sabato 29 novembre 2014

Attese.

Ero al bar prima, seduta come se aspettassi qualcuno.
Con quello sguardo un po' indaffarato di chi fa finta di cercare fra la gente, per non far vedere quanto è solo. Quello sguardo che giustifica la sedia vuota affianco a te, quello che non fa avvicinare nessuno perché da un momento all'altro chissà chi potrebbe arrivare.
E invece poi te ne stai lì da solo, con una tazza di cappuccino davanti. E più il livello della bevanda scende, più lo sguardo è meno indaffarato.
Meno in cerca. Meno impegnato, ma più consapevole.

Ebbene ero al bar.
Seduta come se stessi aspettando te, come se tu stessi facendo tardi. Come se quel cappuccino fosse solo un scusa per rubare un po' del comfort di quella sedia che mi sosteneva.
Mi fingevo indaffarata, presa dalle mail che mi arrivavano sul cellulare, intenta a messaggiare con qualcuno che riempisse questo vuoto momentaneo.

Ero seduta al bar e finito il cappuccino ho provato forte imbarazzo.
Si, perché tu non c'eri.
Non arrivavi.
E la cosa peggiore è che lo sapevo dal momento in cui ho fatto l'ordine al barista. 
Lo sapevo addirittura da prima.
In realtà lo so sempre.
Lo so sempre che tu non arrivi, che non sei in ritardo, che non ti sei perso per strada, che non hai avuto un contrattempo, che non sei stato trattenuto in ufficio.
Passava una signora con un cane al guinzaglio, mentre ero seduta al bar.
Ma il cappuccino era finito ed il tempo era finito. E forse, solo forse, ero finita un po' anche io.

giovedì 27 novembre 2014

Non volevo, ma ho dovuto.

Avevo smesso di ascoltare quella canzone forzatamente, ma l'ironia del destino ha voluto che capitasse in una riproduzione casuale senza lasciarmi nemmeno il tempo di metterla a tacere subito.
Troppo facile pensare di ignorare qualcosa affinché non ti faccia male.

Mi sono seduta e l'ho ascoltata. Dalla prima all'ultima strofa. 
E ogni tanto associavo la mia voce a quella del cantante che sofferente continuava a ripetere qualcosa sui sogni, sul desiderio.
Più l'ascoltavo, più mi ripetevo che è una canzone spettacolare.
Talmente tanto che il giorno in cui tu mi dicesti "questa mi fa pensare a te, sentila", non potevo credere che me l'avessi dedicata. Proprio quella, proprio a me.
L'ho ascoltata fino a consumarla, fino a consumarmi. Fino a farmi male.
E poi l'ho dovuta scordare.

Oggi la riascolto e mi chiedo il perché di tante cose.
E non mi rispondo, che è forse la parte peggiore di tutte.
Quelle parole, quella musica, quella melodia, fanno parte di un'idea che mi ha cullato per tanto tempo.
Forse addirittura da prima che la partorissi.
Ogni strofa che risento affonda come un coltello nella carne, poi alzo il sopracciglio e mi dico che sono coraggiosa. Me lo dico da sola perché nessun altro lo sa quanto me.
E allora canto e sono addirittura felice.
Perché la canzone è bella e non fa niente quanto faccia male, ho ancora la voce per cantare questa e altre cento strofe.

mercoledì 26 novembre 2014

Novembre.

Ho deciso di ricominciare a scrivere su un blog perché quaderni e quadernini mi iniziavano ad andare troppo stretti. O forse perché se me li trovo davanti e mi avventuro a leggere le mie stesse righe, mi viene un groppo in gola che mi fa smettere di botto.
Bisogna scrivere e dimenticare, mi sa che è proprio questo il segreto.
Non so come funziona, se bisogna presentarsi, se è necessario dedicare un trafiletto a cosa si fa, cosa si è, cosa si ama e cosa si odia, ma anche se fosse, non voglio farlo.
Le presentazioni rovinano tutto, cercano di venderti bene un prodotto che col tempo si usura, si perde, si devitalizza. E forse devitalizza un po' anche te.
Forse, al posto di presentare, sarebbe meglio scoprire.

Oggi a Roma piove.
E' uno di quei rovesci tipici di Novembre, che anche se è mezzogiorno sembra quasi che il Sole stia per tramontare. Queste giornate mi piacciono, mi scaldano, in un certo senso.
Mi danno l'illusione che è solo pioggia, che passa. Basta aspettare.
E poi mi dimentico che per mesi e mesi, spesso di piovere non smette mai.
Ma ogni nuovo giorno mi porta a sperare che manca poco. Che in fondo è quasi finita.
Novembre è da sempre il mio mese preferito, lo vivo e penso sia un'occasione.
Non so bene per cosa, sono ventidue anni che cerco di capire di che occasione possa trattarsi.
O forse è solo il mese della speranza. E della pioggia.

Ho un ricordo per ogni mese della mia vita,
ma gli altri mesi non sono Novembre.
Gli altri mesi non si colorano di aspettative, nemmeno un po'.