giovedì 26 ottobre 2017

Come un film di Nanni Moretti

Sono tornata. Più o meno.
Non che sia mai andata via realmente (purtroppo) ma ho avuto un blocco che non mi ha permesso di fare nulla, compreso scrivere su sto blog per emo.
Non so nemmeno da dove cominciare e sicuramente - comunque - non elencando tutto ciò che ho fatto dall'ultimo post ad oggi perché sarebbe riduttivo, banale e poco interessante alla fine.
Sono tornata perché il bisogno di farmi sentire è stato più forte evidentemente. Anche se "farmi sentire" per me acquisisce solo il significato strettamente legato allo scrivere qualcosa qui, per liberarmi di un peso. (Se, magari solo uno.)
Ogni tanto qualcuno mi dice con estrema saccenza che se scrivessi per il mero piacere di farlo, lo farei solo su quaderni o pezzi di carta lasciati qui e lì. No.
Semplicemente no.
Non sono una persona che si mette in mostra volutamente e non sono nemmeno una che cerca l'approvazione degli altri, semplicemente faccio quello che voglio - per quanto mi è possibile farlo.
In passato ho scritto cose per le quali sono stata ringraziata. E non lo dico per vantarmi, anzi mi ha sempre stupito questa cosa e allo stesso tempo lasciata un po' basita. Come può la gente ringraziare ME - proprio me - per qualcosa che ho solo scritto su un blog che leggeranno in 5?
Ebbene, è successo.
Scrivo perché magari può essere utile. O magari può non esserlo, ma può distrarre. O magari semplicemente perché mi va (e vaffanculo oh, sarò libera pure io di fa come me pare si o no?!)
Ultimamente succedono cose.
Ed intendo tante, devastanti, mutevoli cose.
A luglio mi sono laureata. Io.
Io che ad un certo punto stavo mollando tutto, che avevo deciso di condurre una magnifica carriera nei supermercati della zona, qualora mi avesse detto bene.
Io che sono crollata più di una volta in crisi isteriche sui libri, tanto da arrivare a lanciarli da una parte all'altra della casa senza volerne più vedere nemmeno la copertina.
Insomma, io che so sempre stata una capra a scuola mi sono laureata.
E ad oggi ancora non sono abituata.
Ieri per la prima volta dopo mesi e dopo tanti colloqui ho ricevuto una telefonata nella quale mi si chiamava Dottoressa, non che la cosa mi importi, ma ha avuto un impatto assurdo su di me questo appellativo. Ho realizzato che è vero e che i miei sforzi sono stati ripagati almeno in parte.
E mi sono ringraziata per non aver mollato. Certo, non per sentirmi chiamare Dottoressa, ma per aver fatto qualcosa di buono e qualcosa che nel tempo non rimpiangerò. Che credo sia ciò che c'è di più importante.
Il tempo passa e certe ferite non riescono ancora a guarire, anzi. A volte - di punto in bianco - tornano a sanguinare copiosamente senza che smettano senza che passi il dolore.
Mi chiedo se sia normale e spesso mi rispondo che non lo è e allora vado nel panico e inizia a fare più male, fino al punto in cui mi chiudo in me stessa e finisce per farmi tutto schifo.
Nella vita non ho mai voluto fare la vittima, non mi piace lo sguardo compassionevole di chi ti guarda da fuori, come fossi un orfano o un cucciolo abbandonato per strada sotto il diluvio universale.
Non mi è mai piaciuto.
Ma a volte qualcuno mi guarda e dice che nei miei occhi vede tutta la disperazione di una vita intera e una profondità  che raramente ha incontrato. E allora io crollo e mi imbarazzo e dico "ma no ma che dici ma non è vero" e nella testa mi ripeto "ma perché continua a vedersi? Io sorrido sempre" e a fare prove allo specchio su come fingere meglio.
Ecco.
Di questo parlo. Di fingere.
Di fingere che certe cose siano passate, che è tutto a posto e che era solo un periodo.
Dall'esterno sembra essersi rimesso tutto in ordine, non sembrano mai esistite nottate insonni, risvegli dagli occhi gonfi e giornate passate a cercare di trattenere il pianto sempre, ovunque, con tutti.
Ma poi non è così.
Ed è un problema. Un problema enorme.
Perché io non so più come uscirne.
Ho delle giornate buone, piene di cose da fare, piene di vita, piene di attimi intensi; e poi ho delle giornate pessime scandite da pensieri fissi che si alternano ad altri pensieri costanti e martorianti e non so come occupare il tempo per fare in modo che queste cose tossiche non mi mangino il cervello.
Io non sono nessuno per sapere come andrà a finire e se, in fin dei conti, finirà mai davvero.
Avete presente la storia del tanto soffrire che raffredda gli animi e i cuori delle povere vittime inaridite?
È tutto vero.
Da qualche tempo ho questa voglia irrefrenabile di perdere completamente la testa e diventare stupida, stupida come solo una persona obnubilata dall'amore può essere. Eppure non ci riesco.
Non come vorrei.
Avrei voglia di fare un passo avanti senza preoccuparmi di quello che c'è dietro, ma non posso. Perché dietro di me c'è sempre un mostro sacro che mi guarda e mi tormenta ad ogni mio tentativo di allontanamento. E non riesco a lasciarmi andare. Non come vorrei e non come dovrebbe essere.
Il mondo così com'è non mi piace più, ci ho provato, dico davvero, a farmelo piacere, ad amarlo ed apprezzarlo nelle piccole cose quotidiane; eppure non riesce a farsi amare nemmeno lui.
Non riesco a trovare la mia dimensione e a capire quale sia il mio posto dentro ad essa.
A proposito di studio, poi, è successa una cosa inaspettata: ho deciso di continuare.
Perché se ho fatto qualcosa di buono e utile una volta, posso sicuramente provare a duplicare anche questa esperienza. E per il momento è ciò che più mi piace.
Fare cose, vedere gente.
Come un film di Nanni Moretti.