giovedì 24 settembre 2015

Senza pensare - o quasi -

Oggi ho nel cuore una sensazione bellissima.
Non so spiegarla.
Semplicemente sento qualcosa sorridere dentro di me.
Ho una leggerezza in corpo che poche volte in vita mia ho provato.

E' una sensazione strana, che spero non svanisca.
Mi sento come se aspettassi qualcosa. Qualcosa di bello, immagino.
Ecco, è una sensazione come di attesa o di liberazione.
Non so distinguerla.

Ho notato che mi riesce difficile affrontare alcuni discorsi.
Elimino a priori i miei ascoltatori, perché per me semplicemente non possono capire.
Questa sensazione la tengo per me.
Forse è giusto che sia così.

Il problema delle belle sensazioni, se scaturite da qualcosa o qualcuno, è il mantenerle.
Riuscire a non oscillare in alto o in basso e rimanere dove si è.
Ecco, mi piacerebbe fosse così.
Rimanere con questa leggerezza in corpo e qualcosa dentro di me che sorride.

Finalmente, senza pensare alle catastrofi interne, esterne, lontane e vicine.

mercoledì 23 settembre 2015

Normalità ed altre cose strane.

L'altro giorno, mentre guardavo la TV, mi sono voltata e accanto a me c'eri tu.
Ho girato la testa verso di te e ho visto che mi guardavi.
Mi sono coperta la faccia con un cuscino e ho detto con voce stridula "Che c'èèèè?!".
Tu hai sorriso, hai detto "Niente." con la calma che ti contraddistingue, ci siamo stretti ancora di più e abbiamo continuato a guardare la televisione.

Ecco.
Questi sono i momenti che mi tolgono il fiato.
Niente di trascendentale.
Niente di fatiscente.
Niente che sia di plastica.
La normalità, quella mi lascia senza fiato.

La normalità di stare buttati su un divano, dopo aver mangiato qualcosa di non elaborato.
La normalità di guardare un film idiota o qualsiasi altro film.
La normalità di avere addosso qualsiasi cosa, anche una maglietta di quattro anni fa, sbrindellata e improponibile.
La normalità di appoggiarsi uno addosso all'altro e lasciarsi un po' andare.

La normalità, di fatto, mi lascia basita. Se esiste una definizione di essere basiti in senso positivo.
Ogni cosa "normale", ogni minuscolo frammento, ogni attimo vissuto facendo qualcosa che è simile al non fare niente. Questo è ciò che mi gonfia il cuore e riempie gli occhi di lacrime.

Nella vita i grandi gesti, le dichiarazioni plateali, i sentimenti esposti agli sguardi di tutti sono solo momenti passeggeri. Bellissimi, per carità, ma passeggeri.
Ci si dichiara amore eterno ed il secondo dopo si ordina cinese per non sbattersi a cucinare.
E' giusto anche quello.
Ma la cosa che mi lascia davvero sorpresa e alla quale, probabilmente, non mi abituerò mai, è la normalità.
La quotidianità.
L'esserci indipendentemente dagli avvenimenti esterni.
Rifugiarsi in se stessi e nell'altro per non far passare il tempo.

Adesso che ci penso mi chiedo come sia possibile essere vittime dell'abitudine.
La normalità mi fa ubriacare.
La consapevolezza di prendere il telefono e avere un solo numero da chiamare, sapendo che non importa come, dove, quando, la persona dall'altra parte risponde.
E se non risponde in quel momento, comunque lo farà.
La certezza di mettersi in macchina e guidare fino ad una meta ben precisa, sapendo che dall'altra parte della strada qualcuno ti sta facendo spazio, in casa, nel letto, fra le sue braccia. Ovunque.

Quindi sì, stare in platea mi piace. Osservare da spettatrice un grande momento e farlo mio.
Ma a volte trovo più bello vivere l'evento dal divano di casa, mentre ce l'hai accanto. Il momento.

martedì 22 settembre 2015

Imbracciamo i fucili.

Vivere senza amore fa schifo.
Qualsiasi tipo di amore.
E per ogni tipo di amore che abbiamo, ne esiste sicuramente qualcuno che ci manca.

Farsi il vuoto dentro e attorno non va più di moda.
Adesso la tendenza è quella di circondarsi di qualcosa, non importa cosa.
Io non ho mai chiesto molto, dalla vita.
Ora come ora sento che mi manca pochissimo per avere tutto ciò che mi potrebbe tenere a galla.

Perché questo è il segreto.
Restare a galla. Rimanere in superficie.

