mercoledì 6 aprile 2016

Ti chiamerò un giorno d'estate o magari mai più.

Oggi sono tre mesi di lacerante dolore giornaliero.
Qualcuno mi ha detto che devo smetterla di contare i giorni, ché tanto non serve a niente. È vero, ma mi viene spontaneo.
Oggi è il sei del mese, come quel giorno.
Ed è anche mercoledì, proprio come quel giorno.
Ci si chiede sempre perché a volte la vita prenda quella piega un po' amara; io invece mi sono sempre chiesta quando prenderà quella meno amara o quella addirittura per niente amara.
Ma forse devo smetterla.

Ieri sera un amico mi ha detto che il segreto è pensare che qualunque cosa finirà e finirà male. Ho risposto che non ce la faccio a pensarla così, seppur il mio animo da Calimero me lo suggerisca sempre.
"Forse perché ancora non hai sofferto abbastanza"
"No, perché credere che esista un lieto fine, nel bene o nel male, è l'unica cosa che mi tiene un po' in vita" - ho risposto.
Sembrano quelle conversazioni da libro cuore, me ne rendo conto, ma è la verità.
Ricordo perfettamente che a quattordici anni scrissi "le mie speranze sono morte ed io con esse".
In parte è ancora vero.
Ma ce ne sta una, di speranza, solo una che ancora non si decide a sloggiare.
Ed è quella che infatti mi fa svegliare la mattina, anche quando non voglio.
Il che, forse, è una fortuna.

I mesi passano.
Le stagioni cambiano.
Io stessa cambio e tutto ciò che ho intorno cambia.
Passano i giorni.
Passano le ore.
Passano i pensieri (quando sono fortunata)
E passerai anche tu, come tutti gli altri.
O almeno questo è quello che mi auguro.

Ho sempre pensato che l'offesa più grande che si possa attribuire ad una persona, sia proprio quella di paragonarla agli altri. Al resto del mondo. Al resto dello schifo.
Deludere qualcuno è la cosa più frustrante e triste del mondo, perché è irrecuperabile.
Non rinnego mai nulla, ma spesso mi domando se avessi potuto evitare certe cose.
Mi dico che forse se fossi stata più attenta, certi dolori, me li sarei risparmiati.
Poi scuoto la testa e penso che non voglio sentirmi stupida per aver creduto che nella vita ci fosse qualcosa di bello anche per me.

Ogni tanto mi voglio così bene che penso di meritare il meglio.
Penso che tutta questa "palestra" di singhiozzi serva solo a farmi capire che non posso sprecarmi appresso a chi non sostiene quello che sono, a chi non ne è capace, intendo.
A volte penso che sono così tante cose insieme che ci sarà bisogno di aspettare a lungo prima di trovare qualcuno che si prenda la responsabilità di accoglierle tutte e farle sue, come io faccio con tutto quello che sono gli altri.
L'unica pecca di questi pensieri, è che poi passano e lasciano solo un vuoto incolmabile.
Perché la realtà dei fatti è un'altra. E fa male come sale sulle ferite.
La verità è che ci sentiamo sempre speciali, ma nessuno ci dà la garanzia di esserlo davvero. Forse perché non è così o forse perché non lo è nessuno o forse ancora perché lo sono tutti a modo loro. E questo annichilisce il resto.

Ci raccontiamo un sacco di favole, sempre.
E anche un sacco di bugie.
La più grande è quando fingiamo che non faccia poi così male, ma sotto sotto (e nemmeno tanto) fa malissimo e lo sappiamo bene. E lo sappiamo ogni volta.

