mercoledì 29 luglio 2015

Buon anniversario.

Il ventinove Luglio di qualche anno fa mi rovinavo la vita.
Avevo messo insieme un mucchio di idee, sbagliate.
Avevo fantasticato, forse troppo.
O semplicemente vivevo la vita da adolescente come tutti, più o meno.

Ci penso sempre a quel ventinove Luglio.
Penso sempre a come sarebbe stato se quel giorno non fossi uscita di casa.
Se fossi rimasta con quei due amici.
Se non mi fossi allontana, in senso metaforico e non.

Mi chiedo sempre perché ho fatto la scelta che ho fatto, ma è curioso verificare che era l'unica che potessi fare. Tante volte ci si dice che si ha sempre un'alternativa. Io invece penso che altrettante volte l'unica alternativa sia quella che ci capita a tiro.

Il ventinove Luglio del duemilaotto mi complicavo l'esistenza e il sistema nervoso.
E i miei affetti. E la testa e tutto il resto, in realtà.
Ho fatto tutto da sola. Ci ho semplicemente creduto.

Quando avrò dei figli, se mai li avrò, credo che l'unica cosa che davvero mi premerà di insegnare, sarà quella di non farsi mai mai mai calpestare. Da nessuno.

Più ci calpestano e più ci diciamo che siamo forti, perché non possiamo mostrarci per le torri di sabbia che siamo, sgretolandoci al suolo. Questo è l'unico insegnamento che posso dare.
Sono cresciuta con una madre a cui non era stato insegnato nulla, perché anni fa l'unica cosa che interessava era un buon andamento scolastico, una buona educazione e un buon futuro.
E per questo non è mai stato insegnato nulla a me.
Nemmeno come ottenere buoni risultati a scuola.

Ventinove Luglio Duemilaotto.
Non faceva così caldo.
Roma era ancora quella città che da metà Giugno ai primi di Settembre si svuotava.
Figurarsi poi all'ora di pranzo.
Per strada non c'era nessuno. Solo io.
Non lo sapevo che stavo andando incontro ad un treno in corsa.
Non lo sapevo che da lì a poco mi sarei schiantata contro uno dei problemi più grandi della mia vita.

Quel ventinove Luglio era Domenica.
Aspettavo l'autobus e lo aspettavo con una speranza nel cuore che a ripensarci oggi mi viene da piangere.
Lo stesso cuore che negli anni ha sopportato abusi di ogni genere.

L'ottanta non arrivava. L'agitazione era alle stelle.
E se faccio tardi?
E se non va come dico io?
E se va come dico io?
E se, e se, e se.
Dovrebbero studiare cosa passa nella testa di una donna - o una ragazzina - quando è in trepida attesa.

Una maglietta nera.
Un paio di jeans.
Capelli sciolti, ancora del mio colore naturale.
Lentiggini sul naso, perché ai tempi andavo al mare.
E un paio di Etnies, forse.
Neanche un tatuaggio.
Poca matita sugli occhi.

Ero questa, quel ventinove Luglio.

Di quella giornata ancora mi porto gli strascichi appresso.
Ancora non mi fido completamente.
Ho perso la stima nei confronti delle persone, in generale, tutte.
Non mi interessano più.
Sono pronta a credere che prima o poi, chiunque, può farti del male e sa dove colpire.

Ventinove Luglio Duemilaquindici.
Gli strascichi li vedo.
Ancora li trascino con me, inevitabilmente.
Però guardo indietro e vedo qualcosa che non mi appartiene più.
Allora più che guardare indietro, mi guardo intorno.
E questo ventinove Luglio, per la prima volta, non mi fa paura.

Anzi.

Anzi questa fine del mese mi fa pensare all'inizio del successivo, con un altro scopo.
E un sorriso.

Sì, ho ancora mille paranoie, ma non può essere Ventinove Luglio per sempre.

lunedì 27 luglio 2015

Storie di prime volte e altre cose.

A Dicembre ho scoperto di essere un'eccezione.
L'eccezione.
Mi è successa una di quelle cose che di solito succedono agli altri.
Quelle che iniziano con "l'amica di una mia amica..." e sai già che questa fantomatica amica non esiste.

