venerdì 12 febbraio 2016

Le profezie che si auto-avverano.

Non bisogna mai dire "non ce la faccio".
Il primo esame che diedi all'Università trattava proprio di questo.
Sociologia della Comunicazione.
Era interessante. Ed è stato il mio primo 27 sul libretto.
Non male, alla fine.

Insomma, fra i saggi da studiare c'era quello delle profezie che si auto avverano.
Che poi, se vai a vedere, si avverano sempre e solo quelle in cui metti tutto il tuo lato negativo.
Le altre mai. Chissà perché.
Il saggio diceva che la mente è potente, si sa. E che ogni cosa, dalla più banale, alla più seria, è dettata soprattutto da quello che ne pensiamo direttamente o indirettamente.

Quindi, se si pensa di non essere abbastanza preparati per superare una sfida, un esame, una prova, un colloquio, è praticamente certo che non lo passeremo.
Allora sembra quasi facile fare il ragionamento opposto.
Iniziare a pensare che siamo preparatissimi alla vita e che quindi qualsiasi cosa succeda siamo solo pronti a superare le sfide che ci vengono messe in mezzo ai piedi.

Sì, mi piacerebbe fosse così.
Ogni tanto ci penso.
Poi però qualcosa o qualcuno mi ricorda che di tutto quello che si può pensare, forse "non ce la faccio" è l'unica scelta plausibile.
E Dio solo sa quanto vorrei sbagliarmi.

Il mio anno è partito nel modo più sbagliato e non fa altro che peggiorare. Inevitabilmente e senza freno.
Com'è che si dice, "anno bisesto anno funesto"?
Ecco, forse questo è uno di quei tanti detti, tramandati da generazioni e generazioni, davvero affidabile.
Forse invece è solo una profezia che si auto avvera.
Forse semplicemente le cose vanno come devono andare.

Credo molto nel destino. Ormai lo sanno tutti.
Allora devo credere anche che ogni singolo giorno passato a pensare che non ce la sto facendo, sia in realtà la spinta che mi porterà a qualcosa di più grande, di più vero. Sarà, ma a me sembrano solo tante frasi fatte.
Tanti "passerà, vedrai" stipati negli angoli delle bocche della gente intorno a me che si riempie le fauci di questo inutile auto convincimento.

Certo che passerà.
Passa tutto. Il problema è quando ti passa sopra. Più volte. Più pesante di prima.
Ho il terrore di inaridirmi, come succede a tutti. 
Ho il terrore di guardarmi allo specchio e accorgermi di essere diventata una persona comune.
Una di quelle persone che passano la vita a vantarsi di essersi chiuse in loro stesse.

Io ho una voglia di vivere che la potrei vendere al chilogrammo, per questo trovo solo ragioni per morire dentro e fuori.
Questo inaspettato sole di Febbraio non fa altro che annientarmi sempre di più.
La sera torno a casa e mi rifugio dentro al letto, che non è nemmeno più un posto tanto sicuro.
I ricordi riaffiorano in ogni dove. E fanno male, ma sempre nello stesso posto. 

La testa mi scoppia e credo che, nel momento in cui crearono l'universo, avrebbero dovuto mettere un limit ai pensieri che possono essere formulati dalla mente umana.
Vorrei che non si potesse andare oltre i dieci pensieri al giorno.
Vorrei che svegliarsi la mattina comportasse solo svegliarsi, niente di più.
E vorrei che questo peso che grava sulle spalle di tutti noi non fosse altro che una zavorra di gattini e unicorni.

Mi piacerebbe uscire di casa come facevo due mesi fa, semplicemente uscendo.
Ora ho il terrore di mettere il muso fuori, perché sono spaventata e le persone spaventate diventano cattive.
Se c'è una cosa che so e che difendo sempre con tutta me stessa, è quella di non volermi mai giustificare per ciò che sento e di come questo avviene.
La sensibilità non è una colpa. Il menefreghismo lo è.

E poi mi piacerebbe ridere.
Come faccio in quei pochi momenti di lucidità.
La sera ogni tanto esco e per fortuna qualcuno dice qualcosa e quel qualcosa mi fa tirare indietro la testa e chiudere gli occhi a fessura. Quindi rido.
Ma poi torno a casa. E non rido più.

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