Anni fa avevo smesso di credere che potesse esistere qualcosa di simile all'amore.
L'amore, vero e proprio, lo escludevo a priori. Non l'avevo mai conosciuto.
Con il passare del tempo si è fatta prepotente in me l'idea che in realtà l'amore esistesse, semplicemente non per me.

E questo è ciò che di più orribile può capitare nella vita di qualcuno.
La presa di coscienza che l'amore, sì, lui esiste, ma non fa per te.
Non ti riguarda.

Lo cercavo disperatamente.
Ero diventata una tossica.
Quando mi avvicinai ad un amore a senso unico, mi resi conto che finalmente l'avevo trovato.
O almeno era quello che credevo.

Sì perché se fa così male deve essere per forza amore.
L'ho sempre vissuta come una fase di transito.
Il combattere per qualcosa o per qualcuno. Ma poi ho capito che combattere da soli è controproducente.
Combattere da soli è come tirare frecce di legno contro un muro di granito.
Inutile.

Ad oggi scopro che, alla fine, non serve nemmeno combattere.
Una grossa rivelazione per una che ha sempre passato il tempo a fare sue battaglie che avevano già una croce su di esse.
Battersi i pugni sul petto è qualcosa che il più delle volte non ha senso.
Fare la voce grossa, farsi vedere, rendersi bersaglio e affidarsi alla marea non è che la perdita di tempo più grande che ci sia. Nonostante per anni ne abbia fatto una delle mie caratteristiche principali. Quasi vantandomene.

Quello che avrei voluto sapere mentre combattevo è che in realtà, agli occhi dei più, ero semplicemente il giullare di corte calatosi in una rappresentazione storica.
Niente di più.
Niente di onorevole.
Nessuna armatura luccicante, nessun purosangue da cavalcare.
Solo la banalità e la testa dura di chi combatte da solo.

Ho passato anni preziosi a ricercare qualcosa che potesse assomigliare a quello che credevo fosse Amore.
Qualcosa negli anfratti della mia anima, o chissà, del cuore, mi spingeva verso orizzonti di cartapesta.
Come se avvicinandomi a quella che sembrava la giusta meta, inevitabilmente, poi, si tramutava in una sagoma di cartone appoggiata lì per caso.
Altro tentativo fallito.

Ne ho collezionate tante di sagome di cartone.
E tutte hanno un nome e probabilmente anche un cognome.
E neanche un bel sorriso, alla fine.

Ad un certo punto scopri che non ti frega più niente degli orizzonti, delle sagome di cartone, delle armature luccicanti e di tutto il resto.
Quello che ti interessa è restare in piedi.
A prescindere.
In piedi anche da sola.

Ed è lì che qualcuno si accorge di un combattente.
Sarà lo sguardo basso, le cicatrici delle guerre perse, l'armatura che ormai fa schifo o forse nemmeno esiste più, sarà che il purosangue da cavalcare, alla fine è un pony malconcio che fatica anche a camminare.
Comunque in quelle condizioni pessime qualcuno si accorge di te.
Mentre sei stremato sulla riva di un ruscello immaginario aspettando solo la tua ora.

Probabilmente, come nei migliori lieto fine, la svolta vera arriva quando sembra tutto perso.
E la cosa che sorprende di più è che l'armatura non ce l'hai, non ce l'hai mai avuta.
Le cicatrici le vedi solo tu.
Il pony non era altro che le tue gambe portate allo stremo delle loro forze.
E che più che un combattente sembri un gattino bagnato lasciato solo sotto ad un diluvio.

E forse il vero combattente è chi ha il coraggio di amarti nonostante questo.
Nonostante il pelo umido ed arruffato.
Nonostante un incessante freddo nelle ossa, dovuto all'incuria.
Un freddo che conosce solo chi ha passato le sue notti da solo, guardando fuori in attesa di qualcosa.

Forse la vera battaglia è semplicemente Sperare.

sabato 19 settembre 2015

Sabato.

E' un Sabato che assomiglia ad una Domenica.
Un Sabato infernale.
Non lo so perché.

Ieri mi hanno chiesto come stavo, ci ho pensato un po', ho pensato agli avvenimenti dell'ultima settimana,
alle parole, ai fatti, a quello che succede, a quello che non succede.
E dopo averci pensato ho risposto "Bene. Sto bene.".
E, cosa più importante, ci credevo.
Dopo poche ore ho fatto un casino, che poi casino è una parola grossa.
Ho fatto quello che faccio sempre: ci resto male.
Anche senza motivo.
Anche se non c'è bisogno.
E non lo so perché.

Stamattina, nel sonno, ho deciso che sarebbe stata una bella giornata.
Me lo sono imposto.
Mi sono svegliata piena di propositi e alla fine mi è pesato anche rimettere a posto i trucchi.
Ma non lo perché.

