martedì 8 dicembre 2015

Un anno dopo.

Un anno fa a quest'ora avevo lo stomaco rigirato almeno nove volte su se stesso, quella sensazione che hai sia quando è successo qualcosa di bellissimo, sia invece quando la vita si palesa per lo schifo che è.
Non stavolta - zan zan - stavolta, anzi, quella volta era un agglomerato di interiora felici.
Un anno fa a quest'ora neanche la consapevolezza che sarebbe stato Natale di lì a poco mi faceva così senso, anzi. Nell'aria respiravo qualcosa di nuovo, per una volta, davvero.
Credo sia quella magia che avvertono le persone normali sotto le feste, quando la città è tutta illuminata e c'è un via vai di gente insopportabile, che però, chissà come mai, rende tutti euforici e propositivi.
Un anno fa a quest'ora ero felice. Lo sono ancora, è questo che fa strano.
Pensavo e ripensavo alla serata del giorno prima, quella che mi aveva fatto stare in ansia t u t t o il giorno, ma credo che per una volta sia stata una compagnia ben accetta.
Da un anno ormai non sono più sola - sì, mi ci sento spesso, ma questo è un altro discorso - la cosa importante è che ho finalmente capito cosa volevano dire tutte quelle frasi fatte, tutte quelle raccomandazioni e tutti quei film strappalacrime che almeno una volta nella vita hanno fatto commuovere ognuno di noi.
Nella mia vita fino al sette Dicembre dello scorso anno non sapevo che cosa volesse dire avere un uomo, averlo nel senso stretto, non di quando porti a casa il primo che capita e ci dai giù tutta la notte.
Non avevo idea di cosa volesse dire amare ed essere amati, perché per me l'unico amore esistente era quello che ti consuma di lacrime, ti toglie l'appetito e ti ammazza piano piano.
Ignoravo del tutto che nel mio disegno divino o di vita ci fosse scritto che anche per me poteva arrivare qualcosa di questo calibro. Dico calibro perché è come se ti arrivasse uno schiaffo dritto in faccia da almeno un chilometro di distanza.
Lo schiaffo dell'inesperienza, dell'imbarazzo, della paura, dell'angoscia, del dolore, della felicità.
Uno schiaffo che fa malissimo perché ti fa capire chi eri fino al giorno prima e chi dovresti essere dal giorno dopo. Nella mia vita la parola "condivisione" era legata solo ad episodi banali e pressoché inutili.
Ad esempio sì, mi era capitato di condividere la stanza con mio fratello diversi anni fa.
Mi era capitato di condividere i miei giocattoli, il mio cibo, magari anche qualcos'altro, ma non mi era mai mai mai mai mai successo di dover condividere con qualcun altro il mio essere, la mia vita.
E parlo di tutto, di ogni cosa. Dalla stupida domanda "come è andata oggi?" alla più profonda stima dell'altro.
Non ero abituata a niente, ho dovuto imparare e tutto da sola. Anche se non è esattamente un concetto giusto.
Ho sempre pensato che la questione "persona giusta" fosse di un retorico impressionante e anche abbastanza scontato, ma la verità è che purtroppo è tutto vero.
Dico purtroppo perché in quel famoso schiaffo c'è anche questo.
C'è l'aprire gli occhi e finalmente darsi pace, rendersi conto che non sei mai stata tu quella sbagliata, ma gli altri, anche se sembra un'infinità di colpe accollate. Mi rendo conto.
Sì, perché un giorno ti svegli e ti crollano tutte le certezze che avevi impilato ben bene l'una sull'altra la sera prima. Compresa quella storia schifosa e melensa sul fatto che "la persona giusta" aspetta, "la persona giusta" ti mette a tuo agio, "la persona giusta" ti ama per quello che sei, "la persona giusta" ed una sfilza infinita di bla bla bla che sembrano scontati, ma lo sono solo finché non ti ci trovi a sbattere il muso contro.
Tutta questa roba fa paura. All'inizio.
Fa paura l'amore, l'intimità, fa paura trovarsi a dover fare quello che fanno gli altri sapendo che non ne sei del tutto capace. Forse amare e lasciarsi amare è come leggere.
All'inizio fa paura perché in classe se sbagli è finita, se leggi male una parola diventi la preda perfetta, poi alla fine un po' te ne freghi e impari a leggere bene, abbastanza veloce, abbastanza intensamente.
Credo sia uguale quando ti rapporti con qualcosa di così grande.
Io ero spaventata da tutto, qualsiasi cosa per me era un ostacolo invalicabile.
Ho rimandato una semplicissima cena fuori per due mesi, forse anche due mesi e mezzo. E dall'altra parte non c'era nessuno a dirmi che ero incapace, inetta, stupida. Anzi.
"Ma no, ognuno ha i paletti suoi, non ti preoccupare." mi diceva così. Ed io mi vergognavo.
Perché rifiutavo di andare a cena fuori? Perché era impensabile per me fare qualcosa di così intimo come mangiare con una persona per la quale già iniziavo a nutrire sentimenti profondi e stima.
Poi un giorno mi sono stufata e forse spinta dalla fame ho ceduto. Scherzo.
Ho ceduto perché dovevo farlo.
Ho ceduto perché alla fine ho scoperto che non c'è niente di più bello che sedersi ad un tavolo, al caldo, con il mondo fuori e poter osservare tutto con ironia e riderne insieme.
Fa ancora paura a volte, non voglio mentire a me stessa. Fa paura perché non so mai dove mettere le mani, ho sempre il timore che ad un tratto possa cadere nel vuoto, in un vuoto che non ho visto, che non ho considerato. In un vuoto infame che non si sa da dove arrivi.
Se mangiare fuori era atroce, dormire insieme forse lo era ancora di più, ma sorpresa delle sorprese ho scoperto che sono bravissima anche in quello.
Ho scoperto che alla fine nessun limite è invalicabile. E mi faccio pure un po' schifo perché sto facendo della retorica insopportabile, ma la realtà è che vale la pena di fare tutto, di vivere tutto.
La verità è che le persone ti salvano. Anzi, "le persone giuste" ti salvano.
Ti salvano da te stesso, prima di tutto. E non è cosa da poco.
Ieri sera ero una persona diversa rispetto al sette Dicembre del 2014.
Ieri sera ero sicura di me, sicura di quello che stavo facendo. Ieri sera mi sono vestita, mi sono truccata e in testa nessuna voce mi diceva che tanto sarebbe finita come le altre volte. Ieri sera l'unica cosa che pensavo era che non vedevo l'ora di essere a cena, al tavolo, davanti a lui.
Alla faccia mia, di me stessa, di quella che ero l'anno scorso o tanti anni fa. Alla fine ho vinto io.

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