Anni fa, forse il 2010, avevo conosciuto un ragazzo.

Bello come il Sole.
Ricordo ancora che appena lo vidi entrare nel locale dove eravamo, pensai che lo volevo con ogni cellula del mio corpo.
Chiaramente, come succede ogni singola volta, era fidanzato.
Fidanzato con la classica sciapettina, niente di che.
La classica ragazza che ti fotte sempre situazioni migliori, quella da presentare a casa, agli amici.
Quella su cui forse punti tutto.
Quella che io non sono mai stata. Per capirci.

Ricordo di aver pensato "e te pareva!"

Non ci avevo nemmeno perso tempo.
Non avevo nemmeno fatto fare voli pindarici alla mente, quelli che partono da un normalissimo Ciao e finiscono a fantasticare su cose impossibili ed improbabili.
Sai tipo, ville in montagna, 7-8 cani che scorrazzano in giardino.
Due o tre figli, un matrimonio in una bella chiesa storica di Roma.
Nessun pranzo di Natale io, lui, i miei ed i suoi.
Nessun anello.
Nessuna vacanza insieme.
Insomma quelle classiche situazioni a cui pensi mentre dovresti fare tutt'altro.
Niente.
Niente di niente.

L'avevo dato per perso. Da subito.


Lo so, leggendo sembra di star guardando una classica commedia americana.

Quelle di cui sai già la fine.

Comunque, negli anni, poi ci ha pensato la vita a regalarmi tutte le illusioni che in quella situazione mi ero evitata. Negli anni, ogni singolo sogno, trasformato in speranza e poi illusione, inevitabilmente l'ho visto correre veloce verso un baratro di lacrime mai piante.


Nel corso del tempo ho avuto modo di rincontrarlo, questo ragazzo.

Capitava, insomma, che in occasioni sporadiche e assolutamente casuali, ci ritrovassimo nello stesso luogo, talvolta con le stesse persone.
Due chiacchiere, la sua - ex - ragazza sempre al seguito e via dicendo.

Nel 2013, in vista di un incontro quasi organizzato, capitò infatti di incontrarci.

E lì, dopo tanti anni, sentii che ancora mi piaceva.
Quel tanto che bastava per tornare a casa e addormentarmi dicendomi che mai e poi mai sarebbe stato mio.
Il classico modo che abbiamo noi disperati per prendere sonno, per capirci.

Faceva un caldo che ancora me lo ricordo.

Avevamo parlato tanto, quella sera.
Non era mai successo. Non così tanto.
Questa cosa mi aveva colpito, anche se lui, oggi, dice che non se lo ricorda.
Poi abbozza un sorriso e io capisco che, in fondo, sì, se lo ricorda.

E quindi gli anni passano.

E con loro anche tutta la mia voglia di vivere.
La mia condizione era quella di trascinarmi a destra e a manca, annusando situazioni da lontano per capire subito che lontano non sarebbero mai andate.

Poi un giorno.


Inaspettatamente. 

(Ma per davvero eh!)

Era Dicembre.

Era Martedì.
Non mi prendete per matta, ma io le cose importanti me le ricordo.
Questo smartphone, che a detta di mio padre è ciò che di più inutile esiste al mondo, una cosa utile, alla fine, l'ha fatta.
Ebbene: mi ha rimesso in contatto con questo ragazzo bello come il sole.
Ed è successo così, "per caso".
Anche se sappiamo che il caso non esiste.

E abbiamo iniziato a parlare.

Tanto.
Io ero tornata una ragazzina.
Come si illuminava il telefono scattavo in piedi.
E se non era lui ci restavo malissimo.
Avevo il cuore in gola, continuamente.

A distanza di qualche giorno ci siamo incontrati.

Era domenica.
Faceva freddo. Tantissimo.
C'era ai nostri piedi una Roma addormentata, pronta a ricominciare la routine quotidiana.
Una Roma che si preparava al ponte dell'8 Dicembre.

Ed io ero con Lui.