Dopo pranzo volevo dormire un po', per far passare il tempo, in modo che la giornata fosse meno lunga, meno pesante. Mi sono stesa sul letto.
Ho guardato fuori dalla finestra, ma non ho dormito.
Alla fine, chissà come mai, ho deciso che invece sarei uscita.
Però non lo so perché.

Sono tornata a casa da un'ora circa.
Ho messo insieme i pezzi di ieri e di oggi.
Mi sono inventata una nuova paranoia, l'ho fatta mia come si fa con queste cose che fanno solo male.
Ancora non lo so perché.

Ho guardato nel vuoto e mi sono messa a piangere.
Prima di gioia.
Poi di dolore.
Poi per rabbia.
Ed io proprio non lo so perché.

martedì 8 settembre 2015

Abruzzo.

Ogni volta che mi trovo ad utilizzare la lacca per capelli mi viene da pensare a mia nonna.
Ogni ricordo che associo alla mia infanzia ha un profumo.
Lei ha il profumo dolciastro della lacca e quello pastoso del rossetto.
La mia infanzia odora anche un po' di Ovetto Kinder, comprato al bar sotto casa.

Quando penso a lei, automatico arriva il ricordo nostalgico dell'Abruzzo.
Delle mille estati passate lì, al mare.
E anche un po' in montagna.

Avevamo una casa, una bella casa a dire il vero.
Era al secondo piano di un comprensorio bellissimo, pieno di verde, a neanche 100 metri dal mare.
Non che la vicinanza con la spiaggia mi entusiasmasse parecchio, ma sapere di essere così vicini a qualcosa che le persone amano, un po', mi rincuorava. Non so perché.

Dormivo sempre nella camera in fondo al corridoio, anche se ahimè, si affacciava proprio davanti alla ferrovia.
Quello che dicono è vero. Ci si abitua alle cose. Anche al rumore del treno in piena notte.
Uno ogni tanto, per carità, ma ci si abitua anche a quello.
In effetti ci si abitua a tutto. Male, ma lo si fa.
Forse perché va fatto e basta.

Non faceva mai caldo.
Anche ad Agosto, il clima era sempre temperato.
Una goduria per me che sopra i 20 gradi inizio a dare di matto.

C'è stato un periodo in cui l'appartenere - anche - a quel posto non mi entusiasmava per nulla.
Le solite fasi pre e post adolescenziali del cazzo.
Quelle in cui non ti sta mai bene niente, insomma.

Con il crescere ho iniziato a vedere quel posto come un gradino necessario.
Un livello obbligatorio. Un passaggio da ripetere ogni Estate.
E l'ho capito tardi. Ovviamente.

L'ho capito una notte. In spiaggia.
L'anno prima nella stessa spiaggia scappavo dai miei problemi. I problemi della città.
E' incredibile come alla fine ogni cliché sia poi confermato e annullato, diventando una delle tante leggi che reggono il mondo.
Incredibile come trovandoti davanti al mare, di notte, sembra che tutto possa passare oltre.

Non ho mai avuto storielle estive.
Non sono attaccata a quel luogo per qualche ricordo amoroso o simili.
Il mio è un attaccamento di tipo viscerale alle origini.
Le stesse origini che poi ho visto svanire non si sa bene perché.

L'hanno venduta, la casa. L'hanno venduta anni fa.
Non ne ho mai capito il motivo e anzi tutte le notizie che mi arrivavano le annoveravo fra le scuse più banali che potessi sentire.
Mia nonna un giorno mi aveva preso sottobraccio e avvicinandosi mi aveva detto "Questa casa è per voi, io ho fatto di tutto per averla perché potessi lasciarla a voi, quando crescerete ci verrete senza genitori e sarà il vostro posto. 
Avrete sempre un posto qui."
E noi, da bravi egoisti del cazzo, nemmeno questo abbiamo saputo fare.
Non ci siamo tenuti nemmeno un posto. Il nostro.

Ho sempre pensato di averla delusa, in qualche modo.
Anche se lei sa che non è mai stata colpa mia.
Oggi la gente quando parla di quel luogo e di quella casa mi dice che avevo ragione, che forse dovevamo tenerla. Già.
So benissimo che dovevamo tenerla.

E invece adesso non abbiamo né la casa, né il mare, né nonna e nemmeno i ricordi.
Semplicemente, forse, non abbiamo nulla.
Perché la testa fa brutti scherzi e magari un giorno non avremo nemmeno più questa  memoria e allora sarà tutto svanito.

Anche il mare.