venerdì 27 aprile 2018

So long and goodnight.

Tre giorni fa Alessandra ci ha lasciati e ieri l’abbiamo salutata per l’ultima volta. 
Crescendo impari a metterci una pezza, su certe cose. Ma poi scopri che una pezza su certe cose non ce la metterai mai invece.
Alessandra per me era quel parente il cui effettivo grado di parentela risulta ostico da pronunciare a chi, come per la mia famiglia, non dà il minimo peso a queste cose, ma più che altro al tempo passato insieme.
Potrei dire che era semplicemente la cugina di mia madre, ma in realtà è stata molto di più.

Man mano che diventi grande devi fare i conti con la morte, ma mai con la tua - nel senso che quella quando arriva arriva, tanto tu ormai non ci sei più e che te ne frega. Devi fare i conti con quella degli altri, di tutti quegli altri che hanno fatto parte della tua infanzia, della tua adolescenza, della tua vita da adulto parziale.
E non ti abitui mai. Nemmeno dopo tanto tempo. 
Il pensiero che una persona con la quale hai condiviso delle cose ad un certo punto non ci sia più, è martellante.
E martellanti sono anche tutti quei pensieri che ti tartassano la mente senza sosta. E la stanchezza. La stanchezza che ti lascia il periodo subito dopo l’ultimo respiro di quella persona.

Alessandra sette mesi fa aveva seppellito suo marito. Sette mesi fa, praticamente ieri.
E lo aveva fatto all’improvviso, per un male che se lo è portato via di punto in bianco. 
E vabbè, uno potrebbe dire. 
Capita a tutti, si potrebbe dire.
E si, è vero, capita a tutti.
Solo che Alessandra quel male improvviso che le ha portato via il marito l'ha dovuto giustificare anche alle sue figlie. Figlie che ancora della vita conoscono pochissimo, perché ci si sono affacciate da pochi decenni.

Ieri, nella stessa chiesa, a distanza di pochi mesi, eravamo tutti lì di nuovo. Stesse facce, stesse angosce, stessi occhi sgranati e stesse domande.
Io so che le preoccupazioni fanno ammalare. E lo so bene.
Il dolore fa ammalare, i pensieri anche.
Oggi in un momento di nostalgia sono andata a rileggere i messaggi che ci eravamo mandate e mi si è stretto il cuore. 
Nell’ultima conversazione che abbiamo avuto ci stavamo organizzando per vederci, appena fosse stato possibile. Ed invece io alla fine non ho fatto in tempo nemmeno ad andare in ospedale.
Però ieri al funerale c’ero. Anche se preferivo di no.
Sembrava un orrendo déjà vu. 

Io sono molto arrabbiata, con tutti. Per quelli che ci credono lo sono con Dio, per chi invece crede nel Destino allora sappia che ce l’ho anche con lui. 
Mentre vedi certe cose ti frullano in testa solo domande esistenziali tipo: e adesso? E come fanno due ragazzine di diciannove e tredici anni a campare adesso? E io che devo fare? E soprattutto come devo farlo?
Ma tanto poi non ti puoi mica rispondere eh.
Sono arrabbiata anche con lei, perché io lo so che le preoccupazioni fanno male, ma quando hai due cuoricini a cui badare devi armarti di coraggio e prendere tutti a pugni in faccia.
Anche con me sono arrabbiata, perché non posso fare nulla e mi sento inutile.

Certi eventi sembrano fatti apposta per devastarti, mangiarti da dentro e risputarti fuori malconcio, in un mondo che è vivo - anche troppo - e che non ti dà  mai tregua.
Anche se la tregua ad un certo punto devi prendertela e basta.
Quando una persona non c’è più iniziano a venirti in mente tutte quelle cose stupide che ad un certo punto ti sembrano di vitale importanza. Quando morì mia nonna ricordo nitidamente che iniziarono a mancarmi tutte quelle storie sentite trecento volte che ad un certo punto pensavo di non sopportare più.
L’unica cosa che ho saputo dire oggi alle sue figlie è stata “ci vediamo presto”, perché tutto il resto era superfluo. 
Era niente.
Quando le giornate si fanno toste come quella di oggi penso sempre ad una frase che mi ha aiutato in certi momenti bui, anche se lì per lì poi non ci fai tanto caso, ma quando ci ripensi tiri un sospiro di sollievo: “i giorni belli passano, esattamente come quelli brutti”.


E ora che ci penso, non ho fatto in tempo ad appuntarmi la ricetta dei peperoni, ché come li faceva Alessandra non li faceva nessuno. Ma ormai credo sia troppo tardi.

1 commento:

  1. Ciao! Leggo per caso il tuo nuovo post e ho dopo tanto tempo sento il sincero bisogno di scrivere due righe. Sarà perché hai parlato di un argomento che prima o poi, presto o tardi, ci troviamo ad affrontare. Direttamente, indirettamente, non importa, semplicemente ci tocca, ci sfiora e ogni volta ci porta a cercare dentro di noi un qualcosa,che sia una risposta o un motivo o chissà cos'altro. Senza dilungarmi e senza entrare nel merito della persona a te vicina che è venuta a mancare, scrivo semplicemente perché ogni volta è il concetto del troppo tardi che mi fa pensare e ogni volta allo stesso modo. Pochi mesi fa mi messaggiavo con un collega, amico carissimo. Ci ho lavorato svariate volte, tra le quali un film assurdo in Cina dove abbiamo trascorso settimane assurde, divertentissime ma anche faticose. Poi il lavoro, la vita, impegni, nonostante entrambi viviamo a Roma, ci ha portati a sentirci spesso ma a non riuscire mai a vederci. A gennaio, grandi chiacchierate via chat, con la scusa degli auguri di buon anno. Lui che mi parla del suo disco che sta cercando di incidere e mi manda i suoi brani in anteprima da ascoltare. Io rispondo mandando i miei cortometraggi. Scherziamo come sempre e ci salutiamo con la solita promessa di un caffè, una cena, due chiacchiere dal vivo. Cazzo abitiamo vicini. Cosa ci vorrà mai a beccarsi. Un mesetto fa invece, cazzeggiando, mentre guardo distrattamente la premiazione dei David Di Donatello, il fonico che vince il premio dedica la vittoria a una persona speciale, un collega. Ed è proprio Paolo, il mio amico. Io ovviamente casco dalle nuvole. Resto letteralmente senza parole. Mi invade la tristezza e non riesco a capacitarmi più di nulla. Continuo a pensare a quel caffè ( che tra l'altro non bevo) e al fatto che ogni volta si riesce a rimandare la più piccola cazzata o il più semplice degli impegni perché tanto c'è tempo, tanto prima o poi vi vediamo, e si rimanda e si rimanda e non ci accorgiamo che il tempo passa e che prima che ci accorgiamo è sempre troppo tardi. Hai reso questa sensazione e questa realtà in modo semplice, intimo e senza retorica e allo stesso tempo, senza cinismo o frasi fatte, hai colto il fatto che tanto tutto passa, che lo vogliamo o no, senza avvisi o senza notifiche, ma sinceramente mi piace il fatto che hai reso ciò che spesso viene visto e vissuto come un momento triste e devastante ( ovvio che lo è ) come un qualcosa di umano, normale, che fa parte come ogni cosa della vita di tutti i giorni! Ecco, semplicemente questo! Ti auguro una bella serata!

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