mercoledì 11 maggio 2016

20:20

Faccio questo gioco stupido di esprimere un desiderio quando l'ora segna due numeri uguali, non so chi mi abbia insegnato sta stupidaggine, però lo faccio sempre da sempre.
Ogni tanto, se devo essere sincera, ha anche funzionato. Ma forse erano solo coincidenze.
Ci raccontiamo un sacco di cose pur di non dirci la verità, ci raccontiamo che va tutto bene pur di non affrontare il fatto che non va bene niente nemmeno per sbaglio.

E' passato un po' di tempo dall'ultima volta che ti ho visto e non sopporto il ricordo di quell'ultimo giorno. Non sopporto un sacco di cose di quella notte.
Da quando te ne sei andato non mi sento più bella per nessuno e non importa quante persone mi dicano il contrario, io ancora mi vergogno un po' quando mi specchio.
Mi capita di pensare che, in fondo, io non ti sia mai piaciuta.

Intorno a me la gente pretende che io stia bene, che io sia di nuovo quella di prima.
Io non so come dirglielo, non so come dirglielo che di quello che ero prima è rimasto davvero poco.
Lo vedo come fanno roteare gli occhi quando qualcuno pronuncia il tuo nome, perché sanno che io avrò qualcosa da dire e non vogliono sentirlo. Non più.
Come se si fosse esaurito lo spazio limite.

Chi ti conosce davvero, un giorno, anzi una sera, con i negozi in chiusura, davanti ad un caffè finito e un tavolo rosso di plastica del bar sotto casa ti dice "Tu ridi e scherzi per camuffare tutto, ma io lo so che dentro stai morendo ancora ed è normale, ti capisco, io farei lo stesso."
Chi ti conosce davvero ti alleggerisce con una frase di poche parole e tu non devi dire nulla, perché non c'è nulla da dire. Puoi solo farti l'ennesima risata, abbassare lo sguardo e tacere.

Quella notte mi hai piantato un coltello nel petto e ti sei lamentato del mio sanguinare.
Mi hai detto "ti passerà", sminuendo tutto quello che provavo e dimenticandoti che stavi sminuendo te stesso con le tue parole lanciate come coriandoli, ma che per me avevano il peso di tonnellate di piombo. Bisogna stare sempre attenti alle proprie parole.
Ce lo raccontano da sempre che le parole fanno più male di tutto il resto, perché non si cancellano.

Ho il ricordo di me, devastata dal pianto, con la faccia trasformata, il trucco colato e in viso l'espressione di chi questa non se l'aspettava e non la meritava e non la voleva.
E ho il ricordo di te, con le mani sul volante e gli occhi fuori dal finestrino che guardi da un'altra parte e probabilmente pensi che pensavi di sbrigartela in cinque minuti e invece io ti sto facendo fare tardi. Ho ricordi così nitidi che mi fanno paura.

Se penso a quella notte io piango un sacco. Anche ora, se ci penso, piango un sacco. 
Mi dicono "non devi pensarci" ed io spiego che ancora non ho trovato l'interruttore da spingere quando succede, perché sembra strano, ma sono umana anche io.
Io non ci penso, ti tengo lontano, ma ogni tanto sono così sola che l'unica cosa che ho sono questi ricordi fastidiosi.

Gennaio è stato il mese in cui ho pregato ed espresso più desideri che in tutta la mia vita.
E non ha funzionato, nemmeno quando l'ora segnava due numeri uguali.
Siamo a Maggio e non ho idea di come supererò quest'estate.
Vorrei la rivincita. Nella partita che abbiamo giocato ti ho sempre nominato titolare e mi hai voltato le spalle come l'ultima delle riserve. Forse in questo modo capisci anche tu.

Non hai fatto altro che darmi per scontata, anche dopo, anche alla fine. Più il tempo passa, più torno lucida e la rabbia sale e i ricordi belli lasciano spazio ai ricordi brutti.
E' un ciclo continuo, è tutto normale.
E adesso, quando l'ora segna due numeri uguali, io prego Iddio di non incontrarti mai più sulla mia strada e che tu possa essermi lontano anni luce. Sempre, per sempre.

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