sabato 29 novembre 2014

Attese.

Ero al bar prima, seduta come se aspettassi qualcuno.
Con quello sguardo un po' indaffarato di chi fa finta di cercare fra la gente, per non far vedere quanto è solo. Quello sguardo che giustifica la sedia vuota affianco a te, quello che non fa avvicinare nessuno perché da un momento all'altro chissà chi potrebbe arrivare.
E invece poi te ne stai lì da solo, con una tazza di cappuccino davanti. E più il livello della bevanda scende, più lo sguardo è meno indaffarato.
Meno in cerca. Meno impegnato, ma più consapevole.

Ebbene ero al bar.
Seduta come se stessi aspettando te, come se tu stessi facendo tardi. Come se quel cappuccino fosse solo un scusa per rubare un po' del comfort di quella sedia che mi sosteneva.
Mi fingevo indaffarata, presa dalle mail che mi arrivavano sul cellulare, intenta a messaggiare con qualcuno che riempisse questo vuoto momentaneo.

Ero seduta al bar e finito il cappuccino ho provato forte imbarazzo.
Si, perché tu non c'eri.
Non arrivavi.
E la cosa peggiore è che lo sapevo dal momento in cui ho fatto l'ordine al barista. 
Lo sapevo addirittura da prima.
In realtà lo so sempre.
Lo so sempre che tu non arrivi, che non sei in ritardo, che non ti sei perso per strada, che non hai avuto un contrattempo, che non sei stato trattenuto in ufficio.
Passava una signora con un cane al guinzaglio, mentre ero seduta al bar.
Ma il cappuccino era finito ed il tempo era finito. E forse, solo forse, ero finita un po' anche io.

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