martedì 20 dicembre 2016

Quando viene Dicembre.

E' tornato anche Dicembre, prima di quanto pensassi.
Vivo questo periodo con distacco non capendo quanto davvero manchi poco alla fine dell'anno e a quella ricorrenza nefasta che segna distintamente la fine di una vita e l'inizio di un'altra.
E' facile e scontato fare bilanci quando ci si trova in questa fase, ma non sono ancora pronta a farne.
Se passo al setaccio ogni mese dal Dicembre scorso ad oggi vedo solo macerie.
Vedo solo croci impilate ben bene una sopra l'altra e, come dice De Gregori, quelle croci non sono altro che amori dalle gambe corte, allineati come collezioni di chincaglierie in una teca preziosa.

E' un anno da cancellare e non vedo l'ora che passi.
Ultimamente succedono cose che non riesco a gestire, non so se sto andando nella direzione giusta; anzi, in realtà, non so nemmeno se sto andando in una qualche direzione.
Mi sono sempre sentita ferma, statica; oggi invece mi sento in movimento come una trottola. E come ogni trottola che si rispetti, continuo a girare in tondo senza mai trovare pace. Senza fermarmi mai.
Capita di riscoprirsi in tanti modi che prima non si conoscevano e ho paura di aver recentemente tastato un lato di me che ignoravo.

Il duemilasedici è l'anno in cui ho perso un sacco di cose.
E per cose intendo persone.
E affetti.
E dignità.
E amore verso me stessa.
Eccetera.

Mai come quest'anno ho sperato arrivasse un nuovo giorno, un nuovo inizio. Qualsiasi, purché diverso. O reale. O curativo.
Mai come quest'anno ho annaspato dall'alba al calar del sole, augurandomi di riprendere fiato nelle ore successive al risveglio, pregando di trovare sollievo quanto prima.
Oggi è una di quelle giornate in cui mi sento sola al mondo, di nuovo.
Sarà che la domenica si porta dietro i suoi strascichi amari, sarà che il mio pranzo era condito con amarezza e disprezzo, ma questa sembra una giornata inaffrontabile.

L'altro giorno mio padre mi ha fatto commuovere.
Lui è uno a cui piace cucinare e avevo bisogno che mi preparasse qualcosa in particolare, ne avevo bisogno perché sentivo che se qualcuno non mi avesse sorretto sarei finita in un baratro ancor più profondo di quello in cui sono adesso.
Mio padre è bolognese: "mi fai le tagliatelle al ragù stasera?", gli ho scritto.
"E' domenica, il supermercato qua sotto è chiuso, dovrei prendere la macchina e arrivare a quell'altro, quello lontano e oggi volevo passare la giornata sul divano a guardare le partite, ma per una figlia si può fare." ha risposto. Ed io mi sono commossa.
Vedi, basta poco per sentirsi amati. A volte.

E' questo quello che nessuno ha mai capito, che basta poco. Davvero poco.
C'è sempre il rovescio della medaglia, però.
Per qualche minuto ho avuto gli occhi lucidi pensando a mio padre che avrebbe passato la giornata in cucina per me e per ore ho avuto le ghiandole lacrimali in esubero pensando a mia madre che, invece, di me non vuole più saperne.
Non sono solita parlare della mia famiglia o almeno non sono solita parlarne come davvero se ne dovrebbe parlare. E' che mi fa male e cerco di sotterrare l'argomento sotto un sacco di tappeti immaginari che spero nessuno sposti mai.

Non so cosa è successo ad un certo punto, probabilmente qualcosa si è rotto e da quel momento la mia mamma non mi ha voluta più.
Forse non lo sa nemmeno lei perché, ma ormai è così. Ed è un vortice dal quale non usciamo.
Ogni anno che passa, in previsione del Natale, mi sale sempre più ansia. Quest'anno in particolar modo.
Non mi piace dover fare sempre paragoni, ma sono stata meglio di così e non mi spiego come possa esser già finito tutto.
Nella vita capita di dover far fronte a cose che mai avremmo creduto potessero accaderci e risulta sempre più difficile, in effetti, guardarle in faccia con spavalderia e affrontarle.