Un giorno arriva qualcuno, nella tua vita.
Ti racconta un sacco di cose belle.
Ti fa fare il giro del mondo solo tenendoti la mano durante la notte.
Ti regala battiti accelerati solo sorridendoti.
Ti fa ridere così forte che i migliori temporali rabbrividiscono.
Ti fa emozionare e volare e volere e godere così tanto che ti chiedi davvero dove sia stata tutta quella vita fino a quel momento.
Sì, perché la vita è quella eh. Non raccontiamoci altre bugie.
La vita è quella cosa lì, quella che succede al bar davanti ad un cappuccino che ormai è diventato freddo perché di parlare non si finisce più.
La vita è quella che succede quando ti addormenti addosso a qualcuno, mentre c'è la TV accesa e non hai voglia di arrivare fino al letto per dormire, perché perderesti quella posizione perfetta, quel cantuccio stupendo, quel battito non tuo così vicino all'orecchio che, alla fine, diventa una cosa sola con te stesso.
La vita è quella robaccia là.
Quella che ci piace tanto fare i duri e prenderci in giro e dirci che tanto a noi quelle cose non servono, perché siamo grandi, perché siamo indipendenti, perché da soli stiamo bene.

Poi, ad un certo punto, la stessa persona che ti raccontava cose belle tira fuori un coltello.
E inizia a smucinare dentro di te con la lama affilatissima.
Passa al setaccio ogni organo, non se ne lascia scappare nemmeno uno.
Poi sale su, passa per lo stomaco, poi ancora più su, fino ai polmoni e finalmente si ferma nel cuore.
Dritto nel cuore.
Ti apre in due, ti spacca a metà.
E tu sei lì, con la faccia un po' incredula, con l'espressione di chi non aveva capito niente.
E dici "ma la mia favola non finiva così, cosa sta succedendo?!"
E lì, la vita, il coltello e il carnefice, ti insegnano che le favole non esistono e se esistono non finiscono come pensavi.

Non so se tutto questo è normale.
Ormai penso di sì.
Ma mi fa schifo pensare di vivere un'esistenza nella disillusione più totale.
Mi fa schifo perché non penso di meritarmelo.
Come nessuno, probabilmente.

Sento di fare una fatica incredibile per farmi conoscere, per far capire al resto del mondo chi sono.
E la cosa peggiore è che, nonostante lo sforzo sovraumano, nessuno davvero capisca o voglia farlo.
Mi chiedo perché si è così spaventati dagli altri.
A me la storia del meccanismo di difesa per non soffrire ha anche un po' rotto le palle eh!

Ieri ho fatto l'ennesimo dolce, ma è venuto male.
L'ultima volta l'avevo fatto per una persona che credevo speciale, forse per questo stavolta era immangiabile. Non ci ho messo cuore.
Si cucina sempre pensando a qualcuno, dicono, altrimenti stai solo preparando da mangiare.
Ecco, questo intendo.
Mi serve questa speranza qui, in generale.

Sono una persona che non pretende nulla, mai. Forse è questo che mi frega.
Non chiedo mai niente, perché se la gente vuole darti qualcosa deve farlo di sua spontanea volontà.
Questa è la regola.
Non ho mai elemosinato attenzioni, mi sono sempre seduta in un angolo ad aspettare che arrivasse tutto quello che doveva arrivare, con molta calma o semplicemente con il suo tempo.
Non è facile essere pazienti, ma ti evita di fiondarti fra le braccia del primo imbecille che finge un sorriso.
Anche quando non ce la fai più. Soprattutto quando non ce la fai più.

Ho capito che sono pronta a fare un passo in avanti, ma non senza reggermi a qualche cornicione, perché in ogni caso la prudenza non è mai troppa.
L'ho capito perché indietro non si torna mai davvero e quando lo si fa non succede niente di buono.
Mi sta bene guardare avanti, ma non vorrei farlo da sola.
Perché, come dice Alexander Supertramp, la felicità è vera solo se condivisa.
E, nonostante Into The Wild non mi sia mai piaciuto, quella frase racchiude un'esistenza intera.

Vorrei che l'estate mi sorprendesse, così da rivalutarla.
Vorrei arrivasse qualcosa di inaspettato.

Ma alla fine, stupida io, che come sempre, mi aspetto qualcosa di diverso.

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