venerdì 8 gennaio 2016

Lasciarsi nel 2016.

Ho dovuto prendere il coraggio a due mani per convincermi a scrivere.
Non so nemmeno perché lo sto facendo, se per me o per chissà chi.
Mercoledì scorso è finita la mia storia, insieme ad essa è finita anche la pace. 
Il motivo non lo so nemmeno io, non riesco a darmi una spiegazione, non riesco a farmene una ragione.
Semplicemente ad un certo punto la persona che ami viene da te, ti guarda negli occhi e ti dice che non è più sicura, che ti vuole bene, che la rendi felice, che è tutto bellissimo, ma non abbastanza.
Non come dovrebbe essere.
Ma perché, come dovrebbe essere?!
Fino al giorno prima vivevo la vita normale di una persona innamorata, alti e bassi dettati dalla mia poca autostima e dal mio poco amor proprio, ma pur sempre la vita di una persona che finalmente ha trovato il suo posto e alle spalle ha sempre la consapevolezza di essere coperta.

Quando sei innamorato di una persona che ti ama non sei mai davvero solo.
Anche se mentre fai la spesa non c'è nessuno, non sei solo.
Se mentre sei in fila alle poste sei in mezzo a sconosciuti, non sei solo.
Quando al semaforo rosso devi fermarti per forza, non sei solo.
E non sei solo nemmeno quando vai a prenderti un caffè con gli amici, quando esci, quando sei in famiglia.
Non sei mai solo. Perché accanto a te, dentro di te, affianco a te c'è questa presenza gigantesca e ingombrante che ti accarezza e fa sentire che hai qualcuno accanto, anche se non lo vedi.

Sembra che parlo di un angelo custode, beh forse è quasi così.
Durante l'anno in cui sono stata con lui non facevo mai economia sulle paranoie, ce ne stava sempre qualcuna dietro l'angolo, in ogni momento, anche se bellissimo, qualcosa mi diceva che avrei dovuto preoccuparmi.
Allora lo guardavo e gli dicevo che avevo paura, avevo paura che tutto finisse, che ad un certo punto lui si stufasse, avevo paura di star facendo tutto da sola.
Lui mi guardava e mi diceva che non era così, che lui era lì per restare, che mi aveva scelto e che andava tutto bene. Sempre così mi diceva.
"Non è successo niente, va tutto bene."
Allora io ci riflettevo un po' su, vedevo le sue mani stringere le mie e dicevo che ero proprio stupida perché era vero, era tutto ok.

A Natale mi è arrivato un biglietto e diceva "non sono bravo con le parole, lo sai, ma sono felice di questo primo Natale insieme, le feste non mi piacciono, ma adesso hanno un sapore diverso perché ci sei tu nella mia vita."
L'ho letto tutto d'un fiato, poi l'ho riletto, poi di nuovo e di nuovo e di nuovo. L'ho consumato.
Mi sono emozionata. Ho pianto. Ho stretto il biglietto fra le mani e ho detto "va bene, adesso è arrivato il momento di deporre le armi, adesso basta stare sull'attenti. Lui c'è. E' passato un anno. Ci amiamo. Va tutto bene. Basta. Posso finalmente lasciarmi andare e abbassare la guardia."
L'ultimo dell'anno gli ho augurato una vita di successi, sperando di essere parte di questi e di gioire insieme degli altri e delle cose belle che lo aspettavano. La risposta è stata "che ci aspettano".
La sua gioia era la mia gioia e viceversa.

Lunedì 4 Gennaio ci siamo incontrati, come al solito.
Abbiamo parlato, scherzato, riso, ci siamo raccontati delle cose, siamo stati a letto insieme e ci siamo abbracciati tantissimo.
Niente di anomalo. Tutto perfettamente nella norma.
I giorni trascorrono nella normalità più totale, finché un giorno ti svegli e hai il presentimento che sarà una giornata strana, ma ormai hai deposto le armi e quindi che bisogno c'è di allarmarsi.
Allora passi la giornata un po' così. Con qualche dubbio, ma in fondo chi non ne ha.
Durante il pomeriggio qualche messaggio e poi di nuovo dopo e prima di cena.
E poi alle 20:21 il messaggio più atroce. "Ti devo parlare".
Questa è una frase che andrebbe abolita, parole che andrebbero radiate dal vocabolario.
Ansia. Agitazione. Palpitazioni.
OK. Penso, mi deve parlare. Ma va tutto bene. Oggi non finisce niente, perché dovrebbe in fondo?

Sono scesa in strada subito, ancor prima che lui arrivasse.
C'era un ragazzo che mi guardava non capendo cosa facessi in mezzo alla strada da sola. Senza borsa, senza niente.
Arriva la sua macchina e sento il cuore schizzarmi nel cervello.
Parliamo.
Non c'è niente da fare. Non sente ragioni. Non accetta consigli, non accetta aiuto. Non accetta nulla.
Lui ha già deciso e ha deciso per tutti e due.
Perché "ADESSO è meglio così". Ok, adesso. E poi?
Mi tormento e mi consumo di pianto chiedendo spiegazioni, singhiozzando come una bambina.
Ma non arrivano. Sempre le solite flebili frasi.
Niente di concreto, niente che mi aiuti.

Poi ti guarda e ti dice che tutto questo fa schifo, che è una coltellata, che ti vuole troppo bene, che sei importante, che lui da tempo aveva iniziato a pensare che fossi la persona con cui stare tutta la vita.
Ma ti dice anche che adesso l'istinto di dirti di fermarsi un attimo è più forte.
Non so cosa facciano le altre persone in questo caso, io ho iniziato a piangere senza mai fermarmi. Fino ad ora, ma sicuramente continuerò per molto tempo.
Ho iniziato anche a pregare. Sì, a pregare.
Perché qui ci vuole un miracolo, altroché.

Silenzio.

Mi ha preso la mano, mi ha abbracciato, una stretta così forte che sarei potuta morire senza fiato.
E sarebbe stato meglio.
E se l'abbraccio era poco, allora facciamoci scappare pure un bacio. Poi un altro.
Poi si finisce che si piange in due.

Sentivo le gambe paralizzate.
Non riuscivo a lasciare quella macchina.
Non riuscivo a muovermi.
Ho fatto uno sforzo, sono scesa. Non ho mai guardato indietro, nemmeno quando ho sentito la macchina allontanarsi.
Ed è assurdo di come poi, in questi cazzo di anni 2000, giri tutto intorno alla tecnologia.
E tu a 23 anni mentre sei nel letto a piangere ti ritrovi a scrivere ad ogni contatto di WhatsApp anche la più stupida delle stronzate per non avere il suo nome davanti ogni giorno.
E piano piano lo affossi, ma purtroppo non nella tua vita. Solo su una stupida applicazione.

Il duemilasedici mi ha portato un nuovo cucciolo e un cuore spaccato a metà.
Credevo di averlo rattoppato al meglio, ma evidentemente non so ancora cucire così bene e si è rotto per l'ennesima volta. Come un po' le mie palle, anche.
E' vero, sono triste. Piango ogni venti secondi. Non mangio da giorni e la mia pelle inizia a fare pure un po' schifo. Guardo lo specchio e mi odio.
Ma sopra ogni cosa sono arrabbiata.
Perché è successo, di nuovo. E stavolta è successo con una persona che mi aveva giurato qualcosa, mi aveva fatto promesse e la cosa peggiore è che quasi tutte le aveva mantenute.
Non ci sto a farmi trattare così.

Perché, alla fine della fiera, io non me lo merito.

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