martedì 1 marzo 2016

Marzo.

Marzo è una promessa, dice Cremonini.
Io non so esattamente cosa mi aspetto da questo mese. O da questo anno, in generale.
Probabilmente non mi aspetto niente.
Ed è forse lo scenario migliore possibile.
Vivere senza aspettative è una gran fortuna, quando ci si riesce.

C'è un momento, la notte, nel quale non esiste niente.
O meglio, sono piena di pensieri, ma sono solo pensieri. Sono solo istanti. Vivi o morti. istanti.
In quel momento, in quella parentesi minuscola, non devo combattere con niente e nessuno.
Sono più o meno libera.
Ho solo il dovere di scivolare in maniera più veloce possibile verso il sonno, sperando che questo mi porti a riposare.
Passano quelle cinque o sei ore - o più, se sono fortunata - ed è di nuovo mattina.
Riapro gli occhi, affilo unghie e denti, sciabola in tasca e tento di alzarmi per affrontare un'altra giornata.

Mi auguro che questo cambi.
Ad oggi il regalo più bello che potrei farmi, sarebbe quello di svegliarmi senza che questo comportasse battaglie di alcun tipo.
E addormentarmi, sapendo che sono solo cinque o sei ore che mi separano da un'altra normalissima giornata.
In effetti mi rendo conto sia una richiesta gigantesca da fare a me stessa, ma tant'è.

Questo Inverno è stato inverosimile.
E il fatto che ci fosse sempre il Sole ha solamente reso il tutto più finto. Come di plastica.
Come un pugno che ti arriva in piena faccia, ma costellato di diamanti.
Quasi come a voler dire che non te ne puoi lamentare.

La gente non ha rispetto per il dolore altrui.
Che sia mentale o fisico, semplicemente il rispetto non c'è. Mai.
Appena succede qualcosa di brutto sono tutti lì pronti a dispensare consigli, regole, aforismi, insegnamenti e altre robe mai sentite prima che in quell'occasione riemergono come cadaveri buttati a mare.
Ti ammali e ti senti dire che passerà, che gira, che l'influenza se la sono presa tutti, che non ci si deve lamentare.
Vieni lasciato e devi sopportare, oltre all'incessante rumore del tuo pensare, anche chi si arroga il diritto di dirti come devi sentirti, quello che devi provare, quanto devi essere incazzato, quanto basito, quanto amareggiato e quanto sia sbagliato invece stare male perché è perfettamente inutile.
Sì esatto: la gente, tutti, il mondo intero, nei momenti di dolore arriva da te e mascherandosi dietro una toga da giudice e gli occhiali da intellettualesotuttoiodistocazzo, ti dice che soffrire è inutile.

Come se non ci avesse già pensato Pavese, poi.

Potresti subire un lutto, anche.
E nonostante questo ci sarebbe sempre qualcuno, lì, in piedi, con il dito puntato a dirti come reagire.
A Novembre è morta la mia cagnetta, dopo quattordici anni d'amore, un giorno, così, è arrivato il suo momento.
L'amavo così tanto che vedendola soffrire in silenzio, l'unica cosa che ho potuto fare è stata prendere le chiavi della macchina e accompagnarla nel suo ultimo viaggio.
Persino in questa situazione gli altri hanno qualcosa da dire.
Sì, perché si passa dallo sminuire al drammatizzare, così, senza senso.
"Non ci preoccupiamo così tanto quando muoiono i cristiani e per i cani soffriamo il doppio" o anche "Vabbè, ma quattordici anni per un cane sono tanti, la vita sua l'aveva fatta".
Esatto. Bisogna fare i conti con questo genere di cose. Sempre.
Non importa quanto sia doloroso l'accaduto, qualcuno, lì fuori, saprebbe gestirla meglio di te.

Ognuno, nella sofferenza, sia per malattia, lutto, fine di un amore, licenziamenti e quant'altro, reagisce a modo suo e questo ai più infastidisce.
Per questo ci si ritrova a vergognarsi di soffrire.
Ad aver paura di dire, a distanza di - quasi - due mesi, che sì, in realtà stai ancora soffrendo come un cane per quel bastardo che un giorno ha deciso di lasciarti senza se e senza ma.
Quasi come se fosse una colpa, quasi come se il resto del mondo non ci sia mai passato.

Onestamente non mi interessa.
Non mi interessa nulla.
Non so ancora come elaborare la moltitudine di lutti che ho alle spalle, la moltitudine di dispiaceri, la moltitudine di momenti passati a fissare il muro per non incappare in qualcosa di troppo tagliente.
Già trovo che sia un bel risultato riuscire ad alzarmi dal letto la mattina.
In questa fase così delicata della mia esistenza ho capito una cosa, una cosa che non avevo mai capito, sembrerà pure una banalità, ma ciò di cui adesso sono cosciente è che posso essere fiera di me stessa.
Sembra poco, ma è basilare.

Non so dove sono e non sono nemmeno tutta intera, ma sono in piedi. Più o meno.
E l'ho fatto da sola. Non importa come, non importa quando, non importa niente.
Importa solo una cosa: uscirne.
E se uscirne vuol dire affrontare le cose così come vengono, senza uno schema preciso, senza un disegno già pronto, allora ben venga.

Io sono pronta. O almeno, so che voglio esserlo.

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