venerdì 30 giugno 2017

"Benvenuto fra i miei pensieri, scusa il maltempo."

E' il 30 giugno e Roma è strana: l'aria sembra più fresca in certi momenti della giornata, in altri, inutile dirlo, sembra di vivere in un forno a cielo aperto.
Da quattro giorni il numero che mi porterò dietro fino al prossimo 26 Giugno è il venticinque.
25. 
Venti. 
Cinque.
Se ci penso bene mi fa un po' paura, quella solita paura di non poter combattere il tempo; che poi, più che una paura, è un dato di fatto.
Mi stanno succedendo una miriade di cose nell'ultimo periodo e la cosa più bella e diversa del solito è che non mi fermo a contemplarle, anzi è come se fossi trasportata dalle onde in una direzione del tutto nuova ed inaspettata, ma senza che queste mi scaglino addosso ad appuntiti scogli o simili.
O almeno, per il momento sembra essere così.
Non amo particolarmente l'Estate, se ci penso probabilmente non l'ho mai amata, ma prima mi sembrava un motivo sufficiente per essere quantomeno allegra del fatto che potessi passare le mie giornate lontano dalla scuola; il che, oggi, mi fa parecchio sorridere perché se potessi tornerei immediatamente indietro.
E' sorprendente come certi mostri sacri, con il passare del tempo, diventino sempre più barboncini da passeggio al cospetto della vita da adulti che ci tocca sopportare ogni giorno.

Ho finito tutti gli esami una decina di giorni fa, mi sono tolta di dosso una zavorra che fino a non molto tempo fa mi pesava così tanto da non farmi muovere da dove ero; un altro dei miei mostri sacri. Ad oggi so di avercela fatta completamente da sola e non ho ancora ben capito esattamente come io ci sia riuscita, ma ehi eccomi qui! 
Ho pensato più volte di lasciare ogni cosa, di non continuare i miei studi, di abbandonare tutto senza però sapere cos'altro fare, senza che avessi un'alternativa in mano. Forse non ce l'ho nemmeno adesso, ma mi sento diversa.
Se potessi parlare con la me di qualche anno fa le direi di non avere paura, ché non è tremendo come sembra e una volta imboccata la strada giusta, è più facile a farsi che a dirsi.
Ho solo un po' di amarezza, qualche strascico dovuto al sapere che avrei potuto perdere meno tempo e avrei potuto agire di più, ma questo è ciò che si dice quando bisogna "imparare la lezione".
Credo di averlo fatto, credo di averla imparata.

Giorni fa ero sul mio balcone, di notte, a cercare di prendere un po' di quell'aria che Roma sembra aver completamente smarrito da ormai un mese a questa parte.
Mi è venuto da pensare a tutte quelle persone che ho perso, quelle che ho trovato e ritrovato e quelle che ci sono seppur marginalmente. E mi ha stupido e rabbrividito e scioccato il rendermi conto di quanto dolore, spesso e volentieri, sprechiamo appresso a ricordi che, un giorno, varranno meno di niente.
Più ci penso e più ho la sensazione di un pugno dritto dritto alla bocca dello stomaco, quel tanto che basta a lasciarti rintronato in qualche angolo per strada.
Ma "non fa niente", mi ripeto.
Me lo ripeto così tanto spesso che mi scorso che invece fa eccome.
Come tutti quei "non fa niente" detti per forza, per mascherare un disagio che da affrontare sarebbe stato troppo duro, quei "non fa niente" ripetuti per convincersi che dietro ogni mancanza di rispetto, ogni minimo gesto noncurante, dietro ogni parola scappata via un po' troppo velocemente, in realtà ci fosse solo sbadataggine.
Succede.
E ancora mi viene da dire "non fa niente".

Ogni tanto devo fare i conti con quello che ho fatto e detto in passato, quando le cose non le ho rese facili nemmeno agli altri e ancora non riesco a superare di esser stata carnefice, in certe occasioni.
Ma così è la vita, dicono.
Anche se ancora certe cose non me le perdono, dicono, arriverà il momento.
Spero solo che i miei, di carnefici, non si soffermino mai a pensare a cosa avrebbero potuto fare e dire invece di comportarsi da perfetti stronzi quali sono. Spero non succeda, perché potrebbe fargli più male di quanto ne ha fatto a me.