lunedì 21 marzo 2022

Primavera.

Francesca ha fatto un figlio.
È nato un anno e qualche mese fa, e l’ha fatto proprio lei.
Lei che insieme a me andava in giro con la parrucca azzurra, per le feste di Carnevale.
Lei che si è fatta tatuare al mare, di notte, su un lettino, con un ago, la china e me che reggevo un cellulare per fare luce.
Ha fatto un figlio lei che insieme a me faceva l’autostop per tornare a casa perché era troppo tardi e gli autobus non passavano più. Ed è un miracolo se siamo ancora qui per raccontarlo.

Quante vite sono passate in una sola.
Quante storie si sono intrecciate fino a perdersi e quante altre sembravano ormai perse e invece si sono incontrate di nuovo, fino a riallacciarsi. 
La vita è piena di seconde occasioni, se sai coglierle. Se hai la fortuna di non sprecarle.
Se quando hai la possibilità, non ti giri dall’altra parte, ma accogli il cambiamento che a volte ti porta solo indietro, sulla strada che stavi percorrendo prima. Chissà quando, che nemmeno te lo ricordi.

Francesca ha creato un nuovo pezzo di sé.
Mentre io ne perdo giorno dopo giorno, pezzi di me.
Li lascio in giro e mi scordo di andarli a riprendere.
Li lascio nelle lenzuola degli altri, arruffate e sudate e piene di storie che rimangono solo storie.
Lascio pezzi di me nei cellulari.
Li lascio in qualche ricordo. Ma mai per troppo tempo.
Pezzi di me ovunque, addosso a chiunque, nella testa di chiunque. Ma rimangono solo pezzi.

A forza di lasciare brandelli di me in giro sono rimasta senza. E vago come zombie vaga, senza più un sorriso spontaneo e leggero, senza la voglia di riprovarci, senza la grinta di aggredire la vita e quello che ti offre, che comunque è sempre troppo poco. Sempre troppo poco.

Non mi va più, ormai non mi va più.
Solo che poi torna la Primavera e tutto è in fiore e il sole è alto e scalda e non vuole lasciare spazio al cielo notturno che prova ancora a farsi strada.
Inizia una nuova stagione. E mi chiedo quanto è banale pensare, come sempre, alle rinascite. A quelle che arrivano quando i fiori sbocciano, quando il sole è alto e scalda e non vuole lasciare spazio al cielo notturno che si fa strada ugualmente, ma con più timidezza.

Francesca ha fatto un figlio e ha negli occhi la voglia di vivere, di capire, di scoprire, di aggredire questo mondo orrendo. 
Ha la forza di alzarsi in piedi quando cade, anche se non ha capito perché e come ha fatto. 
La vita cambia.
La vita avanza.
La vita ride e piange.
E tutto suggerisce che ce n’è sempre, di vita. 
Anche laddove non sembra esserci. Anche quando non la vedi e non la senti e quando soprattutto non la vuoi. Ma c’è. 

C’è. 

giovedì 3 marzo 2022

Senzamore.

 Non posso fare a meno di chiedermi come sarebbe oggi la mia vita se avessi ricevuto un po’, solo un po’, dell’amore che ho dato.

Se i miei gesti fossero stati ricambiati o se anche solo una volta mi fossi sentita meno sbagliata.

L’amore mi ha cambiato, ma l’ho sempre provato solo io. Non so cosa potrebbe succedere se un giorno potessi essere così tanto fortunata da sapere cosa significhi.


Io non l’ho mai avuto.

Una madre totalmente a affettiva e glaciale mi ha messo al mondo senza alcuno strumento, senza alcuna nozione su come ci si sta, a questo mondo.

E dal primo momento è stato tutto in salita.

Tutto faticoso.


Tutto volto, sempre, in maniera imperterrita e incestante, a trovare quell’amore di cui ancora oggi non conosco sfumature a doppio senso.

Non ho mai visto gli occhi di una persona innamorata di me.

Né quelli di chi nella vita sa di essere nel posto giusto al momento giusto.


Ho sempre aspettato, convinta che potesse succedere. Ma alla fine non è mai successo. Non succede mai.

L’amore l’ho visto in tante cose, anche quelle piccole, ma non è mai arrivato da braccia sconosciute che avessero l’ardire di farmi questo dono.


Non posso far altro che chiedermi come sarebbe stato se tutte le mani che mi hanno toccato con desiderio per una volta, una sola, l’avessero fatto con dolcezza. Come si fa quando tieni a qualcosa.

Come se il pensiero di romperla o sporcarla ti facesse sentire mancare.


Non posso far altro che chiedermi come sarebbe oggi la mia vita, e come sarei io, se invece degli insulti mi fossero state dedicate parole gentili.

Forse sarei sbocciata come un fiore.

Dicono che se parli piano e gentilmente alle piante, quelle ti capiscono e crescono meglio, più belle.

Sarei potuta essere una pianta bella, se me l’avessero suggerito.


Di colpo è diventato tutto reale, compresa la paura. Il terrore che si realizzi il più temuto degli incubi: quello di convivere per sempre con me stessa e con la consapevolezza che forse l’amore non arriva e non arriverà.


Ci sono persone destinate a riceverlo, persone destinate ad accoglierlo. Forse io non sono fra queste; forse - semplicemente - la mia storia è un’altra. 

L’amore che ho provato per gli altri mi ha cambiata, mi ha resa più viva, mi ha fatto ardere, mi ha infuso speranza, mi ha rigenerato. Non oso pensare cosa potrebbe succedere se un giorno qualcuno lo provasse per me, tanto da farmi vibrare dentro e fuori. Da farmi vacillare, nelle mie convinzioni velenose. 


Nei giorni in cui mi specchio e affronta un’altra giornata da sola, piena di dubbi, di domande, a fronteggiare le parole di sdegno che quattro mura di casa tengono ben salde, per non farle uscire. 


Me lo chiedo. Me lo immagino. Me lo figuro. Eppure il tempo passa, tutto passa, anche io passo e finisco nel dimenticatoio di una memoria già morta, un ricordo che non c’è, un’ombra destinata a scomparire, fra le mille esperienze della vita. Di quelle che accumuli, ché ne hai tante.


Non posso fare a meno di chiedermelo.