domenica 26 giugno 2016

24.

A ventiquattro anni la vita è uguale a ieri e sembra uguale anche a domani.
Io il ventisei giugno lo odio, perché mi fa sentire più sola, più grande, più sbandata in un certo senso.

A ventiquattro anni se fai un resoconto della situazione ti metti le mani nei capelli, perché ti dicono che hai tutta una vita ancora davanti e tu non sai, tutta questa vita, cosa ti porterà.

A ventiquattro anni hai paura. Almeno, io ce l'ho.

A - quasi - ventiquattro anni qualcuno alle 22:00 ti scrive che bisogna uscire e tu esci e poi ti dicono che era per non farti passare la mezzanotte a casa, da sola. A queste cose qualcuno ci tiene.

A ventiquattro anni, appena fatti, torni a casa alle sei di mattina, un po' provata, tanto stanca e con un groppo in gola che non scende e non sale e resta lì e un po' ti fa male.

A ventiquattro anni tuo nonno ti regala una rosa e anche se a te i fiori fanno schifo, quella rosa ti sembra la cosa più bella del mondo perché non sai ancora quante te ne potrà regalare.

A ventiquattro anni qualcuno che mesi fa ti ha spaccato il cuore e poi l'ha calpestato e poi ci ha sputato sopra ti fa gli auguri e tu piangi e ti disperi perché quel nome non volevi più leggerlo da nessuna parte, figurarsi sullo schermo del telefono.

A ventiquattro anni sembra fare tutto schifo, ancora.

A ventiquattro anni sono stanca.

A ventiquattro anni vorresti un'altra vita, ma forse non si può.

A ventiquattro anni speri solo che le cose si aggiustino, trovino un senso, un posto e vadano come devono andare.

A ventiquattro anni ti auguri che le cose vadano come devono andare, ma speri debbano andare bene e nulla più.

giovedì 16 giugno 2016

Io non sono una Superdonna.

Ogni tanto ci penso e mi dico che non sono adatta.
In generale, in un sacco di cose.
Penso a mia madre e a come mi ha educato, forse inconsapevolmente.
A casa mia vige da sempre una regola non scritta e quasi mai rispettata: quella di fare sempre del bene, di essere sempre candidi e puri d'animo.
Non so da cosa derivi questa convinzione intrinseca che mi ha inculcato mia madre, forse dalla sua parte religiosa, forse dalla sua parte più debole, ma tant'è che dopo anni mi interrogo e mi chiedo se non sia forse colpa - o merito - suo il mio essere così come sono.
In tutto, intendo.

Sono cresciuta sentendomi sempre un po' meno degli altri, sempre un po' più strana, un po' più debole, un po' diversa.
Non ho mai capito da cosa dipendesse, ma ho ricordi nitidi e tremendi della mia infanzia; di quel momento in cui i tuoi genitori ti lasciano sbranare dal mondo esterno per forza di cose.
Arriva per tutti il giorno in cui bisogna lasciare le ali protettrici di chi si prende cura di noi, o almeno ci prova.
I bambini sono cattivi, perché non si rendono conto. Non hanno le facoltà necessarie per capire cosa è giusto e cosa non lo è, cosa bisogna dire e cosa bisogna tenere per sé.
Mi ricordo un sacco di episodi nei quali ero completamente indifesa, completamente abbandonata a me stessa e senza possibilità di chiedere aiuto.

Credo sia la più grande lezione di vita, questa.
Essere lasciati in balia di noi stessi, prima o poi, ti fa capire quanto e come reagire.
Cosa fare, cosa dire, per non sprofondare completamente.

Insomma si cresce, si cambia, ci si plasma. Ognuno a modo suo. Ognuno con i suoi tempi.
Io ad oggi credo di aver trovato la mia dimensione e non so ancora se mi piace.
So che non sono quel tipo di donna.
Quel tipo di donna che si fa aspettare per ore, quel tipo di donna che sostituisce gli affetti così come le scarpe da giorno a quelle da sera.
Non lo sono e non voglio esserlo.

Credo di essere un altro tipo di persona.
Uno dei Dieci Comandamenti recita così: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
Ho seppellito la mia parte ecumenica diversi decenni fa, ma in questa massima ci credo fermamente.
Ecco, credo di essere quel tipo di donna lì.
Quella che non fa niente di ciò che non vorrebbe fosse fatto a lei.

Quando mi guardo allo specchio segno mentalmente quanti centimetri in meno vorrei su alcune parti del corpo e quanti centimetri in più invece vorrei su altre.
Poi ci penso e mi dico che vorrei essere quel tipo di donna sicura e abbastanza fredda da non farsi scalfire da niente.
Vorrei essere il tipo di donna che non ha bisogno di nessuno.
Di quelle donne così fiere che non perdono tempo appresso a chi di tempo per loro non ne perde.

Ecco, io sono l'opposto esatto.
Ancora non ho capito perché accetto che gli altri si comportino con me in modi così assurdi che a spiegarli, la gente, non ci crede.
La soluzione sta probabilmente nel fatto di non essere una Superdonna, anzi il contrario.
Una di quelle che non ti fa aspettare, di quelle a cui basta ridere, di quelle che non importa dove come e quando, ma saranno sempre dalla tua parte.
Di quelle pronte a chiedere scusa per aggiustare le cose.
Più che Superdonna credo di essere una Supercretina, ma già so che non imparerò mai.

venerdì 3 giugno 2016

Come la canzone degli Smiths.

