venerdì 6 maggio 2022

Quando c’è il lavoro c’è tutto.

Dice ma il lavoro ti va bene. Si, il lavoro mi va bene. C’è.
Dice sei fortunata. È vero. Sono fortunata. C’è chi non lavora. Io lavoro, mi piace il mio lavoro. Sono fortunata.
Dice hai la salute. Sei bella. Sei forte. Sei giovane.
Io non mi vedo né bella, né forte, né giovane. 369 post su Instagram di cui non so quanti autoscatti, eppure è tutto finto, tutto patinato.
C’è la foto ammiccante, c’è quella simpatica, quella seria, quella sciocca. Mi prendo in giro, perché la vita non va presa troppo seriamente si sa. Eppure è tutto finto.
Non c’è una foto dove mi vedo davvero io. Dove mi piaccio. Perché il 90% del tempo passato davanti allo specchio è fugace: i vestiti cadono decentemente? Ok. Il trucco è a posto? Va bene. E i capelli? Bene pure quelli. Ma non mi soffermo mai troppo. Perché non voglio vedere. Non voglio vedermi.
Dice sei forte. E tu pensi a quella frase da Smemo 2007, quella che dice che non sai quanto sei forte finché esserlo non è l’unica scelta che hai. Non ho mai avuto alternativa. 
Non ho mai avuto la possibilità di fermarmi. Di riposare il cervello. Di far cadere le ossa e starmene in po’ ferma. Ferma in un po’ di bianco. 
Non c’è niente che vada bene. Ah, già, il lavoro. Quello va bene. E sono fortunata.
È vero. È tutto vero. È tutto tristemente vero. 
Ma io non sono il mio lavoro.
Io non posso essere solo il mio lavoro.
Io sono tante altre cose: sono quella che compra i cornetti quando ti viene a trovare la mattina, quella che riflette prima di parlare, anche troppo a volte. Io sono quella che vede il mondo con i suoi occhi, a volte severi, a volte sognatori, ma non smette mai di immaginarti al suo fianco.
Eppure in questo periodo - questo lungo, lunghissimo periodo - io sono le mie 8 ore passate davanti al computer.
Sono le parole che scrivo, ma solo per lavoro.
In questo lungo periodo io sono dalle 09:00 alle 17:00.
E non ho altro. Non ho tempo, energie e voglia di emozionarmi. O meglio, la voglia ce l’avrei, ma anche la paura.
Fottuta.
Come una morsa che stringe.
E non mi vedo bella. Non mi vedo forte. E non mi vedo nemmeno giovane. Perché fra poco compirò altri anni, che si vanno ad aggiungere alla somma di quelli che già ho e che mi pesano. Come i fallimenti, le delusioni, le incazzature. 
Non mi vedo proprio, semplicemente. Io non mi vedo.
A volte ho la sensazione che cambi tutto, il mio viso, il mio corpo, e io sia l’ultima a saperlo. L’ultima ad accorgersene. 
Come un’esperienza pre-morte, in cui guardi il tuo corpo in sala operatoria, circondato dai medici e non sai tornare lì o attraversare la luce bianca.
Dice però hai il lavoro.
Pensa a quello.
Sei fortunata.
Pensa a chi non ce l’ha.
E io con questo pensiero mi cullo, mi consolo o almeno ci provo. Penso a chi non ce l’ha. A chi sta peggio. Insomma penso a tutti, ma a me chi ci pensa? Io no, perché ho un lavoro e sono fortunata.

1 commento:

  1. Era da tantissimo tempo che non ti leggevo. Forse troppo. Ho recuperato tutti i post passati e presenti e li ho letti con una certa voracità, un po' come quando si finisce un libro in pochissimo tempo. Potevo rispondere post per post ovviamente, anche perché ognuno ha dentro tantissimi pensieri e situazioni non solo che condivido ma che ho anche vissuto. Ho scelto questo post perché “quando c’è il lavoro c’è tutto” è un mantra che fino allo scorso anno faceva parte di me ma penso un po' di tutti. E’ come sentirsi protetti e al sicuro. E uno cresce e va avanti con questa convinzione. Quella è la felicità. E nel mio caso, quando fai un lavoro che ami e che hai sempre sognato, dovrebbe valere ancora di più. Invece, proprio l’anno scorso, forse per la prima volta in vita mia, ho capito e toccato con mano che non è così. O meglio, quando c’è il lavoro NON c’è tutto. Perché poi il lavoro rischia di diventare tutto. E non ci si accorge di questo. Ci si lascia trascinare da tutto e da tutti. Non ci si ferma mai. Si è sempre disponibili. Ma noi? Noi ci annulliamo e ci dimentichiamo di vivere al meglio tutto il resto. Il lavoro è tutto si, ma insieme a tutto il resto, altrimenti non avrebbe senso. Premetto che mi ritengo più che fortunato ad avere un lavoro che tra l’altro amo, ma proprio per questo non può assorbirti completamente. Per farla breve, lo stress per la prima volta mi ha letteralmente steso e come al solito, uno apre gli occhi solo quando succede qualcosa di drastico, nel mio caso due belle settimane di ospedale. Ora, fortunatamente, nulla di grave, ma è assurdo quanto sia facile perdere di vista le priorità, che il più delle volte sono le cose più semplici della vita, da una passeggiata a un libro, a un viaggio a una serata con gli amici. Detto questo, come al solito mi perdo e divento prolisso, mi piaceva questo tema perché vale si per il lavoro ma vale veramente per tutto. Non può esserci una cosa che prevale sulle altre che se c’è il resto va bene o se non c’è tutto va a rotoli. Il tuo post mi ha colpito per questo. Ci ho ritrovato tanto, ma veramente tanto, di oggi e di me. Parlerei ore e ore anche dello smettere di avere ragione o del vivere che non può essere sopravvivere, della storia d’amore di Vittorio e Marcella o delle cose autentiche meglio di quelle perfette, delle macchiette bianche sulle unghie o del vivere senza un pezzo che uno spera di ritrovare prima o poi. Sono stato forse sconclusionato, dispersivo e prolisso, ma era un modo per dirti di scrivere, di continuare a scrivere e di continuare a essere così vera, sincera perché è una cosa bellissima. Buon venerdì!

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