla realtà.

Ma tanto a che serve se ogni cosa che vedo vorrei fotografartela e mandartela.
E ogni volta che accendo la TV c'è un trailer di qualche film che dovevamo vedere insieme.
E ogni volta che faccio qualsiasi cosa arriva puntuale il tuo ricordo.

Succede questo dopo cinque giorni.
Poco da fare.
Eri in tutto. Sei in tutto.
E il tempo sembra non passare mai.

venerdì 8 gennaio 2016

Lasciarsi nel 2016.

Ho dovuto prendere il coraggio a due mani per convincermi a scrivere.
Non so nemmeno perché lo sto facendo, se per me o per chissà chi.
Mercoledì scorso è finita la mia storia, insieme ad essa è finita anche la pace. 
Il motivo non lo so nemmeno io, non riesco a darmi una spiegazione, non riesco a farmene una ragione.
Semplicemente ad un certo punto la persona che ami viene da te, ti guarda negli occhi e ti dice che non è più sicura, che ti vuole bene, che la rendi felice, che è tutto bellissimo, ma non abbastanza.
Non come dovrebbe essere.
Ma perché, come dovrebbe essere?!
Fino al giorno prima vivevo la vita normale di una persona innamorata, alti e bassi dettati dalla mia poca autostima e dal mio poco amor proprio, ma pur sempre la vita di una persona che finalmente ha trovato il suo posto e alle spalle ha sempre la consapevolezza di essere coperta.

Quando sei innamorato di una persona che ti ama non sei mai davvero solo.
Anche se mentre fai la spesa non c'è nessuno, non sei solo.
Se mentre sei in fila alle poste sei in mezzo a sconosciuti, non sei solo.
Quando al semaforo rosso devi fermarti per forza, non sei solo.
E non sei solo nemmeno quando vai a prenderti un caffè con gli amici, quando esci, quando sei in famiglia.
Non sei mai solo. Perché accanto a te, dentro di te, affianco a te c'è questa presenza gigantesca e ingombrante che ti accarezza e fa sentire che hai qualcuno accanto, anche se non lo vedi.

Sembra che parlo di un angelo custode, beh forse è quasi così.
Durante l'anno in cui sono stata con lui non facevo mai economia sulle paranoie, ce ne stava sempre qualcuna dietro l'angolo, in ogni momento, anche se bellissimo, qualcosa mi diceva che avrei dovuto preoccuparmi.
Allora lo guardavo e gli dicevo che avevo paura, avevo paura che tutto finisse, che ad un certo punto lui si stufasse, avevo paura di star facendo tutto da sola.
Lui mi guardava e mi diceva che non era così, che lui era lì per restare, che mi aveva scelto e che andava tutto bene. Sempre così mi diceva.
"Non è successo niente, va tutto bene."
Allora io ci riflettevo un po' su, vedevo le sue mani stringere le mie e dicevo che ero proprio stupida perché era vero, era tutto ok.

A Natale mi è arrivato un biglietto e diceva "non sono bravo con le parole, lo sai, ma sono felice di questo primo Natale insieme, le feste non mi piacciono, ma adesso hanno un sapore diverso perché ci sei tu nella mia vita."
L'ho letto tutto d'un fiato, poi l'ho riletto, poi di nuovo e di nuovo e di nuovo. L'ho consumato.
Mi sono emozionata. Ho pianto. Ho stretto il biglietto fra le mani e ho detto "va bene, adesso è arrivato il momento di deporre le armi, adesso basta stare sull'attenti. Lui c'è. E' passato un anno. Ci amiamo. Va tutto bene. Basta. Posso finalmente lasciarmi andare e abbassare la guardia."
L'ultimo dell'anno gli ho augurato una vita di successi, sperando di essere parte di questi e di gioire insieme degli altri e delle cose belle che lo aspettavano. La risposta è stata "che ci aspettano".
La sua gioia era la mia gioia e viceversa.