Forse mi ero illusa potesse essere diverso, per una volta, anche per me. Chissà.
Mi è capitato di conoscere un sacco di gente ultimamente, di vivere situazioni non mie solo per il gusto di doverci provare, di mettermi alla prova.
Dopo tre anni di Università ho capito come funzionano le cose all'interno di essa, proprio adesso che il mio percorso è quasi concluso.
Ogni tanto penso alla difficoltà di ripristinare se stessi dopo le delusioni, la capacità di ricomporci pezzo dopo pezzo come fossimo puzzle.
Ed esattamente come un puzzle, il grande classico di perdere dei pezzi che non ritroveremo mai.

Il duemilasedici è stato l'anno delle mancanze.
L'anno in cui mi sono affezionata a cuori impossibili.
L'anno in cui ho capito che essere forti non vuole dire proprio un cazzo di niente.
Il duemilasedici mi ha travolto come l'onda sugli scogli, portandosi via gran parte di me; portandosi via intere giornate, tempo che nessuno mi ridarà mai.
Il duemilasedici mi ha insegnato tantissime cose, forse fra tutte, a difendermi. Ancora.
Non so cosa mi aspetta da Gennaio in poi, ma so per certo che inizierò un nuovo anno più agguerrita, più disillusa, più a pezzi, più speranzosa, più tormentata che mai.

Eppure all'inizio le cose sembrano così facili...

1 commento:

  1. Sono contento di leggerti positiva...e non sono ironico...ma onestamente...le ultime 5,6 righe del tuo post sono così natalizie e piene di speranza che fanno dimenticare quello che hai scritto prima...o meglio...alcune delle tante cose. Non mi piace entrare nei mondi altrui...soprattutto quando non conosco bene i fatti, le persone e quando gli argomenti sono così delicati..ma non ti nascondo che il racconto sulla domenica di tuo padre votata alla preparazione delle tagliatelle al ragù è qualcosa di prezioso..racchiude nella sua semplicità l'essenza della vita..e cioè che quelle che agli occhi sembrano piccole cose si dimostrano essere sempre quelle per cui vale la pena vivere...anche per un solo minuto. Allo stesso tempo mi tocca molto il leggere del tuo non rapporto con tua madre...mi tocca anche se sono solo figlio e non genitore...mi tocca perchè per tutte le cose..prima o poi..se si vuole ovviamente...la soluzione si trova. So che nei rapporti umani..siamo degli artisti nel non voler trovare soluzioni..nel non voler ammettere errori...nel rifugiarci nel rancore..spesso l'orgoglio ci impedisce di fare o dire le cose più semplici...e intanto il tempo passa..e nulla si aggiusta..anzi..peggiora. Ti ripeto..non sono uno che giudica...ne che da consigli o che ha soluzioni..ma in questo caso...mi piace citare una cosa scritta da Woody Allen per il suo film "Amore e Guerra"...che ( piaccia o no lui come persona, autore o regista) ho trovato molto vera...divertente...ma vera : "Amare è soffrire. Se non si vuol soffrire, non si deve amare. Però allora si soffre di non amare. Pertanto, amare è soffrire, non amare è soffrire, e soffrire è soffrire. Essere felice è amare: allora essere felice è soffrire, ma soffrire ci rende infelici, pertanto per essere infelici si deve amare. O amare e soffrire. O soffrire per troppa felicità. Io spero che tu prenda appunti." Detto questo...torno all'inizio della mia risposta e alla fine del tuo post...torno a quella tua grinta e a quella tua voglia di affrontare il futuro consapevole di pregi e difetti..di limiti ma anche di sicurezza dei propri mezzi...non so..secondo me ti sei fatta un super regalo...anzi..lentamente te lo stai facendo...e pian piano te ne accorgerai...credimi...

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