E non ci potevo credere.
Non ci potevo credere che era uscito proprio con me.
Appena salita in macchina, l'avevo guardato. Lui era di profilo.
Guidava.
Parlava.
Ed io ho dovuto distogliere lo sguardo, perché sono certa di aver avuto un'espressione idiota.
L'espressione di una persona totalmente incredula.

Era Dicembre.

Ed io stavo bene.
Lo sentivo che stava per cambiare tutto.

Ed ora siamo a Luglio.

Io sto ancora bene.
Lunedì partiamo per Milano, io e Lui.

Prima o poi mi convincerò anche a vomitare sto "ti amo".

E non venitemi a dire che il Destino non esiste.

giovedì 23 luglio 2015

Sarebbe troppo.

Ho talmente bisogno di cambiare che da giorni guardo il catalogo di IKEA pensando a cos'altro ficcare nella mia stanza.
Vorrei buttarci una bomba e rifarla da capo.
La stanza. Purtroppo.

E' un bisogno di evasione, più che altro.
Se solo ne avessi la possibilità sarei già scappata lontano.
E per lontano intendo in un altro quartiere.
Quel tanto che basta per avere la propria intimità, i proprio spazi.
Che al momento sono praticamente inesistenti.

Sebbene io odi l'Estate con ogni cellula del corpo, è il momento in cui vivo serena sapendo che almeno due settimane in dodici mesi sono solo mie.
Mie senza accolli paurosi.
In quelle due settimane è tutto come voglio io.
I miei orari, i miei gusti, i miei spazi. Appunto.

Però due settimane l'anno sono pochine, se ci pensi.
Da un anno circa vivo in una situazione come di stallo, come se questo vivere dove vivo e questo sentire ciò che sento, siano solo operazioni transitorie.
Sono cose momentanee.
Forse questo è ciò che mi aiuta a guardare avanti senza lamentarmi troppo.

Non ho mai capito appieno il senso della famiglia.
Molti dicono che sia lì per supportarti, ma non essendo mai successo, nel mio caso, mi sono sempre chiesta per quale altra ragione ci sia stato questo bisogno di creare un nucleo di persone che, per quanto ne so, potrebbero anche starsi sul cazzo a vicenda. Tutti.

Voglio dire, è una crudeltà obbligare due, tre, quattro, cinque e nei casi più sfortunati anche sei o sette o più persone a vivere sotto lo stesso tetto, sempre.
Senza possibilità, nemmeno apparente, di trovare una scappatoia.

Per questo non ho mai biasimato troppo le stragi familiari.
Per carità, non dico che ne compierei una (per quanto..)
Semplicemente dico che la gente è quello che è.
Le persone, tutte, sono esseri che si formano da soli, arrivati ad un certo punto.
E magari nella crescita scopri che sei diverso da come ti volevano e lì si consuma il vero dramma.

Nella mia visione utopica del mondo, superata la maggiore età, uno esce di casa per non tornarci.
Mai più.
Forse solo la Domenica a pranzo.
Ed è curioso perché la mia visione utopica è molto simile alla Germania.
Peccato che io in Germania non ci andrei a vivere mai. Bella eh, però...

Niente, quindi mi ritrovo a sfogliare cataloghi online.
Scegliendo nuovi mobili, pianificando sfiancanti giornate alla ricerca della misura perfetta.
Anche il colore delle pareti mi va stretto, adesso.

Voglio cambiare tutto.
Ho anche pensato di tagliarmi i capelli.
Che, per chi non lo sapesse, è come se decidessi di avere un figlio.
Una cosa importante, insomma.

Ma la vera tragedia, il vero cruccio, è sapere che anche tagliandomi i capelli, anche cambiando colore alle pareti della mia camera, anche buttando una bomba nella mia vita, tutto e dico tutto, rimarrebbe uguale.

E quindi che senso ha?
Ha il senso di donarmi dieci giorni di serenità.

Io vado avanti così, come fossero buoni del supermercato, offerte imperdibili.
Sempre alla ricerca di quei dieci giorni di serenità.
Perché di Felicità sarebbe troppo.

domenica 19 luglio 2015

Solitudine 1.0

E' domenica, di nuovo.
E fa caldo, di nuovo.