Lunedì 4 Gennaio ci siamo incontrati, come al solito.
Abbiamo parlato, scherzato, riso, ci siamo raccontati delle cose, siamo stati a letto insieme e ci siamo abbracciati tantissimo.
Niente di anomalo. Tutto perfettamente nella norma.
I giorni trascorrono nella normalità più totale, finché un giorno ti svegli e hai il presentimento che sarà una giornata strana, ma ormai hai deposto le armi e quindi che bisogno c'è di allarmarsi.
Allora passi la giornata un po' così. Con qualche dubbio, ma in fondo chi non ne ha.
Durante il pomeriggio qualche messaggio e poi di nuovo dopo e prima di cena.
E poi alle 20:21 il messaggio più atroce. "Ti devo parlare".
Questa è una frase che andrebbe abolita, parole che andrebbero radiate dal vocabolario.
Ansia. Agitazione. Palpitazioni.
OK. Penso, mi deve parlare. Ma va tutto bene. Oggi non finisce niente, perché dovrebbe in fondo?

Sono scesa in strada subito, ancor prima che lui arrivasse.
C'era un ragazzo che mi guardava non capendo cosa facessi in mezzo alla strada da sola. Senza borsa, senza niente.
Arriva la sua macchina e sento il cuore schizzarmi nel cervello.
Parliamo.
Non c'è niente da fare. Non sente ragioni. Non accetta consigli, non accetta aiuto. Non accetta nulla.
Lui ha già deciso e ha deciso per tutti e due.
Perché "ADESSO è meglio così". Ok, adesso. E poi?
Mi tormento e mi consumo di pianto chiedendo spiegazioni, singhiozzando come una bambina.
Ma non arrivano. Sempre le solite flebili frasi.
Niente di concreto, niente che mi aiuti.

Poi ti guarda e ti dice che tutto questo fa schifo, che è una coltellata, che ti vuole troppo bene, che sei importante, che lui da tempo aveva iniziato a pensare che fossi la persona con cui stare tutta la vita.
Ma ti dice anche che adesso l'istinto di dirti di fermarsi un attimo è più forte.
Non so cosa facciano le altre persone in questo caso, io ho iniziato a piangere senza mai fermarmi. Fino ad ora, ma sicuramente continuerò per molto tempo.
Ho iniziato anche a pregare. Sì, a pregare.
Perché qui ci vuole un miracolo, altroché.

Silenzio.

Mi ha preso la mano, mi ha abbracciato, una stretta così forte che sarei potuta morire senza fiato.
E sarebbe stato meglio.
E se l'abbraccio era poco, allora facciamoci scappare pure un bacio. Poi un altro.
Poi si finisce che si piange in due.

Sentivo le gambe paralizzate.
Non riuscivo a lasciare quella macchina.
Non riuscivo a muovermi.
Ho fatto uno sforzo, sono scesa. Non ho mai guardato indietro, nemmeno quando ho sentito la macchina allontanarsi.
Ed è assurdo di come poi, in questi cazzo di anni 2000, giri tutto intorno alla tecnologia.
E tu a 23 anni mentre sei nel letto a piangere ti ritrovi a scrivere ad ogni contatto di WhatsApp anche la più stupida delle stronzate per non avere il suo nome davanti ogni giorno.
E piano piano lo affossi, ma purtroppo non nella tua vita. Solo su una stupida applicazione.

Il duemilasedici mi ha portato un nuovo cucciolo e un cuore spaccato a metà.
Credevo di averlo rattoppato al meglio, ma evidentemente non so ancora cucire così bene e si è rotto per l'ennesima volta. Come un po' le mie palle, anche.
E' vero, sono triste. Piango ogni venti secondi. Non mangio da giorni e la mia pelle inizia a fare pure un po' schifo. Guardo lo specchio e mi odio.
Ma sopra ogni cosa sono arrabbiata.
Perché è successo, di nuovo. E stavolta è successo con una persona che mi aveva giurato qualcosa, mi aveva fatto promesse e la cosa peggiore è che quasi tutte le aveva mantenute.
Non ci sto a farmi trattare così.

Perché, alla fine della fiera, io non me lo merito.