E' arrivato Giugno.
Ogni volta me ne stupisco, come se potessi fare qualcosa per fermarlo e invece alla fine niente.
Non amo particolarmente l'estate, anzi diciamo che mi fa proprio schifo.
Non so perché alla gente piaccia così tanto, non me ne capacito; il caldo, il sole, le vacanze da organizzare. E' tutto troppo.
E in più è il mese in cui sono nata.
Da qualche anno a questa parte non festeggio più, non che prima facessi chissà che, ma mia madre ci ha sempre tenuto a far vedere alla famiglia che un giorno all'anno non si scorda completamente di me. Così, per dire.
L'anno scorso, per la prima volta, il giorno del mio compleanno faceva meno paura, ma ho la sensazione che quest'anno non sarà così. Anzi.
Più passa il tempo, più passano i giorni, più vivo nel terrore.
Sento che va tutto troppo di fretta, tutto troppo veloce, sento che è tutto troppo incontrollabile.
A fasi alterne mi vengono in mente un sacco di ricordi bellissimi che adesso sono fastidiosissimi, la vita è fatta di mancanze e di dolori ingiustificati. Non so quando e se arriverà un giorno in cui i ricordi saranno solo ricordi e potrò serenamente soprassedere, spero presto comunque.

La sessione d'esami è cominciata e vorrei davvero fermare il tempo e raccogliere le forze per poter affrontare lo studio, lo stress, il compleanno, l'estate, mia madre, il caldo e tutto il resto.
Ogni tanto mi sento soffocare e mi serve un momento di pace che subito dopo mi porta a sentirmi in colpa perché non mi sento abbastanza all'altezza nell'affrontare le situazioni.
Qualsiasi situazione. Qualsiasi cavillo. Qualsiasi pressione.
E' come se mi sentissi di aver raggiunto il limite, ma purtroppo so che il limite non esiste e non si può far altro che accumulare e accumulare e accumulare finché non straborda tutto, ma forse strabordi anche tu.

Non ho idea di cosa farò quest'estate.
O meglio, ce l'avevo, ma sono saltati i piani. Sia per l'estate che per la vita.
Spesso mi chiedo se ti capita di pensarmi, se c'era qualcosa che ti piaceva di me e che non mi hai detto a cui magari ripensi ogni tanto, così, per caso. A me succede.
L'altro giorno, a pranzo fuori, un cameriere aveva addosso il tuo stesso profumo e mi faceva male la testa per i ricordi che mi son tornati in mente.
Se ripenso ai nostri giorni insieme ricordo perfettamente quanto mi mandava fuori di testa entrare nella tua macchina, essere inondata da quel misto di deodorante per auto e Blue di Chanel. Penso fosse quello l'odore della felicità.
Oggi mi sei mancato. 
Mentre guidavo ad un certo punto ho pensato a te, al fatto che è venerdì, che il campionato è finito; ho pensato che magari stasera saremmo andati in centro e ti saresti arrabbiato perché non c'era parcheggio, ma poi tanto alla fine ne avremmo riso.
Sta per uscire un film che saremmo sicuramente andati a vedere al cinema. Ed invece non ci andrò.
Ci sono cose che mi piaceva fare con te e ancora non ti ho trovato un degno sostituto. Purtroppo. Credo.
Mi chiedo tantissime volte se ti capita di rileggere le mie lettere o i miei biglietti di auguri o se li hai buttati, bruciati, usati come sottopentola. Non so.
Non te lo immagini neppure, che per quanto ti odio, ti penso più del dovuto. Fa male.

A fine mese ci saranno un po' di novità.
Ho anche abbastanza paura, ma forse non ce ne è motivo.
Questo duemilasedici mi ha portato tutto il male che mi era stato risparmiato nell'anno precedente e non so perché e non so con chi prendermela. Ma forse non posso prendermela con nessuno.
Lo psicologo ha detto che mi merito di meglio.
In generale, dice.
Dalla vita insomma.
Mi merito rispetto e amore e gioia e tutte quelle cose che alla gente risulta facile trovare.
Non so se lo dice perché ci crede o perché è il suo lavoro, boh.
Qualche volta mi capita di fantasticare sul futuro e a come lo vorrei: viene fuori un gran casino e basta. 

Nell'ultimo periodo mi è tornata la voglia di fare le cose.
Un sacco di cose, dico. 
Prima fra tutte mi è tornata la voglia di amare. Che secondo me è un gran bordello.
Mi è tornata la voglia di fare tutte quelle cose stupide e belle, ma stupide.
Quelle che si fanno quando non ci capisci più niente.
Mi è tornata la voglia di stare bene. Per la pratica mi sto attrezzando.
Mi è tornata la voglia di far sapere a qualcuno dove sono, con chi sono; mi è tornata la voglia di dirgli che tanto poi torno, come sempre.
Mi è tornata la voglia di sentirmi a casa fra le braccia di qualcuno e mi è tornata la voglia di voler morire in quelle stesse braccia e in quelle labbra e in quei sorrisi e in quelle stronzate che riempiono la vita. 
Mi è tornata la voglia di piangere dalla gioia, di guardare un film e poterlo raccontare a qualcuno.
Di mangiare in un posto e volerci tornare, con qualcuno.
Di avere successi e condividerli, sempre con quel qualcuno.
La vita senza amore è vana e per quanto facciamo finta che non sia vero, invece, è tutto lì.

Proprio come la canzone degli Smiths.