Da sempre è noto che sono una persona impaziente.
Mia madre me lo ripete sempre, ma evidentemente non sa quanta pazienza sono in grado di avere.
E quanto sono in grado di sopportare.
Sono impaziente, principalmente, perché non trovo pace.

Pensavo di averla trovata, e forse in parte è pure vero.
Ma non quella pace che distende.
Non quella che ti fa svegliare sereno la mattina e addormentare meno angosciato di sera.
No, non quella.
Quella non ce l'ho.

Un'altra cosa che diceva mia madre era che non avrei mai trovato un uomo, con questo carattere.
Ed io mi dannavo l'anima perché l'uomo non lo trovavo davvero, ma allo stesso tempo non capivo a quale carattere così pessimo si riferisse.
Io, che chiedo scusa anche se respiro.
Ma adesso le cose un po' sono cambiate e questo non me lo ripete più.
Gli abbiamo dato uno smacco morale.
Io, lui e chi mi ha fatto la grazia di metterlo sul mio cammino.

A proposito di questo mi viene da vomitare ogni volta che mi guardo allo specchio.
Perché una cosa che dice(va) sempre mia madre è che "un bravo ragazzo non mi avrebbe mai guardata con tutti questi tatuaggi addosso e queste forme un - po' - troppo - rotonde" (?)
Perciò adesso vivo in questo limbo secondo il quale, da un lato mi viene voglia di dare un calcio in culo a lei, ai pregiudizi, "ai bravi ragazzi" e anche a me.
E dall'altro lato invece mi viene voglia di piangere e chiedermi se sia vero.
Lui mi ha voluta lo stesso, anche con i tatuaggi, anche con i fianchi in carne e le maniglie dell'amore e dell'odio, ma mia madre è riuscita ad insinuare questo dubbio osceno secondo il quale tutto ciò che gira intorno alle persone che frequento, possa in qualche modo, non vedermi di buon occhio per le ragioni di cui sopra.
Vivo nel terrore che i Suoi genitori gli dicano che non vado bene per lui o nell'ansia che i Suoi amici possano pensare lo stesso.
E tutto perché chi mi ha messa al mondo gioca sulle mie debolezze.
Non so bene perché, in effetti.

Mia madre dice che non sto mai calma.
La stessa che ha frequenti attacchi di nervosismo.
La stessa che inizia ad urlare ancora prima che ti svegli.
La stessa che il primo Gennaio di tre anni fa mi ha svegliato per rinfacciarmi cosa di dieci anni prima.
D i e c i.

Per questo ogni singola volta, ogni singolo rifiuto per me sono dieci rifiuti insieme.
Perché chi mi rifiuta, mi rifiuta due volte.
E' come un enorme tabellone.
Dentro ci siamo io e mia madre che giochiamo e il segnapunti è in continuo aumento o calo.
Inutile dire chi sta perdendo.

Adesso io ho delle priorità.
In ventitré anni sono riuscita a capire cosa voglio e focalizzare ciò che non voglio, per cercare di evitarlo.
Ma nonostante questo ogni giorno passato lontano da chi amo è il corrispettivo di un abbandono.
Come se la persona in questione stesse mettendo qualcos'altro prima di me.
So bene che non è così.
Sono sensazioni. Distruttive, ma sempre sensazioni.

La domenica con l'assenza di cose da fare l'ho sempre vissuta male, sono ventiquattro ore da passare pregando ogni singolo minuto,
Stringendo i denti per arrivare alla fine.
Anni fa lavoravo in un ufficio stampa. Il lunedì era, come per tutti i lavoratori, qualcosa di pessimo.
Un mostro nero alle porte della nostra libertà.
Ma allo stesso tempo era una ragione per cui uscire di casa e lasciarsi tutto alle spalle.
Almeno per un po'.

Oggi mi sento come un cucciolo abbandonato e legato sulla Salerno - Reggio Calabria,


Con la ciotola dell'acqua ad un metro. Senza poterla avere.