venerdì 30 dicembre 2016

La teoria del caffè.

Non riesco a scrivere e questo succede solo quando sono troppo confusa per capire quello che sento, sono giorni che fisso fogli di carta e pagine di Word per cercare di buttare giù qualcosa, ma non esce nulla. Per chi come me che si riconosce solo rileggendosi, questo, è davvero frustrante.
Stanno succedendo tantissime cose eppure continuo a sentirmi ferma.
In questo periodo dell'anno è facile concentrarsi su ciò che ci hanno lasciato i giorni prima della fine del duemilasedici. Ed è snervante fermarsi a ricordare, a fare bilanci, a mettere a posto le idee.
In quest'anno passato io ho solo perso.
Ho perso due persone che reputavo importanti, così, come si perde una partita a carte.
Ho perso fiducia.
E ho perso me stessa. O almeno, un po' di quella me stessa che adesso non ritrovo più.
Il duemilasedici mi ha insegnato che non bisogna mai abbassare la guardia, nemmeno quando pensi sia giunto il momento di farlo; mi ha insegnato che prendere molti caffè con molte persone diverse non equivale a sopperire una mancanza. Anzi, spesso, molta caffeina con persone sbagliate non fa altro che aumentarla.

Sì, il duemilasedici è forse stato l'anno che mi ha reso caffeinomane.

Si fa questo errore di cercare una certa persona in tutte le altre, in tutte quelle che incontri.
Al supermercato, sotto casa, nel traffico, in metro. Ovunque.
Ma lei non c'è. Semplicemente non c'è, perché è andata via. E non sarà di certo prendendo altri venti caffè in venti bar differenti con altrettante differenti anime che la ritroveremo. Non funziona così.
Quella persona è adesso chissà dove, percorrendo un'altra strada, un altro viaggio senza di te.
Con il cuore rattoppato alla meno peggio un giorno capisci che di caffè non ne puoi più e decidi che è arrivato il momento di qualcos'altro. Di pace, ad esempio.
Questa è una sensazione impagabile, che per quanto strana, mi porta a ringraziare questo anno di merda. L'assurda indecente meravigliosa sensazione di capire, finalmente, che anche se fa male va bene così.
La consapevolezza di esser tornati liberi. Dai pensieri, dalle paranoie, dal sentirsi sempre sbagliati qualsiasi cosa si faccia. 
Perché, un giorno, mentre bevi l'ennesimo caffè - questa volta da sola - dopo aver pianto tanto, dopo esserti specchiata e non esserti riconosciuta, dopo aver dormito dieci minuti a notte, inizi a volerti bene. Inizi a ripercorrere ogni istante, ogni frammento, ogni singolo momento passato e capisci che meglio di così non potevi essere.

Sì, il duemilasedici è forse stato l'anno in cui ho pianto di più, ma anche quello in cui ho imparato ad amarmi leggermente di più. 

Non importa quanto tempo è passato, quanta tempesta c'è stata.
Si può camminare senza tanti pezzi, se ne possono perdere centinaia lungo il tragitto, ma forse l'unica speranza sta nel sapere quale non lasciar andare per sempre.
Faccio ancora fatica eh, sia chiaro, ma adesso quando mi specchio, negli occhi di quel riflesso, vedo una consapevolezza che fino a ieri non c'era o chissà dove cazzo era finita.
L'importante, credo, è averla trovata.
Dopo aver pianto tanto, dopo essermi specchiata senza riconoscermi, dopo aver dormito dieci minuti a notte, so che quella sbagliata non sono stata io. 
Anni fa, tanti, forse troppi, mi facevo tatuare "The Heart Asks The Pleasure First", che oltre ad essere un capolavoro di Michael Nyman è anche una grossa verità.
Il duemilasedici sta finendo e non vedevo l'ora; sono abituata a godere di cose semplici e questa, nella sua banalità, lo è.
Da uno stupido caffè preso distrattamente in un bar di zona possono succedere tante cose.
Ci si può trovare e perdere. Soprattutto perdere.
Il duemilasedici mi ha insegnato che, spesso, mentre sei indaffarato a cercare qualcuno in qualcun altro, mentre passi al setaccio ogni sorriso per capire se è quello giusto per affiancarsi al tuo, mentre osservi le mani di chi hai di fronte, mentre fantastichi di girare il mondo, mentre tenti di scoprire se un po' di quell'ironia che ti affascina riesci a scovarla dentro ad un nuovo corpo, mentre tutto intorno gira senza senso, mentre hai capito che le persone importanti che hai perso stanno tenendo la mano ad una che non sei tu, mentre ti rendi conto che le persone sono uniche e non ne trovi di false copie in giro per il mondo, 

in quel momento,

sai che è stato meglio così.

martedì 20 dicembre 2016

Quando viene Dicembre.

