domenica 16 agosto 2015

Una pausa.

E' una Domenica diversa, oggi.
Una Domenica che mi distrae.
Sarà che ho da fare un sacco di cose.
Sarà che mi hanno lasciato un'intera casa da pulire.
Sarà che dopo una settimana, finalmente, lo rivedo.

Le mie Domeniche, da sempre, sono scandite dal pranzo in famiglia.
Intendo proprio tutta la mia famiglia.
Oggi non partecipo.
Un po' mi dispiace.
Con il crescere ho imparato ad apprezzare quelle cose che, da piccola, odiavo.

Un pranzo in famiglia.
Un Natale a casa.
Anche un sabato sera, perché no.

Ma una volta ogni tanto.

Qualche Domenica fa, mio nonno, mi raccontava che durante il Fascismo, gli uomini sorpresi o accusati di picchiare le proprie donne venivano gonfiati come zampogne, pubblicamente e non, e alla fine, non lo facevano più.
Dice di averne visti tanti così.
Lividi e pieni di ematomi.

Dice che era un avvertimento.

Mio nonno che sotto le bombe ci ha vissuto, è quello che mi ha insegnato l'Arte. 
E l'Amore.
Che forse sono un po' la stessa cosa.
Dalla mia nascita ad oggi, ho vissuto sempre in salotti di una cultura elevatissima, tanto da portarmi ad essere "strana", non conforme al resto dei miei coetanei.
A dieci anni leggevo libri su Sironi ed il Futurismo.

A dodici anni partecipavo alle conferenze d'arte in alcune gallerie private in centro.
A venti anni guardo a quando ne avevo sei o sette o anche meno e giravo per tutte le mostre di Roma.
Questo mi ha insegnato mio nonno.
A guardare oltre e ad avere una sensibilità per il Bello.

Mio nonno che da ventritré a questa parte conserva ogni disegno, ogni stupido scarabocchio lasciato lì per caso, sui post-it nel suo studio.

Mio nonno è stato un Uomo.
Uno di quelli incapaci a fare il padre, ma ottimo nel ruolo del marito.
Quelli di una volta, per capirci.
Da piccola lo guardavo e non capivo il suo attaccamento alle opere d'arte in casa, non capivo perché si agitasse tanto nel vederci correre nei corridoi appendendoci agli arazzi attaccati alle pareti.
Crescendo ho capito.
E apprezzato, soprattutto.

Mio nonno amava mia nonna.
Da quasi quattro anni lei ci ha lasciati, all'improvviso.
Un duro colpo da accettare per tutti.
Ma lui ne è uscito devastato.
Anzi forse non ne è uscito mai.

Mi guarda e mi dice che non ce la fa così, non ce la fa più.
Continua a ritagliare l'oroscopo di mia nonna e lo lascia sul tavolo.
Poi lo rilegge e lo conserva da qualche parte.
La sogna di continuo e spera sempre sia la volta buona che se lo porta via.
Dice che sì, ci sono i nipoti, ci sono i figli e anche gli amici, ma non è la stessa cosa.

E Dio, quanto lo capisco!

Anni fa, mi diceva, erano andati a teatro insieme.
Pioveva e stavano sotto lo stesso ombrello.
Lei era un po' più alta di lui, ma si accoccolava sulla sua spalla lo stesso.
Qualche giorno più tardi, un collega, incontrando mio nonno gli fece i complimenti per l'amante che si era trovato, perché era così bella e così appagata. Si vedeva.
E lui cadde dalle nuvole, non capendo. Appena il collega fece riferimento alla pioggia, all'avvinghiarsi sotto l'ombrello e al teatro, mio nonno capì.
E sorridendo disse: ma è mia moglie.

Questa storia mi aveva insegnato che dopo secoli di matrimonio è possibile volersi ancora bene.
Ecco, questo è quello che voglio.
Voglio che fra trenta-quaranta anni, qualcuno mi veda e mi chieda come sta il mio amante ed io imbarazzata, possa solo rispondere che no, bello mio, quello è mio marito e ci amiamo.
Ci amiamo per tutta la vita.

Questa è una Domenica diversa.



Una Domenica in cui costruisco il mio, di amore.

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