A me la perfezione non è mai piaciuta.
Ho sempre preferito le cose autentiche, a quelle immacolate. Ma quelle autentiche fanno più male.
Tu non sai quante volte mi sono maledetta per non essere perfetta. O per non esserlo stata. Proprio io, che alla perfezione non ci ho nemmeno mai creduto.
Mi sono chiesta cento, forse mille volte o ancora di più, cosa potessi fare per essere all’altezza di tutte le cose che sono successe.
E la realtà è sempre stata una: non avrei mai potuto.
Non avrei potuto perché sono fallace, come tutti. Non avrei potuto perché a nessun essere umano al mondo è richiesto di essere perfetto, perché non è questo ciò che davvero conta. E perché non è giusto.
Mi sarei potuta arrabbiare, forse.
Avrei potuto sbattere tante porte.
Scegliere il silenzio.
Oppure urlare. Quanto avrei urlato!
Ma non è mai stato questo l’obiettivo.
Ho preferito essere quella che puntava la sveglia il sabato e la domenica mattina, soltanto per vederti. Anche con la pioggia. Anche con il caldo. Anche per poco.
Ho preferito essere la stessa che c’era sempre, a qualsiasi ora. Perché è così che deve essere. O forse no.
Ho preferito sbagliare, pensando di essere ricompensata un giorno.
Ma le ricompense non arrivano mai, vero?
Non c’è un momento durante il quale tutto si ferma e torna nelle tue mani quello che hai dato o che hai perso o che hai speso.
Non c’è.
Forse allora bisogna vivere con quello che si è perso; forse è proprio questo che ci ha fatto guadagnare qualcosa.
Più consapevolezza?
Più fermezza?
Non lo so.
Continuo a vivere senza un pezzo. Sperando di ritrovarlo, prima o poi.
E se così non dovesse essere non fa nulla, saprò lo stesso che qualcosa di me vaga ancora per il mondo. Anche se non è mai tornato indietro.
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