E' tornato anche Dicembre, prima di quanto pensassi.
Vivo questo periodo con distacco non capendo quanto davvero manchi poco alla fine dell'anno e a quella ricorrenza nefasta che segna distintamente la fine di una vita e l'inizio di un'altra.
E' facile e scontato fare bilanci quando ci si trova in questa fase, ma non sono ancora pronta a farne.
Se passo al setaccio ogni mese dal Dicembre scorso ad oggi vedo solo macerie.
Vedo solo croci impilate ben bene una sopra l'altra e, come dice De Gregori, quelle croci non sono altro che amori dalle gambe corte, allineati come collezioni di chincaglierie in una teca preziosa.

E' un anno da cancellare e non vedo l'ora che passi.
Ultimamente succedono cose che non riesco a gestire, non so se sto andando nella direzione giusta; anzi, in realtà, non so nemmeno se sto andando in una qualche direzione.
Mi sono sempre sentita ferma, statica; oggi invece mi sento in movimento come una trottola. E come ogni trottola che si rispetti, continuo a girare in tondo senza mai trovare pace. Senza fermarmi mai.
Capita di riscoprirsi in tanti modi che prima non si conoscevano e ho paura di aver recentemente tastato un lato di me che ignoravo.

Il duemilasedici è l'anno in cui ho perso un sacco di cose.
E per cose intendo persone.
E affetti.
E dignità.
E amore verso me stessa.
Eccetera.

Mai come quest'anno ho sperato arrivasse un nuovo giorno, un nuovo inizio. Qualsiasi, purché diverso. O reale. O curativo.
Mai come quest'anno ho annaspato dall'alba al calar del sole, augurandomi di riprendere fiato nelle ore successive al risveglio, pregando di trovare sollievo quanto prima.
Oggi è una di quelle giornate in cui mi sento sola al mondo, di nuovo.
Sarà che la domenica si porta dietro i suoi strascichi amari, sarà che il mio pranzo era condito con amarezza e disprezzo, ma questa sembra una giornata inaffrontabile.

L'altro giorno mio padre mi ha fatto commuovere.
Lui è uno a cui piace cucinare e avevo bisogno che mi preparasse qualcosa in particolare, ne avevo bisogno perché sentivo che se qualcuno non mi avesse sorretto sarei finita in un baratro ancor più profondo di quello in cui sono adesso.
Mio padre è bolognese: "mi fai le tagliatelle al ragù stasera?", gli ho scritto.
"E' domenica, il supermercato qua sotto è chiuso, dovrei prendere la macchina e arrivare a quell'altro, quello lontano e oggi volevo passare la giornata sul divano a guardare le partite, ma per una figlia si può fare." ha risposto. Ed io mi sono commossa.
Vedi, basta poco per sentirsi amati. A volte.

E' questo quello che nessuno ha mai capito, che basta poco. Davvero poco.
C'è sempre il rovescio della medaglia, però.
Per qualche minuto ho avuto gli occhi lucidi pensando a mio padre che avrebbe passato la giornata in cucina per me e per ore ho avuto le ghiandole lacrimali in esubero pensando a mia madre che, invece, di me non vuole più saperne.
Non sono solita parlare della mia famiglia o almeno non sono solita parlarne come davvero se ne dovrebbe parlare. E' che mi fa male e cerco di sotterrare l'argomento sotto un sacco di tappeti immaginari che spero nessuno sposti mai.

Non so cosa è successo ad un certo punto, probabilmente qualcosa si è rotto e da quel momento la mia mamma non mi ha voluta più.
Forse non lo sa nemmeno lei perché, ma ormai è così. Ed è un vortice dal quale non usciamo.
Ogni anno che passa, in previsione del Natale, mi sale sempre più ansia. Quest'anno in particolar modo.
Non mi piace dover fare sempre paragoni, ma sono stata meglio di così e non mi spiego come possa esser già finito tutto.
Nella vita capita di dover far fronte a cose che mai avremmo creduto potessero accaderci e risulta sempre più difficile, in effetti, guardarle in faccia con spavalderia e affrontarle.

Forse mi ero illusa potesse essere diverso, per una volta, anche per me. Chissà.
Mi è capitato di conoscere un sacco di gente ultimamente, di vivere situazioni non mie solo per il gusto di doverci provare, di mettermi alla prova.
Dopo tre anni di Università ho capito come funzionano le cose all'interno di essa, proprio adesso che il mio percorso è quasi concluso.
Ogni tanto penso alla difficoltà di ripristinare se stessi dopo le delusioni, la capacità di ricomporci pezzo dopo pezzo come fossimo puzzle.
Ed esattamente come un puzzle, il grande classico di perdere dei pezzi che non ritroveremo mai.

Il duemilasedici è stato l'anno delle mancanze.
L'anno in cui mi sono affezionata a cuori impossibili.
L'anno in cui ho capito che essere forti non vuole dire proprio un cazzo di niente.
Il duemilasedici mi ha travolto come l'onda sugli scogli, portandosi via gran parte di me; portandosi via intere giornate, tempo che nessuno mi ridarà mai.
Il duemilasedici mi ha insegnato tantissime cose, forse fra tutte, a difendermi. Ancora.
Non so cosa mi aspetta da Gennaio in poi, ma so per certo che inizierò un nuovo anno più agguerrita, più disillusa, più a pezzi, più speranzosa, più tormentata che mai.

Eppure all'inizio le cose sembrano così facili...